Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14844 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14844 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INCHES NOME, nato a Rieti il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/02/2023 della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 16 luglio 2021 il Tribunale di Terni, in rito ordinario, ha condannato NOME COGNOME alla pena di 2 mesi di arresto per il reato dell’art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per aver violato il foglio di via obbligatorio che gli prescriveva il divieto di fare ritorno nel Comune di Terni per tre anni. Il fatto è stato commesso il 4 dicembre 2018.
Con sentenza del 3 febbraio 2023 la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza di primo grado.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con unico motivo, in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perchè in sede di motivi di appello egli aveva dedotto di aver formulato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado,
istanza di applicazione pena (2 mesi e 20 giorni di arresto, sostituiti in 20.000 euro di ammenda), su cui il pubblico ministero non aveva prestato il consenso; in sede di conclusioni del giudizio di primo grado egli aveva reiterato la richiesta; all’esito del dibattimento il giudice di primo grado aveva inflitto pena addirittura inferiore (2 mesi di arresto) a quella proposta nel patteggiamento, illegittimamente respingendo la richiesta di patteggiamento della pena che avrebbe dovuto a quel punto applicare ex art. 448, comma 1, cod. proc. pen.; su tale motivo ‘di appello la sentenza di secondo grado non ha risposto in alcun modo.
Con requisitoria scritta il Procuratore generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Prima dell’apertura del dibattimento di primo grado l’imputato aveva chiesto l’applicazione della pena di 2 mesi e 20 giorni di arresto, sostituiti con la pena pecuniaria di 20.000 euro di ammenda.
All’esito del dibattimento il giudice di primo grado ha inflitto all’imputato una pena di 2 mesi di arresto, senza alcuna sostituzione.
Non è, pertanto, corretta l’affermazione contenuta nel ricorso, secondo cui illegittimamente il giudice ha inflitto una pena inferiore a quella proposta nella istanza di applicazione pena, perché, in realtà, il giudice del dibattimento ha inflitto una pena diversa da quella contenuta nella predetta istanza.
La accettazione di una richiesta di applicazione di una pena sostituita ex art. 53 e ss. I. 24 novembre 1981, n. 689, passa, infatti, non solo per una valutazione di congruità della pena sostituita, ma anche attraverso la decisione sull’esercizio o meno del “potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”, per usare l’espressione contenuta nella rubrica dell’art. 58 I. n. 689 del 1981.
L’art. 58, comma 1, I. n. 689 del 1981 dispone, infatti, che “il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codi penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato”.
L’esercizio del potere discrezionale di sostituzione deve, pertanto, essere condotto sulla base dei tre criteri previsti dalla norma attributiva di potere: 1) le pene sostitutive devono tendere alla rieducazione del condannato; 2) esse devono assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva; 3) esse non possono essere applicate se vi sono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni ad esse connesse non saranno adempiute.
Dala lettura della motivazione della sentenza di primo grado emerge che il giudice ha ritenuto di respingere l’istanza di applicazione pena non per una valutazione di incongruità della pena principale, ma proprio per la impossibilità di formulare il positivo giudizio prognostico positivo di cui all’art. 58 (“questo giudicante ritenute condivisibili le argomentazioni del pubblico ministero nel rigettare l’originaria richiesta, alla luce delle evidente insofferenza dell’imputato al rispetto delle leggi, dovendo fondare la propria decisione su un dato criminologico, ossia la pregressa condotta delittuosa dell’COGNOME dimostrativa di una reale inclinazione dello stesso a delinquere, parimenti ritiene doveroso non accogliere neppure in questa sede la suddetta richiesta, non ritenendo l’imputato meritevole di tale istituto”). Nella valutazione del giudice di primo grado il giudizio prognostico sulla idoneità della pena pecuniaria alla rieducazione del condannato ed alla prevenzione del pericolo di recidiva nel caso in esame era, pertanto, negativo.
L’insofferenza dell’imputato al rispetto delle leggi, per riprendere l’espressione della motivazione della sentenza, poggia, d’altronde, sull’evidenza delle condanne che si possono leggere nel casellario penale dell’interessato. Tra le più recenti si rinvengono una condanna del Tribunale di Rieti del 17 novembre 2015, irrevocabile il 27 febbraio 2016, per il reato dell’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, per fatto del 20 maggio 2014; una ulteriore condanna del Tribunale di Rieti del 19 ottobre 2016, irrevocabile il 22 novembre 2016, per ulteriore reato dell’art. 76, comma 3, per fatto del 9 luglio 2013; una ulteriore condanna del Tribunale di Rieti del 5 dicembre 2016, irrevocabile il 19 gennaio 2017, sempre per il reato dell’art. 76, comma 3, per fatto del 5 giugno 2015; una ulteriore condanna del Tribunale di Rieti del 5 aprile 2018, irrevocabile il 9 luglio 2020, per una estorsione commessa il 14 febbraio 2011. La valutazione del giudice del dibattimento che ha ritenuto che il fatto sottoposto al suo giudizio non potesse essere sanzionato con la sola pena pecuniaria sostitutiva, ma necessitasse della inflizione di una pena detentiva, non presenta, pertanto, tratti di manifesta illogicità.
In questo contesto l’argomento con cui il ricorso attacca la motivazione della pronuncia di secondo grado, che non avrebbe preso posizione sul motivo di appello sul punto, è manifestamente infondato, perché la sentenza di secondo grado ripete, in realtà, il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato ricordando i “numerosi e vari precedenti risultanti a carico dell’COGNOME, tali da far presumere la
proclività dell’imputato a violare frequentemente la norma penale ed intravedere al tempo stesso, in tale reiterata violazione, l’assenza di profili di resipiscenza eventualmente valutabili” (ai fini della concessione di eventuali generiche) ed in ogni caso, con la valutazione di congruità della pena inflitta in primo grado, implicitamente valuta come non congrua quella, contenente la sostituzione, proposta nell’istanza di applicazione pena.
Per le ragioni che sono state appena esposte, si trattava, pertanto, di un motivo di appello manifestamente infondato, il che rende conseguentemente inammissibile per carenza d’interesse il motivo di ricorso che lo ha riproposto (cfr., sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281: in tema d’impugnazioni, è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio).
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 febbraio 2024
Il consigliere estensore
Il presidente