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Pene sostitutive: no a reato tentato con aggravante

Un soggetto condannato per tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso ha richiesto la conversione della pena detentiva in pene sostitutive. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la preclusione all’accesso alle pene sostitutive, prevista per i reati commessi con metodo mafioso, si applica anche alla forma tentata del delitto. La Corte ha chiarito che l’ostatività è legata alla modalità dell’azione criminale e non alla sua consumazione.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Reato Tentato: La Cassazione Nega l’Accesso con l’Aggravante Mafiosa

Con la recente Riforma Cartabia, l’istituto delle pene sostitutive ha assunto un ruolo centrale nel sistema sanzionatorio, offrendo un’alternativa al carcere per le pene detentive brevi. Tuttavia, l’accesso a tali misure non è incondizionato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19741/2024) ha affrontato un caso cruciale: è possibile beneficiare delle pene sostitutive in caso di condanna per un reato solo tentato, ma aggravato dal metodo mafioso? La risposta dei giudici è stata un netto no, consolidando un’interpretazione rigorosa della normativa.

Il Caso in Esame: Tentata Estorsione e la Richiesta di Sostituzione della Pena

La vicenda trae origine dalla richiesta di un condannato di sostituire la pena della reclusione, inflittagli per il reato di tentata estorsione, con una delle pene previste dall’art. 20-bis del codice penale. A rendere complessa la situazione era la presenza di un’aggravante specifica: il reato era stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero con l’utilizzo del cosiddetto ‘metodo mafioso’.
Il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva già respinto l’istanza, ritenendo il reato ‘ostativo’, cioè preclusivo all’accesso a tali benefici, in quanto rientrante nel catalogo dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

La Tesi della Difesa e la Preclusione delle Pene Sostitutive

Il condannato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su un unico motivo: il reato per cui era stato condannato era solo ‘tentato’ e non ‘consumato’. Secondo la tesi difensiva, la preclusione prevista dall’art. 4-bis ord. pen. non si dovrebbe applicare alle fattispecie tentate, data la loro natura di reato autonomo rispetto alla forma consumata. Si sosteneva, in pratica, che il divieto di accesso alle pene sostitutive dovesse valere solo per i delitti pienamente realizzati.

Le Motivazioni della Cassazione: Prevale la Gravità del Metodo Mafioso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale. I giudici hanno chiarito che il riferimento normativo (art. 59, l. n. 689/1981) che vieta le pene sostitutive per i reati di cui all’art. 4-bis ord. pen. deve essere interpretato in modo rigoroso.
L’art. 4-bis include espressamente i ‘delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo [416-bis] ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste’. La Corte ha sottolineato che la giurisprudenza è unanime nel considerare questa dicitura comprensiva anche dei delitti tentati.
L’argomento centrale della decisione risiede nella natura della preclusione. L’ostacolo alla concessione delle pene sostitutive non deriva dal titolo del reato (in questo caso, l’estorsione), ma dalla modalità con cui è stato commesso. È l’utilizzo del metodo mafioso, con la sua forza intimidatrice e il suo legame con la criminalità organizzata, a rendere il fatto di particolare gravità e a giustificare l’esclusione dai benefici.
Di conseguenza, è irrilevante che il disegno criminale si sia fermato allo stadio del tentativo. La pericolosità sociale manifestata attraverso l’uso di metodi mafiosi è la stessa, sia che il reato venga consumato sia che venga solo tentato. La Corte ha ribadito che sarebbe irrazionale interpretare la stessa norma in modo diverso a seconda del beneficio richiesto (sostituzione della pena o altri benefici penitenziari), creando una frattura ingiustificata nel sistema.

Le Conclusioni: Il Principio di Diritto Affermato dalla Corte

Con questa sentenza, la Cassazione ha affermato un chiaro principio di diritto: anche ai fini della sostituzione della pena detentiva, il divieto opera per tutti i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di intimidazione tipiche delle associazioni mafiose o per agevolarle, inclusi quelli realizzati nella forma del tentativo. La decisione consolida un orientamento di massima severità nei confronti dei reati che, anche indirettamente, si collegano al fenomeno mafioso, confermando che la lotta alla criminalità organizzata passa anche attraverso un’interpretazione restrittiva delle norme premiali.

È possibile ottenere le pene sostitutive per un delitto solo tentato?
In linea generale dipende, ma nel caso specifico analizzato dalla sentenza la risposta è no. Se il delitto tentato è aggravato dall’utilizzo del metodo mafioso, rientra tra le ipotesi ostative previste dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, che impediscono la sostituzione della pena.

L’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) impedisce la concessione delle pene sostitutive?
Sì. La sentenza conferma che i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche delle associazioni mafiose, o al fine di agevolarle, sono ostativi alla concessione delle pene sostitutive, come previsto dal rinvio dell’art. 59 della L. 689/1981 all’art. 4-bis ord. pen.

La giurisprudenza distingue tra reato consumato e reato tentato ai fini delle preclusioni legate al metodo mafioso?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, quando la preclusione è legata alla modalità di commissione del reato (cioè l’uso del metodo mafioso), non rileva se il delitto sia stato consumato o solo tentato. La pericolosità insita nel metodo giustifica l’esclusione dai benefici in entrambi i casi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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