Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15574 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOMECUI: COGNOME nato a TREVISO il 28/06/1975
avverso la sentenza del 06/06/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge in punto di rigetto dell’applicazione ex art. 58 I. 689/81 dei lavori di pubblica utilità o, in subordine della detenzione domiciliare e della semilibertà, con un secondo motivo in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e con un terzo motivo in punto di dosimetria della pena, ritenuta eccessiva.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e- non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e, quanto al secondo e al terzo, afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi che li hanno indotti a negare la chiesta sostituzione della pena in ragione della negativa personalità dell’imputato, già gravato oltre che di tre precedenti specifici anche di condanne per resistenza, lesioni e ingiurie e del fatto che risulta dalla lettura del certificato penale che Doro ha già più volte usufruito di trattamento sanzionatorio sostitutivi (liberà controllata, lavoro di pubblica utilità, detenzion domiciliare), senza all’evidenza subirne alcuna deterrenza. Inoltre, dando atto che, da ultimo, Doro risulta avere eseguito l’ultima pena, inflitta per il resto di res stenza a pubblico ufficiale e lesione personale continuato, in regime di detenzione domiciliare in data 8.9.2017 ed è tornato a delinquere, commettendo i reati per i quali qui si procede, a distanza di dopo poco più di un anno.
Coerente, appare, pertanto il rilievo che non sussistono quindi spazi di affidabilità che consentano di formulare una prognosi positiva in ordine all’efficacia deterrente e rieducativa di nessuna delle pene sostitutive richieste.
Come è noto, l’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (rubricato “Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”), come
modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, intervenuto e ristrutturare in modo significativo la disciplina delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, stabilisce al primo comma che «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.
Ebbene, sul punto la sentenza impugnata opera un buon governo della giurisprudenza di questa Corte di iegittimità secondo cui la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una sanzione sostitutiva è legata, quindi, agli stessi criteri previsti dalla legge per la determinazione della pena, ed il giudizi prognostico positivo cui è subordinata la possibilità della sostituzione non può prescindere dal riferimento agli indici individuati dall’art. 133 cod. pen., sicché la r chiesta di sostituzione della pena detentiva impone al giudice di motivare sulle ragioni del diniego (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253102 – 01; Sez. 2, n. 7811, 01/10/1991, COGNOME, Rv. 191006; Sez. 2, n. 25085, 18/06/2010, COGNOME, Rv. 247853).
3.2. Quanto al secondo motivo, il ricorrente, non si confronta con l’ampia motivazione offerta a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche (negate sul motivato rilievo che la condotta complessiva dell’imputato predica invero della gravità del fatto, sia per l’elevatezza del tasso alcolemico riscontrato, sia per la pericolosità del contegno di guida. Dagli atti emerge infatti non solo che NOME viaggiava in stato di elevata alterazione alcolemica, ma anche che la revisione del mezzo era scaduta ed egli era privo di assicurazione. E che a ciò va aggiunto il negativo profilo soggettivo dell’imputato, gravato da plurime precedenti penali di cui tre specifici.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n 23055 del 23/4/2013, COGNOME e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
3.3. Anche la motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
I giudici del gravame del merito hanno peraltro operato una congrua riduzione dell’aumento per la continuazione e si sono attestati su una pena non lontana dal minimo edittale.
L’onere motivatorio, pertanto, è pienamente adempiuto costituendo ius receptum che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, COGNOME, Rv. 230278).
Ed invero, il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 de 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Il che non è nel caso che ci occupa.
I reati per cui, si procede non erano prescritti all’atto dell’emanazione della sentenza impugnata, e non lo sono nemmeno oggi, in quanto sono stati commessi il 15/11/2018 e ricadono sotto le previsioni della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019, data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla I. legge 27 settembre 2021, n. 134.ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado. Le contravvenzioni, in esame, pertanto, si sarebbero prescritte non prima del mese di giugno 2024.
Peraltro, nemmeno si sarebbe potuta porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen
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(così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impu-
gnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv.
231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi-
bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am-
mende.
Così deciso il 08/04/2025