Pene Sostitutive: Quando il Giudice Può Negare la Conversione della Pena?
L’introduzione delle pene sostitutive nel nostro ordinamento ha rappresentato una significativa evoluzione del diritto penale, offrendo alternative al carcere per reati di minore gravità. Tuttavia, l’accesso a tali misure non è un diritto automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che guidano la decisione del giudice, sottolineando l’importanza della sua valutazione discrezionale. Analizziamo il caso per comprendere meglio i confini di questa discrezionalità.
I Fatti del Caso: La Richiesta di Sostituzione della Pena Detentiva
Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato a una pena detentiva inferiore ai quattro anni. Sfruttando le nuove disposizioni normative, il condannato aveva presentato un’istanza al Tribunale per ottenere la sostituzione della pena carceraria con una pena pecuniaria. Il Tribunale, tuttavia, aveva respinto la richiesta. La motivazione del rigetto si fondava su una valutazione negativa basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale, evidenziando la gravità del reato commesso, la spregiudicatezza dimostrata dall’individuo e l’entità del danno patrimoniale causato. Secondo il giudice, sussistevano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni connesse alla pena sostitutiva non sarebbero state rispettate.
Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e cercando, di fatto, di ottenere una nuova valutazione della sua posizione.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle Pene Sostitutive
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che le argomentazioni del ricorrente non superavano il vaglio di ammissibilità perché, nella sostanza, miravano a sovrapporre una nuova valutazione dei fatti a quella, tutt’altro che illogica, già compiuta dal giudice di merito. Il ricorso, secondo la Corte, si limitava a una mera confutazione della motivazione del Tribunale, senza fornire elementi nuovi o trascurati che potessero portare a una diversa conclusione.
Le Motivazioni: La Discrezionalità del Giudice e i Criteri di Valutazione
Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione del ruolo centrale della discrezionalità del giudice nella scelta e nell’applicazione delle pene sostitutive. La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 58 della legge n. 689/1981, il giudice ha il potere di disporre una pena sostitutiva solo quando questa risulti più idonea alla rieducazione del condannato e assicuri la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.
La valutazione non è arbitraria, ma ancorata ai solidi criteri dell’art. 133 del codice penale:
* Gravità del reato: Analizzata attraverso la natura, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione.
* Capacità a delinquere del colpevole: Desunta dai motivi a delinquere, dal carattere del reo, dai suoi precedenti e dalla sua condotta di vita.
Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente utilizzato questi parametri, fondando la sua decisione negativa sulla gravità dei fatti e sulla personalità del condannato. La motivazione, seppur sintetica, è stata giudicata dalla Cassazione adeguata e logica. La Corte Suprema non ha il compito di riesaminare i fatti, ma solo di verificare la correttezza giuridica e la logicità del percorso argomentativo seguito dal giudice di merito. Poiché tale percorso era immune da vizi, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: le pene sostitutive non sono un’alternativa al carcere garantita a tutti, ma una possibilità subordinata a una rigorosa valutazione del giudice. La decisione rafforza l’idea che la finalità della pena non è solo punitiva, ma soprattutto rieducativa e preventiva. Se il giudice ritiene, con una motivazione logica e basata sui criteri di legge, che la sostituzione della pena non possa raggiungere questi obiettivi – ad esempio, a causa della personalità dell’imputato o della gravità del reato – ha il pieno potere di negarla. Questa pronuncia serve da monito: il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato come un terzo grado di giudizio per rimettere in discussione valutazioni di merito legittimamente compiute nelle fasi precedenti.
È un diritto automatico ottenere la sostituzione di una pena detentiva breve con una pena pecuniaria?
No. La decisione è rimessa alla discrezionalità del giudice, che deve valutare se la pena sostitutiva sia idonea alla rieducazione del condannato e a prevenire la commissione di nuovi reati.
Quali criteri utilizza il giudice per decidere se concedere le pene sostitutive?
Il giudice si basa sui criteri indicati dall’art. 133 del codice penale, che includono la gravità del reato, la capacità a delinquere del colpevole (valutata anche dalla sua condotta), e l’entità del danno. Deve ritenere che le prescrizioni saranno adempiute dal condannato.
È possibile ricorrere in Cassazione se un giudice nega la sostituzione della pena solo perché non si è d’accordo con la sua valutazione?
No. Il ricorso in Cassazione non può essere una semplice richiesta di rivalutazione dei fatti. È ammissibile solo se si denuncia un ‘vizio di motivazione’, cioè se la decisione del giudice è illogica, contraddittoria o priva di giustificazione, non se è semplicemente sgradita al ricorrente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34621 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34621 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/04/2024 del TRIBUNALE di FORLI’
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Rilevato che l’unico motivo dedotto da NOME COGNOME, con sui si denuncia vizio di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di sostituzione della pena detentiva con quella sostitutiva della pena pecuniaria., non supera il vaglio di ammissibilità perché nella sostanza sollecita nuovi apprezzamenti da sovrapporre a quelli, tutt’altro che illogici, del giudice del merito ed è comunque manifestamente infondato..
1.1. Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, il giudice della cognizione o quello dell’esecuzione se ricorrono le condizioni indicate dall’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022 può sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 L. n. 689/1981 previa verifica circa l’assenza dei requisiti preclusiv in assoluto (ossia una condanna per reato di cui all’art. 4-bis).
Il giudice adito decide, nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive, con discrezionalità disciplinata dal nuovo art. 58 legge n. 689/1981, in base al quale, tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., può disporre pene sostitutive «quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati» e che, non può pervenirsi a sostituzione «quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato».
1.2. Nel caso in esame – a fronte della sintetica, ma adeguata motivazione del Giudice dell’esecuzione, saldamente ancorata ai criteri del 133 cod. pen., fondata sulla gravità del reato, la spregiudicatezza dimostrata nell’eseguirlo e l’entità del danno patrimoniale cagionato – il ricorso si pone in un’ottica di mera confutazione della motivazione de qua, senza tuttavia fornire elementi eventualmente negletti dal Giudice dell’esecuzione suscettibili di condurre ad un diverso esito della istanza.
Ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 1 luglio 2024.