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Pene sostitutive: no al diniego per precedenti penali

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per furto, limitatamente al trattamento sanzionatorio. Ha stabilito che il diniego delle pene sostitutive non può basarsi unicamente sui precedenti penali dell’imputato, ma richiede una motivazione specifica e approfondita sulla sua inidoneità a percorsi alternativi al carcere, in linea con la Riforma Cartabia.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene sostitutive: la Cassazione boccia il diniego automatico basato sui precedenti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 24093/2025) interviene su un tema centrale della giustizia penale, reso ancora più attuale dalla Riforma Cartabia: l’applicazione delle pene sostitutive. Con questa pronuncia, i giudici di legittimità hanno stabilito un principio fondamentale: non è sufficiente citare i precedenti penali di un imputato per negargli l’accesso a misure alternative al carcere. La decisione del giudice deve essere il frutto di una valutazione approfondita e di una motivazione specifica.

I fatti di causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per il reato di furto in abitazione aggravato. La Corte d’appello aveva confermato la responsabilità penale e la pena inflitta, negando sia le attenuanti generiche sia la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva. L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza, tra cui i più rilevanti concernevano proprio il trattamento sanzionatorio.

In particolare, il ricorrente contestava due aspetti cruciali:

1. La mancata applicazione di una doppia diminuzione di pena, nonostante il riconoscimento di due diverse circostanze attenuanti comuni.
2. Il diniego delle pene sostitutive, giustificato dalla Corte d’appello unicamente sulla base della “capacità a delinquere desumibile dai suoi precedenti penali”.

La decisione della Corte di Cassazione e le pene sostitutive

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato, annullando la sentenza impugnata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio. Mentre ha giudicato inammissibili le censure relative all’accertamento della responsabilità, ha accolto pienamente le doglianze relative alla determinazione della pena e al diniego delle misure alternative.

Sul primo punto, la Cassazione ha ricordato che, in presenza di più circostanze attenuanti, il giudice è tenuto ad applicare le riduzioni di pena in modo progressivo, una dopo l’altra, e non con un’unica diminuzione forfettaria, a meno di non fornire una motivazione adeguata per tale scelta.

Sul secondo e più importante punto, quello relativo alle pene sostitutive, la Corte ha offerto un’analisi dettagliata, richiamando lo spirito e la lettera della Riforma Cartabia.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha censurato duramente la motivazione della Corte d’appello, definendola “del tutto inappagante”. Il semplice riferimento ai precedenti penali, secondo i giudici, si traduce in un automatismo che contraddice la logica della riforma. La legge (in particolare l’art. 58 della L. 689/1981, come modificato) impone al giudice un esame ben più complesso prima di decidere se applicare o meno una pena sostitutiva.

Il giudice deve valutare tre aspetti fondamentali:

1. La maggiore idoneità rieducativa della pena sostitutiva rispetto a quella detentiva.
2. La capacità della misura alternativa di prevenire la commissione di nuovi reati.
3. L’assenza di fondati motivi per ritenere che il condannato non rispetterà le prescrizioni imposte.

Questa valutazione deve basarsi su tutti i parametri dell’art. 133 del codice penale, che includono la natura del reato, la condotta e la personalità del colpevole. I precedenti penali sono solo uno di questi elementi. Affermare che la sola esistenza di precedenti precluda l’accesso alle pene sostitutive significa svuotare di significato l’innovazione legislativa, che mira proprio a promuovere percorsi di rieducazione alternativi al carcere anche per chi ha già commesso reati in passato.

La Cassazione ha chiarito che il giudice può negare le misure alternative basandosi sui precedenti, ma solo a condizione di fornire una motivazione specifica e puntuale che illustri come e perché quei specifici precedenti rendano l’imputato inaffidabile e inadatto a un percorso extra-murario. La motivazione deve valorizzare la “pregnanza ostativa” dei pregiudizi, non la loro mera esistenza.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito. Essa riafferma che la Riforma Cartabia ha introdotto un cambio di paradigma nel sistema sanzionatorio, spingendo verso la decarcerizzazione e il finalismo rieducativo della pena, come sancito dall’art. 27 della Costituzione. Il diniego delle pene sostitutive non può essere una scorciatoia motivazionale basata su automatismi. Richiede, al contrario, uno scrutinio attento e individualizzato, che tenga conto di tutti gli elementi del caso concreto e che spieghi in modo convincente perché, per quel determinato individuo, la via del carcere sia l’unica percorribile. La Corte d’appello, nel nuovo giudizio, dovrà quindi riesaminare la richiesta dell’imputato, fornendo una motivazione adeguata e conforme ai principi enunciati dalla Cassazione.

Un giudice può negare le pene sostitutive solo sulla base dei precedenti penali dell’imputato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve fornire una motivazione specifica e adeguata che spieghi perché quei precedenti rendono il condannato inadatto a un percorso alternativo al carcere, valutando la sua personalità complessiva e le prospettive di rieducazione.

Come deve essere calcolata la pena in presenza di più circostanze attenuanti?
Quando vengono riconosciute più circostanze attenuanti, il giudice deve applicare la riduzione di pena per una circostanza e, sulla pena così ridotta, applicare la successiva diminuzione. Non può applicare un’unica riduzione generica senza fornire una motivazione specifica per questa scelta.

Qual è l’obiettivo principale delle pene sostitutive secondo la Riforma Cartabia?
L’obiettivo è dare effettività al finalismo rieducativo della pena, previsto dall’art. 27 della Costituzione. Le pene sostitutive offrono modelli sanzionatori alternativi al carcere per pene detentive brevi, contribuendo in modo più adeguato alla rieducazione del condannato e prevenendo il pericolo che commetta altri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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