Pene Sostitutive: La Domanda in Appello è un Requisito Essenziale
L’accesso alle pene sostitutive rappresenta un aspetto cruciale della difesa penale, offrendo un’alternativa al carcere per reati di minore gravità. Tuttavia, come chiarito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, tale beneficio non è un automatismo. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 35749/2024, ha ribadito un principio fondamentale: l’applicazione di queste pene deve essere espressamente richiesta dall’imputato nel giudizio di appello. In caso contrario, il ricorso è destinato all’inammissibilità.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di una condanna da parte della Corte d’Appello di Cagliari, ha presentato ricorso per Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava la mancata applicazione di pene sostitutive. L’imputato sosteneva che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto concederle d’ufficio, cioè senza una specifica richiesta. La questione, quindi, era puramente procedurale: l’applicazione di una pena alternativa alla detenzione è un diritto automatico o una facoltà che necessita di un’istanza di parte?
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La Corte ha stabilito che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’applicazione delle pene sostitutive non avvenga d’ufficio. È necessaria una domanda esplicita dell’imputato, che può essere formulata anche semplicemente nelle conclusioni scritte depositate nel giudizio di appello. Poiché nel caso di specie tale richiesta era mancata, il ricorso è stato respinto.
In applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché le Pene Sostitutive vanno richieste?
La motivazione della Corte si fonda su un principio di auto-responsabilità processuale. Il sistema non prevede che il giudice debba sostituirsi alla difesa nel valutare e richiedere l’opzione più vantaggiosa per l’imputato. La scelta di chiedere o meno una pena sostitutiva è una strategia difensiva che spetta unicamente alla parte. Mancando tale impulso, il giudice non è tenuto (né autorizzato) a intervenire.
La Corte ha richiamato un suo precedente specifico (sentenza n. 46013 del 2023), che aveva già consolidato questo orientamento. L’assenza di una deduzione con l’appello rende il motivo del successivo ricorso per Cassazione manifestamente infondato, attivando il meccanismo sanzionatorio previsto per le impugnazioni dilatorie o pretestuose. La condanna al pagamento della somma alla Cassa delle ammende non ha una funzione risarcitoria, ma serve a scoraggiare ricorsi palesemente privi di fondamento.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza offre un monito chiaro per gli avvocati difensori. È fondamentale che, già nel giudizio di appello, venga formalizzata la richiesta di applicazione di pene sostitutive, qualora ne sussistano i presupposti. Tale istanza deve essere inserita nell’atto di impugnazione o, al più tardi, nelle conclusioni scritte, per evitare che un’eventuale successiva doglianza in Cassazione venga dichiarata inammissibile. La decisione evidenzia l’importanza di una gestione attenta e proattiva della strategia processuale, poiché un’omissione, anche se apparentemente formale, può precludere definitivamente l’accesso a benefici di legge significativi per l’assistito.
L’applicazione delle pene sostitutive è automatica da parte del giudice?
No, la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione delle pene sostitutive non avviene d’ufficio, ma deve essere oggetto di una specifica domanda da parte dell’imputato.
In quale momento processuale deve essere presentata la richiesta di pene sostitutive?
La richiesta deve essere formulata durante il giudizio di merito, in particolare con l’atto di appello o, al più tardi, con le conclusioni scritte depositate prima della decisione della Corte d’Appello.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è determinato equitativamente dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35749 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico dedotto è manifestamente infondato, atteso che in caso di mancata deduzione con l’appello, la giurisprudenza si è attestata sul principio che l’applicazione delle pene sostitutive non avviene d’ufficio ma a domanda dell’imputato, sia pure formulata con le conclusioni scritte (Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, Fancellu, Rv. 285491);
rilevato che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il giorno il 9 settembre 2024
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