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Pene sostitutive: l’obbligo del giudice di attivarsi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21929/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia. Nel caso di un uomo condannato per maltrattamenti in famiglia, la Corte ha annullato la decisione d’appello che negava la sanzione sostitutiva a causa della mancata ricezione del programma di trattamento dall’UEPE. La Cassazione ha chiarito che il giudice ha un preciso dovere di attivarsi per acquisire la documentazione necessaria, non potendo l’inerzia di un ente bloccare il diritto dell’imputato.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: il Giudice non può restare inerte

Con la recente sentenza n. 21929 del 2024, la Corte di Cassazione ha affermato un principio di cruciale importanza per l’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia. Il messaggio è chiaro: il giudice non può negare l’accesso a queste misure alternative solo perché l’ente preposto non ha inviato la documentazione richiesta. Al contrario, spetta al giudice un ruolo attivo per garantire l’effettività della riforma.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso ai danni della coniuge e in presenza dei figli minori. La condotta si era protratta per un lungo arco temporale. Dopo la condanna in primo grado e la parziale riforma della pena in appello, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione. Tra i vari motivi, quello decisivo riguardava proprio il diniego di accesso alle pene sostitutive.

La difesa aveva richiesto l’applicazione di una sanzione alternativa al carcere, come previsto dalla Riforma Cartabia. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto la richiesta, motivando il diniego con la mancata ricezione del programma di trattamento da parte dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), attribuendo di fatto l’inerzia alla difesa.

La disciplina delle pene sostitutive e il ruolo del Giudice

Il cuore della questione ruota attorno all’articolo 545-bis del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia. Questa norma ha creato una procedura specifica per l’applicazione delle pene sostitutive (come la semilibertà, la detenzione domiciliare o il lavoro di pubblica utilità) per condanne detentive fino a quattro anni.

La legge prevede che il giudice, dopo aver letto il dispositivo di condanna, debba avviare una fase dedicata a valutare questa possibilità. Se non può decidere immediatamente, deve fissare un’udienza apposita per acquisire tutte le informazioni necessarie, anche tramite l’UEPE o la polizia giudiziaria. Lo scopo è quello di promuovere la rieducazione del condannato e ridurre il sovraffollamento carcerario, due obiettivi centrali della riforma.

Le Motivazioni della Cassazione

La Sesta Sezione Penale della Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato su questo specifico punto, annullando la sentenza d’appello. I giudici supremi hanno stabilito che il mancato pervenimento del programma di trattamento da parte dell’UEPE non può costituire un ostacolo insormontabile all’applicazione delle pene sostitutive.

Secondo la Corte, il quadro normativo disegnato dalla Riforma Cartabia affida al giudice un vero e proprio ‘potere-dovere’. Egli non può essere un soggetto passivo in attesa della documentazione, ma deve assumere un ruolo proattivo. È suo obbligo, infatti, ‘compulsare’ l’ente competente, ovvero sollecitarlo e attivarsi affinché fornisca tutti gli elementi utili per la decisione. Attribuire la responsabilità di tale mancanza alla difesa o all’imputato sarebbe contrario alla lettera e allo spirito della legge.

La Corte ha quindi formulato il seguente principio di diritto: ‘ai fini della decisione sulla istanza di pena sostitutiva […] non osta alla sostituzione della pena la sola circostanza del mancato pervenimento del programma di trattamento, ove ritenuto necessario, alla cui formulazione l’ente competente deve essere compulsato da parte del giudice investito della decisione’.

Gli altri motivi di ricorso, relativi al vizio di mente e alla valutazione della responsabilità, sono stati invece ritenuti inammissibili, in quanto tendevano a una rivalutazione dei fatti già correttamente esaminati nei gradi di merito.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza in modo significativo l’istituto delle pene sostitutive. Stabilisce che le finalità rieducative e di ‘decarcerizzazione’ della Riforma Cartabia non possono essere frustrate da inerzie burocratiche. Il giudice di merito è chiamato a essere il garante di questo nuovo percorso sanzionatorio, esercitando attivamente i suoi poteri per acquisire ogni elemento necessario alla decisione. Si tratta di una pronuncia fondamentale che orienterà le future applicazioni pratiche, assicurando che l’accesso alle misure alternative al carcere sia un’opportunità concreta e non un percorso a ostacoli dipendente dall’efficienza di uffici terzi.

Cosa succede se l’UEPE non invia il programma di trattamento necessario per l’applicazione delle pene sostitutive?
Secondo la Cassazione, la mancata ricezione del programma non impedisce l’applicazione delle pene sostitutive. Il giudice ha il dovere di sollecitare attivamente l’ente competente (UEPE) per ottenere la documentazione necessaria alla sua decisione.

Qual è il ruolo del giudice nella procedura di applicazione delle pene sostitutive secondo la Riforma Cartabia?
Il giudice ha un ruolo attivo e non passivo. La legge gli conferisce un ‘potere-dovere’ di acquisire tutte le informazioni necessarie per decidere, fissando apposite udienze e compulsando gli uffici competenti. Non può semplicemente rigettare la richiesta a causa di ritardi burocratici.

Un disturbo della personalità è sufficiente per ottenere il riconoscimento del vizio di mente?
No, non automaticamente. Come ribadito in sentenza, i disturbi della personalità possono essere considerati come ‘infermità’ solo se sono di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, e se esiste un nesso causale con il reato commesso. Nel caso di specie, tale gravità non è stata riscontrata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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