Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36735 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36735 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PELOSI O PELUSO NOME
NOME CODICE_FISCALE nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/01/2024 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lettek le conclusioni del PG NOME cy e .4).)-e–;-/z3 NOME cs à n ki•-3.1,..1.:: n ^—)
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza formulata nell’interesse di NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), tesa a ottenere la sostituzione, ai sensi dell’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022, con la pena pecuniaria ovvero, in via di subordine, con il lavoro di pubblica utilità delle pene di un anno di reclusione e di tre anni e due mesi d reclusione, rispettivamente inflitte con sentenza del Tribunale di Roma, in data 22 dicembre 2014, irrevocabile il 9 febbraio 2015 e della Corte di appello di Roma in data 16 ottobre 2017, irrevocabile il 18 dicembre 2018.
A ragione della decisione – dopo avere ripercorso l’ampia disamina della questione posta dall’istante concernente la graduale erosione del principio dell’intangibilità del giudicato, anche alla luce delle pronunce della Corte Edu ha osservato l’inapplicabilità delle disposizioni di cui al d. Igs. n. 150 del 2022, compresa la disposizione transitoria di cui all’art. 95, alla data della cui entrata vigore le sentenze in parola erano già divenute irrevocabili.
Ha, NOME inoltre, COGNOME ritenuto manifestamente infondata COGNOME la COGNOME questione di costituzionalità dell’art. 95 citato.
NOME COGNOME o COGNOME, per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione e, nell’unico articolatissimo motivo di ricorso, deduce violazione degli artt. 20 bis cod. pen., art. 95 d. Igs. n. 150/2022, art. 666 cod. proc. pen art 7 Dedu, art. 15 della Convenzione internazionale sui diritto civili e politici New York del 1966.
L’ordinanza impugnata dovrebbe essere annullata nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile l’art. 53, I. 24 novembre 1981, n. 689 anche ai reat giudicati con sentenze divenute irrevocabili prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022.
In subordine, chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 95, stesso decreto, per violazione degli artt. 3, 24 e 27, comma 3, Cost.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata il 14 marzo 2024, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
In data 30 aprile 2024 la difesa ha depositato memoria con relativi documenti allegati, con la quale ha replicato alle conclusioni della procura generale e ribadito la tesi della fondatezza della questione di costituzionalit dell’art. 95 d. Igs. n. 150/2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure infondate, deve essere rigettato e la questione di legittimità costituzionale che il Collegio è stato sollecitato sollevare è manifestamente infondata.
La sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è stata respinta dal Giudice dell’esecuzione sul presupposto che, alla data del passaggio in giudicato delle pronunce di cui si chiede la sostituzione della pena, non era ancora entrato in vigore il d. Igs. n. 150 del 2022, ciò che sarebbe avvenuto il 30 dicembre 2022 (l’originaria data del 1° novembre 2022, infatti, era stata posticipata dal dl. 31 ottobre 2022, n. 162); non era entrato in vigore, dunque, neppure l’art. 95 dello stesso decreto (Disposizioni transitorie in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi), in forza del quale «le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto. Il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza».
Tanto premesso, il Collegio rileva che l’inapplicabilità dell’art. 53, I. n. 6 del 1981, come novellato, è stata sostenuta dall’ordinanza impugnata con motivazione non censurabile, e la questione di legittimità costituzionale dell’art 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 27 Cost. nella parte in cui non estende l’applicabilità delle disposizioni in tema di pene sostitutive delle pene detentive brevi ai reati giudicati con sentenze divenute irrevocabili prima dell’entrata in vigore del citato d.lgs., che si chiede di sollev è manifestamente infondata.
La questione è stata già affrontata da questa Corte che ne ha ritenuto la manifesta infondatezza «posto che il principio di retroattività delle disposizion penali più favorevoli non riguarda qualsiasi norma incidente sul trattamento penale, ma solo quelle che disciplinano il reato e la pena e può subire inoltre, in quanto non assoluto ed inderogabile, deroghe rimesse alla discrezionalità legislativa, tra le quali quella connessa all’esigenza di salvaguardare la certezza
dei rapporti coperti dal giudicato». (Sez. 3, Sentenza n. 47042 del 26/09/2023, Buscaglia, Rv. 285420; Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, COGNOME, n.m.).
