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Pene sostitutive: no all’appello se ben motivate

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Procuratore contro la decisione di applicare le pene sostitutive a un condannato. La sentenza sottolinea che, secondo la Riforma Cartabia, la scelta della sanzione deve privilegiare la rieducazione e il rischio di recidiva non è un ostacolo assoluto, ma un fattore da gestire con prescrizioni adeguate. Il ricorso del PM è stato respinto perché si limitava a contestare nel merito la valutazione del giudice, senza evidenziare vizi logico-giuridici.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Rischio di Recidiva: la Cassazione fa Chiarezza

Con la sentenza n. 33974 del 2024, la Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura sull’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia. La decisione chiarisce che il pericolo di recidiva non è un ostacolo insormontabile, ma un elemento da gestire attraverso un percorso rieducativo ben strutturato, confermando la centralità della discrezionalità motivata del giudice di merito.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dalla decisione del Tribunale di Grosseto che, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva sostituito una pena detentiva di due anni e quattro mesi di reclusione, inflitta per reati di truffa, con la misura del lavoro di pubblica utilità. Il giudice aveva motivato la sua scelta evidenziando il percorso di reinserimento sociale già intrapreso dal condannato, il quale svolgeva un’attività retribuita di assistenza a persone non autosufficienti e si occupava di un giovane disabile.

Contro questa ordinanza, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione. Secondo l’accusa, il condannato non sarebbe stato meritevole del beneficio a causa dei suoi precedenti penali e di una situazione economica precaria, ritenendo la pena sostitutiva non idonea a prevenire la commissione di nuovi reati.

La Valutazione delle Pene Sostitutive secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Procuratore inammissibile, ritenendolo una mera contestazione della valutazione di merito compiuta dal giudice dell’esecuzione. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per delineare i principi cardine che governano l’applicazione delle nuove pene sostitutive.

La Corte ha ribadito che la Riforma Cartabia ha profondamente innovato lo statuto di queste sanzioni, configurandole come vere e proprie “pene” con una finalità non solo punitiva, ma soprattutto rieducativa. L’obiettivo è quello di individuare la sanzione più adatta a promuovere il reinserimento sociale del condannato, evitando, ove possibile, l’effetto desocializzante del carcere.

Il Ruolo del Rischio di Recidiva nelle Pene Sostitutive

Il punto centrale della sentenza riguarda il rapporto tra le pene sostitutive e il pericolo di recidiva. La Cassazione ha stabilito che l’applicazione di una pena sostitutiva non è incompatibile con il rischio che il condannato commetta nuovi reati. Al contrario, queste misure rappresentano lo strumento specifico scelto dal legislatore per arginare e gestire tale rischio.

La decisione di applicare una pena sostitutiva è incompatibile solo con un tasso di recidiva talmente elevato che il giudice non reputi di poterlo ridurre attraverso le prescrizioni e i controlli che accompagnano la misura. La valutazione del giudice deve quindi bilanciare la prospettiva della rieducazione con l’esigenza di neutralizzare il pericolo di recidiva durante l’esecuzione della pena stessa.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione avesse operato correttamente, conformandosi al nuovo quadro normativo. La motivazione dell’ordinanza impugnata è stata giudicata scevra da vizi logico-giuridici e pienamente plausibile. Il giudice aveva spiegato in modo convincente perché il lavoro di pubblica utilità fosse preferibile, in funzione rieducativa, alla più severa detenzione domiciliare. La scelta si inseriva coerentemente in un percorso di risocializzazione già avviato dal condannato attraverso attività assistenziali, simili a quelle che avrebbe svolto presso la struttura indicata.

Di contro, il ricorso del Procuratore è stato qualificato come meramente confutativo, poiché, invece di individuare specifiche manchevolezze nel provvedimento, si limitava a sollecitare una non consentita rivalutazione dei criteri di merito (ex art. 133 c.p.), invadendo la sfera di discrezionalità del giudice dell’esecuzione.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale della Riforma Cartabia: le pene sostitutive sono uno strumento flessibile e prioritario per le pene detentive brevi. La valutazione del giudice deve essere incentrata sulla personalità del condannato e sulla sua concreta possibilità di rieducazione. Il ricorso in Cassazione contro tali decisioni è ammissibile solo se si denunciano vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione, non se ci si limita a proporre una diversa valutazione dei fatti. La decisione rafforza la discrezionalità del giudice di merito nel plasmare la risposta sanzionatoria più adatta al singolo caso, in un’ottica di recupero sociale e di prevenzione speciale.

Il rischio che una persona commetta nuovi reati impedisce l’applicazione delle pene sostitutive?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che il pericolo di recidiva non è di per sé un ostacolo, ma la condizione che le pene sostitutive, corredate da specifiche prescrizioni, sono destinate a gestire e neutralizzare. La finalità rieducativa è centrale in questa valutazione.

Qual è il criterio principale per scegliere tra le diverse pene sostitutive?
Il criterio fondamentale è l’idoneità della pena alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, con il minor sacrificio possibile della sua libertà personale. Il giudice deve scegliere la misura più adatta a questo scopo, motivando le ragioni della sua decisione.

La Riforma Cartabia sulle pene sostitutive si applica anche ai procedimenti pendenti prima della sua entrata in vigore?
Sì, la legge ha previsto una disciplina transitoria che permette l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli. Per i procedimenti pendenti in Cassazione al 30 dicembre 2022, il condannato può presentare un’istanza al giudice dell’esecuzione dopo che la sentenza è diventata definitiva per ottenere la sostituzione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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