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Pene Sostitutive: la richiesta è necessaria in appello

Un individuo, condannato per violazione della sorveglianza speciale, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare le nuove pene sostitutive previste dalla Riforma Cartabia. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo un principio fondamentale: l’applicazione di tali sanzioni alternative in appello non è automatica, ma richiede una specifica e tempestiva richiesta da parte dell’imputato. In assenza di tale istanza, il giudice non è tenuto a considerare questa opzione.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: la Cassazione stabilisce la necessità di una richiesta esplicita

Con la sentenza n. 11194 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale sull’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia nei processi d’appello. La decisione sottolinea che, affinché il giudice di secondo grado possa valutare l’applicazione di sanzioni alternative alla detenzione, è indispensabile una richiesta esplicita da parte dell’imputato. In assenza di tale istanza, la Corte d’Appello non è tenuta a pronunciarsi d’ufficio.

I Fatti del Caso: Violazione della Sorveglianza Speciale

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo alla pena di dieci mesi di reclusione per la violazione degli obblighi connessi alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. La condanna, emessa dal Tribunale e parzialmente riformata in appello, riguardava un reato commesso nel 2019, posto in continuazione con un episodio analogo del 2016.

Il Ricorso in Cassazione e le Pene Sostitutive

L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello non avesse considerato la possibilità di applicare le nuove pene sostitutive (come la detenzione domiciliare o la semilibertà), introdotte dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. n. 150/2022). Secondo la difesa, essendo la nuova disciplina applicabile ai processi in corso, il giudice avrebbe dovuto valutare d’ufficio se sussistessero i presupposti per sostituire la pena detentiva, anche senza una richiesta specifica.

La Decisione della Corte: la Necessità della Richiesta per le Pene Sostitutive

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente la tesi difensiva. Gli Ermellini hanno ribadito che, sebbene le nuove norme siano applicabili ai giudizi pendenti in appello, la loro attivazione non è automatica. La sostituzione della pena detentiva non costituisce un diritto dell’imputato, ma rientra nel potere discrezionale del giudice, che deve valutare l’idoneità della misura alternativa alla rieducazione del condannato e alla prevenzione di nuovi reati, secondo i criteri dell’art. 133 c.p.

Il Principio di Diritto Affermato

Il punto centrale della decisione risiede nell’affermazione di un principio procedurale chiaro: per ottenere la valutazione sull’applicabilità delle pene sostitutive in appello, l’imputato deve formulare una richiesta esplicita. Questa richiesta può essere inserita nell’atto di appello o presentata successivamente, ma non oltre l’udienza di discussione. Nel caso di specie, l’imputato non aveva mai avanzato tale richiesta, né nell’atto di gravame né in momenti successivi. Di conseguenza, la Corte d’Appello non era tenuta a pronunciarsi sulla questione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando un precedente specifico (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023) che aveva già tracciato questa linea interpretativa. La logica sottostante è che la valutazione delle pene sostitutive implica un’analisi complessa della personalità del condannato e delle circostanze del reato, analisi che il giudice è tenuto a compiere solo se sollecitato da una parte processuale. Lasciare questa valutazione all’iniziativa d’ufficio del giudice in ogni singolo caso appesantirebbe l’iter processuale e andrebbe contro i principi di economia e di impulso di parte che governano il processo d’appello. La richiesta dell’imputato funge quindi da presupposto necessario per attivare il potere discrezionale del giudice su questo specifico punto.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ha un’importante implicazione pratica per la difesa tecnica. Gli avvocati devono essere consapevoli che, per beneficiare delle opportunità offerte dalla Riforma Cartabia in materia di sanzioni alternative, è necessario un ruolo attivo. Non basta che sussistano le condizioni di legge (pena inferiore a quattro anni); occorre presentare una richiesta formale e tempestiva al giudice d’appello. In mancanza, si perde la possibilità di vedere sostituita una pena detentiva breve con una misura meno afflittiva e potenzialmente più efficace dal punto di vista rieducativo. La pronuncia consolida un orientamento che responsabilizza l’imputato e il suo difensore, rendendoli protagonisti attivi nella scelta del percorso sanzionatorio.

È possibile chiedere l’applicazione delle pene sostitutive della Riforma Cartabia per processi già in corso in appello?
Sì, la disciplina delle pene sostitutive introdotta dalla Riforma Cartabia è applicabile anche ai processi che si trovavano in grado di appello al momento della sua entrata in vigore.

Il giudice d’appello è obbligato a valutare d’ufficio l’applicazione delle pene sostitutive?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la sostituzione della pena non è un diritto dell’imputato né un obbligo per il giudice. Si tratta di una valutazione discrezionale che il giudice compie solo se vi è una richiesta specifica da parte dell’imputato.

Cosa succede se l’imputato non formula una richiesta specifica per le pene sostitutive in appello?
Se l’imputato non formula una richiesta esplicita, né nell’atto di appello né con un atto successivo prima della discussione, il giudice non è tenuto a pronunciarsi sulla possibilità di applicare una sanzione sostitutiva e non può applicarla. Di conseguenza, la pena detentiva, se confermata, rimane tale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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