In motivazione la Corte ha – con motivazione che si condivide – in primo luogo richiamato differenza tra il principio d’irretroattività della l peggiorativa e quello della retroattività della lex mitior, che la stessa Corte Costituzionale pur avendo rango diverso dal principio d’irretroattività della norma incriminatrice, di cui all’art. 25, secondo comma, ha affermato non essere priva di un fondamento costituzionale (sentenza n. 215 del 2008). Questo fondamento è stato, invero, individuato nel «principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto Vabolitio criminis della modifica mitigatrice» (sentenza n. 394 del 2006).
E, tuttavia, ha ricordato che l’applicazione retroattiva di una norma più favorevole può subire limitazioni o deroghe, sancite con razionale giustificazione dal legislatore; tra queste, ben può esservi l’esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti, perseguita statuendo l’intangibilità de giudicato. D’altronde, l’art. 2, comma 4, cod. pen., stabilisce proprio che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stat pronunciata sentenza irrevocabile.
La questione – sebbene da una prospettiva differente – è stata poi affrontata dalla stessa Corte costituzionale che, con sentenza n. 25 del 7 febbraio 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizion dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 de Costituzione, dal Tribunale di marsala nella parte in cui tale disposizione non consente di presentare al giudice dell’esecuzione, entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, istanza di applicazione di una delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis c.p. «ai condannati a pena detentiva non superiore a quattro anni nei confronti dei quali, al momento dell’entrata in vigore del succitato decreto, pendeva dinanzi alla Corte di appello il termine per il deposito della sentenza».
A fronte dell’interpretazione del rimettente – secondo cui la disposizione censurata sarebbe affetta da una lacuna involontaria, non avendo disciplinato l’ipotesi in cui la Corte d’appello, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n, del 2022, avesse già definito il giudizio innanzi a sé mediante la pronuncia del
dispositivo in udienza, ma fosse ancora pendente il termine per il deposito della motivazione (ovvero, avesse depositato la motivazione, ma fosse ancora pendente il termine per il ricorso in cassazione) – la Corte costituzionale ha richiamato l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fin dell’applicabilità del regime transitorio previsto dall’art. 95, d.lgs. n. 150 2022, deve considerarsi «pendente innanzi la Corte di cassazione» qualsiasi processo che, alla data di entrata in vigore della riforma, fosse stato definit dalla Corte d’appello mediante la pronuncia del dispositivo: e, dunque, anche quei processi nei quali sia ancora pendente il termine fissato dal collegio per il deposito delle motivazioni (Cass., Sez. IV, 2 novembre 2023, n. 43975, Lombardi, Rv. 285228), ovvero nei quali sia pendente il termine per il ricorso per cassazione (Cass., Sez. V, 8 settembre 2023, n. 37022, Rv. 285229; Id., Sez. VI, 2 agosto 2023, n. 34091, Rv. 285154).
Le pronunce appena menzionate sono state ritenute dalla Corte Costituzionale espressive del diritto vivente relativo all’interpretazion costituzionalmente conforme, della disposizione scrutinata, che assicura infatti uniformità di trattamento a tutti gli imputati i cui processi fossero ancor pendenti all’epoca dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 e consente loro di accedere alle più favorevoli pene sostitutive di cui al nuovo art. 20-bis c.p., spiccatamente orientate alla rieducazione del condannato, evitando al contempo qualsiasi vulnus al diritto di difesa.
Ebbene, in tale cornice ermeneutica, venendo al caso che ci occupa, è appena il caso di evidenziare come a maggior ragione nessuna violazione del principio di eguaglianza può porsi laddove, al momento dell’entrata in vigore della disposizione transitoria di cui all’art. 95 citata, le sentenze di cui si erano già divenute irrevocabili.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., l condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. NOME
Così deciso, il 15maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente