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Pene sostitutive: lo stato detentivo non è un ostacolo

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Giudice dell’esecuzione che negava le pene sostitutive a un detenuto. La Corte ha stabilito che lo stato di detenzione per un’altra pena non è di per sé un ostacolo legale. La valutazione deve basarsi su un’analisi concreta della personalità e su un giudizio prognostico di rieducazione, non su motivazioni generiche.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: la Detenzione per Altro Reato non è un Ostacolo

Con la recente sentenza n. 33617/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicazione delle pene sostitutive, un istituto centrale della Riforma Cartabia. La decisione chiarisce un punto fondamentale: lo stato di detenzione di un soggetto per un’altra condanna non impedisce, di per sé, la concessione di una sanzione sostitutiva per un diverso reato. Questa pronuncia ribadisce l’importanza di una valutazione concreta e non astratta da parte del giudice.

I fatti del caso

Un condannato, attualmente detenuto con una pena che si estinguerà nel 2027, presentava istanza al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Taranto. La richiesta mirava a ottenere la sostituzione di un’altra pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità o, in subordine, con la detenzione domiciliare, in applicazione delle nuove norme introdotte dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022).

La decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza. Le ragioni del diniego si basavano principalmente su due elementi:
1. Lo stato detentivo del condannato, che rendeva impossibile formulare un giudizio prognostico favorevole, data la distanza temporale tra l’eventuale programma di lavoro e l’effettiva esecuzione della pena sostitutiva.
2. Una generica valutazione negativa sulla “personalità del reo”.

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge e un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che la motivazione fosse astratta e che il giudice avesse ignorato che la Riforma Cartabia ha eliminato la recidiva reiterata come causa ostativa all’applicazione delle pene sostitutive.

Le motivazioni della Cassazione: applicabilità delle pene sostitutive al detenuto

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su principi chiari e logicamente concatenati.

Innanzitutto, la Corte ha definito la motivazione del giudice di merito come “meramente imperniata su una non meglio specificata ‘personalità del reo’ e sullo status detentionis dell’istante”. Una motivazione, quindi, inadeguata e laconica.

Il punto centrale della sentenza è l’affermazione che lo stato di detenzione per un’altra pena definitiva non costituisce una causa ostativa all’applicazione delle sanzioni sostitutive. La legge, infatti, non solo non prevede tale incompatibilità, ma disciplina espressamente la coesistenza di più titoli esecutivi. Gli articoli 62, 63 e 70 della Legge 689/1981, come modificati dalla riforma, regolano le modalità di esecuzione delle pene sostitutive proprio per i soggetti che si trovano già detenuti, stabilendo che la pena sostitutiva inizi a decorrere dal giorno successivo alla dimissione.

Questo significa che il legislatore ha previsto e gestito il fenomeno, scegliendo di posticipare la risoluzione pratica della coesistenza delle pene alla fase esecutiva, senza che ciò influenzi la decisione del giudice in fase di cognizione (o, come in questo caso, del giudice dell’esecuzione che agisce come sua ‘appendice’ in base alle norme transitorie).

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella critica al metodo valutativo del primo giudice. La Cassazione ribadisce che il giudizio prognostico per la concessione delle pene sostitutive deve essere ancorato ai criteri dell’art. 133 del codice penale. Questo significa che il giudice deve compiere una valutazione discrezionale, ma non arbitraria, basata su elementi concreti.

Non è sufficiente un generico riferimento alla “personalità del condannato”. È necessaria un’analisi completa che includa la gravità del fatto, i precedenti penali, ma anche e soprattutto la condotta post delictum, ovvero il comportamento tenuto dopo il reato, e le condizioni di vita personali. Il giudice ha il dovere di motivare adeguatamente perché ritiene che le sanzioni sostitutive non siano idonee alla rieducazione del condannato e a prevenire la commissione di nuovi reati.

Ancorare la decisione allo status detentionis, come fatto nel caso di specie, costituisce una violazione di legge, poiché si trasforma una circostanza di fatto, che la legge non considera ostativa, in un impedimento assoluto.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante vademecum per i giudici dell’esecuzione chiamati ad applicare le norme transitorie della Riforma Cartabia. Essa stabilisce che la valutazione per la concessione delle pene sostitutive deve essere autonoma e completa, senza farsi condizionare da circostanze come lo stato di detenzione per altra causa. Il focus deve rimanere sul giudizio prognostico, fondato su un esame approfondito della personalità del condannato e del suo percorso, anche successivo al reato. Un diniego basato su motivazioni generiche o su ostacoli non previsti dalla legge è illegittimo e, come in questo caso, destinato all’annullamento.

Una persona già in carcere per un reato può ottenere le pene sostitutive per un’altra condanna?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, lo stato di detenzione per un’altra causa non è un ostacolo legale all’applicazione delle pene sostitutive. La legge stessa prevede e regola come gestire l’esecuzione della pena sostitutiva una volta terminato il precedente periodo di detenzione.

Cosa deve valutare il giudice per concedere le pene sostitutive?
Il giudice deve compiere un giudizio prognostico basato sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Deve analizzare in modo concreto la gravità del reato, i precedenti, la personalità del condannato, ma anche il suo comportamento dopo il reato (condotta post delictum) e le sue condizioni di vita personali, per stabilire se la misura alternativa sia idonea alla sua rieducazione.

Perché la decisione del giudice di Taranto è stata annullata?
È stata annullata perché basata su una motivazione inadeguata e in violazione di legge. Il giudice ha erroneamente considerato lo stato di detenzione del condannato come un ostacolo alla concessione delle pene sostitutive e ha fatto un riferimento troppo generico e non argomentato alla “personalità del reo”, senza compiere la necessaria e approfondita valutazione prognostica richiesta dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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