Pene Sostitutive e Riforma Cartabia: Quando la Richiesta dell’Imputato è Fondamentale
L’introduzione delle pene sostitutive da parte della Riforma Cartabia ha rappresentato una svolta nel sistema sanzionatorio penale, offrendo alternative concrete alla detenzione per reati di minore entità. Tuttavia, l’accesso a tali misure non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 46109/2024) chiarisce un punto procedurale cruciale: la necessità di una richiesta esplicita da parte dell’imputato nel giudizio d’appello. Questa decisione sottolinea l’importanza di un ruolo attivo della difesa per poter beneficiare delle nuove disposizioni.
I Fatti del Caso: Il Diniego della Conversione della Pena
Nel caso di specie, un imputato si è visto irrogare una pena detentiva e ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello che non aveva convertito tale pena in una delle pene sostitutive previste dalla legge n. 689/1981, come modificata dalla Riforma Cartabia. Il ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto procedere alla conversione.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle Pene Sostitutive
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
La Necessità di una Richiesta Esplicita
Il primo punto, dirimente, riguarda l’onere della richiesta. La Suprema Corte ha ribadito che, affinché il giudice d’appello possa applicare le pene sostitutive secondo la disciplina transitoria della Riforma Cartabia (art. 95, D.Lgs. n. 150/2022), è indispensabile una specifica richiesta da parte dell’imputato. Tale istanza non deve necessariamente essere contenuta nell’atto di impugnazione originario, ma deve pervenire al più tardi durante l’udienza di discussione dell’appello. In assenza di tale richiesta, il giudice non è tenuto a pronunciarsi d’ufficio sulla questione.
La Valutazione Discrezionale del Giudice di Merito
Il secondo aspetto analizzato dalla Corte riguarda la motivazione del diniego da parte dei giudici d’appello. Questi ultimi avevano espresso un giudizio di prognosi sfavorevole sulla futura condotta del ricorrente, ritenendo probabile la reiterazione di reati. La Cassazione ha specificato che questa valutazione è un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per manifesta illogicità. Nel caso concreto, la valutazione non si era limitata alla gravità astratta del reato, ma aveva considerato l’incidenza dell’illecito sulla capacità a delinquere dell’imputato e altri aspetti soggettivi della sua personalità, rendendo la motivazione congrua e non illogica.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Le motivazioni della Corte si allineano a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La ratio è chiara: le pene sostitutive, pur essendo un’alternativa preferibile al carcere in molti casi, richiedono un’adesione, anche implicita, del condannato al percorso rieducativo che esse comportano. La richiesta formale funge da presupposto processuale che attiva il potere-dovere del giudice di valutare l’applicabilità della misura. Inoltre, la Corte conferma che la valutazione del giudice di merito sulla personalità dell’imputato e sul rischio di recidiva è un elemento centrale e discrezionale, che non può essere scavalcato se non in presenza di vizi logici evidenti. La prognosi sfavorevole, se ben argomentata, è sufficiente a giustificare il diniego della conversione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza offre una lezione pratica fondamentale per gli avvocati difensori. Per sperare di ottenere la conversione di una pena detentiva in pene sostitutive nel giudizio di appello, non è sufficiente sperare in un’applicazione automatica della legge. È essenziale formulare una richiesta esplicita e tempestiva, al più tardi in sede di udienza. Inoltre, è cruciale preparare argomentazioni solide per contrastare un’eventuale prognosi sfavorevole, fornendo al giudice elementi concreti (comportamento processuale, progetti di vita, attività lavorativa) che possano supportare una valutazione positiva sulla futura condotta dell’assistito.
Per ottenere le pene sostitutive in appello, è sufficiente che sussistano i requisiti di legge?
No. Secondo la Corte di Cassazione, oltre ai requisiti di legge, è necessaria una richiesta esplicita da parte dell’imputato. Senza questa istanza, il giudice d’appello non è tenuto a valutare la conversione della pena.
Entro quale termine deve essere presentata la richiesta per le pene sostitutive in appello?
La richiesta non deve essere necessariamente inserita nell’atto di impugnazione iniziale. Può essere formulata anche con motivi nuovi o, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame.
Un giudice può negare le pene sostitutive anche se l’imputato ne ha fatto richiesta?
Sì. Il giudice può negare l’accesso alle pene sostitutive se, sulla base di una valutazione discrezionale, esprime un giudizio di prognosi sfavorevole, ovvero se ritiene che vi sia un concreto rischio che l’imputato possa commettere nuovi reati. Tale decisione, se motivata in modo logico e congruo, non è sindacabile dalla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46109 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 08/01/1977
avverso la sentenza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo di cui si compone il ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione per mancata conversione della pena detentiva irrogata nei confronti del ricorrente in una delle pene sostitutive ex art.53 della legge n. 689 del 24 novembre del 1981, è manifestamente infondato, poiché la Corte territoriale sul punto si è conformata ai principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, dovendosi a tal proposito sottolinearsi come sia ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: «In tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame» (ex plurimis: sez. 2 , n. 12991 del 01/03/2024 , Generali, Rv. 286017 – 01; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751 01);
che, inoltre, come emerge da pag. 3 dell’impugnata sentenza, i giudici di appello hanno anche compiutamente indicato congrue e non illogiche ragioni a base della ritenuta insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva da parte dell’odierno ricorrente, esprimendo un giudizio di prognosi sfavorevole sulla non reiterazione futura di reati, secondo un giudizio tipicamente di merito che non scade nell’illogicità quando, come nel caso in esame, la valutazione del giudice non si esaurisca nel giudizio di astratta gravità del reato, ma esamini l’incidenza dell’illecito sulla capacità a delinquere dell’imputato e, quindi, evidenzi aspetti soggettivi della personalità dell’imputato che ne hanno orientato la decisione;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.