Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11935 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11935 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Gioiosa Ionica il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 23/05/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha respinto l’istanza avanzata da NOME COGNOME per la sostituzione della pena della reclusione di anni tre e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 644 cod. pen. e 132 d.lgs. 385/93 (inflittagli dalla medesima Corte territoriale con sentenza pronunciata il giorno 4 dicembre 2020) con la pena sostitutiva della detenzione domiciliare o, in subordine, della semilibertà ai sensi dell’art. 53 1.689/81 come modificato dal d.lgs. 150/2022 (c.d. ‘Riforma Cartabia’).
In particolare la Corte distrettuale, dopo avere ritenuto la richiesta ammissibile sotto il profilo della tempestività, ha escluso di poterla accogliere tenuto conto dei reati commessi e del fatto che, poco dopo la consumazione di essi (nel febbraio 2015) , il condannato si era reso latitante recandosi in Australia dove era rimasto sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Le pene sostitutive richieste, a parere della Corte territoriale, non apparivano pertanto idonee a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato poiché – in considerazione della lunga durata della latitanza trascorsa in un altro continente – vi era il fondato motivo di ritenere che le relative prescrizioni non sarebbero state rispettate. Nel caso in esame, i dati fattuali erano indicativi della volontà di NOME COGNOME di sottrarsi alla custodia cautelare in carcere ed il rientro in Italia dopo otto anni di latitanza appariva dettato, unicamente, dalla intervenuta definitività della sentenza di condanna.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo p l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 178, lett. c) e 121 cod. proc. pen. per l’omessa valutazione della memoria difensiva depositata il giorno 28 aprile 2023 e della rilevante documentazione ad essa allegata; al riguardo osserva che la Corte di appello non ha nemmeno dato atto del suo deposito.
2.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della
motivazione dell’ordinanza impugnata che ha fondato il rigetto della istanza sulla ritenuta pericolosità del condannato, senza valutare la memoria difensiva e la documentazione ad essa allegata diretta a dimostrare l’assenza di pericolosità e la sua propensione al rispetto delle prescrizioni eventualmente imposte.
A tale fine il ricorrente aveva evidenziato che egli si era trasferito in Australia nel febbraio 2015 (vale a dire un anno prima della emissione della ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti) per avviare una attività lavorativa, come documentalmente dimostrato. Inoltre, al rientro in Italia, egli aveva trovato una attività lavorativa con regolare assunzione da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE a dimostrazione della volontà di rispetto delle regole e della assenza di pericolosità sociale, confermata anche dalla insussistenza di precedenti penali fatta eccezione per la condanna in oggetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso, i cui motivi sono infondati ed inammissibili, è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Anzitutto deve ricordarsi il principio secondo cui l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, Rv. 271600; ed anche Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, Rv. 267561). Deve pertanto essere escluso che il semplice deposito di una memoria difensiva nel corso del procedimento, il cui contenuto non sia oggetto di specifica confutazione da parte del giudice, determini una nullità /stante che, con evidenza, tale particolare sanzione, che, si ricorda, è sempre prevista a pena di tassatività, non è in alcun modo sancita dall’art. 121 cod.proc.pen. che pure dà facoltà alle parti di depositare tali atti nel corso del giudizio né da altre disposizioni del codice di rito. Il diverso indirizzo sostenuto da alcune pronunce di questa Corte (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259488; Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248551), secondo cui l’omessa valutazione di una memoria difensiva determina la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., in quanto impedisce all’imputato (o al condannato) di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-
reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell’imputato stesso, non può essere condiviso, in considerazione del principio di tassatività delle nullità (art. 177 cod. proc. pen.); pertanto, «dalla omessa considerazione di una memoria difensiva non consegue di per sé alcuna nullità, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge», sicché «le ragioni difensive vanno attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte, siano esse espresse in un motivo di impugnazione, in una memoria scritta o nell’ambito di un intervento orale, ma le conseguenze di una mancata considerazione rifluiscono sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che chiude la fase o il grado nel cui ambito tali ragioni, eccezioni, o motivi di impugnazione siano stati espressi» (Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME, Rv. 252713).
Ciò posto /si osserva che la Corte di appello, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha escluso la possibilità di concedere le pene sostitutive a NOME COGNOME dando rilievo, in particolare, alla sua prolungata latitanza in Australia (desunta dalla stessa documentazione prodotta dal ricorrente che, quindi, è stata oggetto di valutazione) ed il fatto che egli aveva fatto rientro in Italia solo dopo la irrevocabilità della condanna. Tali coerenti argomentazioni, quindi, non vengono inficiate dal contenuto della memoria e dei documenti ad essa allegati, atteso che il diniego è stato essenzialmente basato, come detto, sulla prolungata (e non contestata) latitanza del condannato, con la conseguente infondatezza del primo motivo.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato; deve, infatti, ricordarsi che la legge n. 689 del 1981, art. 58, conferisce al giudice un potere discrezionale di concedere o meno le pene sostitutive di cui all’art. 53 della stessa legge; in particolare, il citato art.58 prevede che il giudice non può tuttavia sostituire la pena detentiva con la pena sostitutiva quando presume che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Tale valutazione compiuta dal giudice avuto riguardo ai criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. e in ordine al pericolo che le prescrizioni non vengano adempiute costituisce un “accertamento di fatto”, incensurabile in sede di legittimità, ove motivato in modo non manifestamente illogico (Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, Rv. 263300).
3.1. Questa Corte ha già affermato il principio secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità la decisione del giudice di merito di non applicare, ad esempio per la sussistenza di precedenti penali, una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve (nonché ora della pena detentiva non superiore a quattro anni con le pene sostitutive) di cui alla I. 24 dicembre 1981, n. 689, art. 53 e segg. (Sez. 1, n.35849 del 17/05/2019, Rv.276716-01).
3.2. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, la Corte di appello di Reggio Calabria ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto non potesse provvedersi alla sostituzione della pena detentiva irrogata in sede di cognizione evidenziando, con motivazione coerente ed esente da vizi logici, le ragioni per le quali era presumibile che NOME COGNOME non avrebbe rispettato le prescrizioni impostegli con le invocate pene sostitutive; tale argomentazione non è manifestamente illogica e, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 1’11 gennaio 2024.