Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31265 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31265 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a TORRE DEL GRECO il 13/06/1974
avverso la sentenza del 29/11/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna e per il rigetto, nel resto, del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 29 novembre 2024, la Corte di appello di Perugia ha, in riforma della decisione liberatoria del Tribunale di Terni in data 22 settembre 2021, affermato la responsabilità penale di NOME COGNOME per i reati di falso in atto pubblico e tentata truffa in riferimento alla formazione di un falso bollettino postale, comprovante il pagamento di una sanzione pecuniaria per violazione del Codice della strada, esibito al Corpo di Polizia Municipale al fine di ottenere la restituzione di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo.
Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l’imputata, con atto a firma del difensore, Avvocato NOME COGNOME affidando le proprie censure a quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., ai quali premette il riepilogo della vicenda processuale.
2.1. Con il primo motivo, impugna l’ordinanza del 29 novembre 2024, con la quale la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio dell’imputata, notificato al difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Evidenzia, al riguardo, come: il decreto di citazione non sia stato notificato il 27 settembre 2023 presso il domicilio eletto per irreperibilità ivi dell’imputata, bensì, il 29 novembre 2023 al difensore; il 13 febbraio 2024 il difensore ha depositato le conclusioni scritte per l’udienza cartolare del 19 febbraio 2024; all’udienza del 19 febbraio 2024, la Corte ha disposto la rinnovazione del dibattimento, che ha avuto luogo all’udienza del 29 novembre 2024; in quella sede, il difensore ha eccepito la nullità della notifica del decreto di citazione; la Corte d’appello ha ritenuto preclusa la deduzione, opinando che il difensore avrebbe dovuto porre la questione all’udienza del 19 febbraio 2024. Deduce, invece, il ricorrente: che la notificazione ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. sia irrituale, in assenza di specifici accertamenti sull’irreperibilità dell’imputata e della nomina del difensore di fiducia; che da alcun elemento è dato inferire la conoscenza della celebrazione del processo in capo all’imputata; che la relativa nullità, d’ordine generale e a regime intermedio, poteva esser dedotta sino alla deliberazione della sentenza.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge, in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen. quanto all’affermazione di responsabilità.
Evidenzia, al riguardo, come la Corte d’appello abbia riformato il verdetto assolutorio, GLYPH fondato GLYPH sulla GLYPH verosimiglianza GLYPH di GLYPH errori GLYPH di GLYPH digitalizzazione
dell’operazione postale, alla stregua delle mere dichiarazioni dell’addetta della Polizia Municipale che aveva visionato l’originale del bollettino, estraendone copia, senza alcuna verifica del documento, non presente in atti, e senza tener conto delle dichiarazioni della teste COGNOME che ha dichiarato di non aver svolto accertamenti specifici sulla registrazione dei pagamenti, con conseguente difetto di elementi probatori univoci, tali da escludere l’errore ritenuto in primo grado. Ne consegue, ad avviso della ricorrente, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per essere stata l’affermazione di responsabilità fondata su un unico indizio, la copia della ricevuta. Parimenti errata è la sentenza nella parte in cui individua nell’imputata l’autrice della contraffazione, valorizzando circostanze ipotetiche e congetturali.
2.3. Con il terzo motivo, contesta il diniego del beneficio della non menzione della condanna per avere la Corte di merito valorizzato, sul punto, la capacità decettiva dell’imputata, ignorando, invece, gli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen. e lo stato di incensuratezza.
2.4. Con il quarto motivo, deduce mancanza di motivazione sulle richieste, svolte in via subordinata, di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e delle sanzioni sostitutive di cui all’art. 20 -bis cod. pen.
Nella requisitoria, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna e per il rigetto, nel resto, del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al quarto motivo.
1.11 primo motivo è infondato.
1.1. Il tema che il motivo impone di affrontare attiene alla citazione dell’imputato nel giudizio d’appello introdotto dall’impugnazione del Procuratore generale.
Dalla lettura degli atti, consentita a questa Corte per la soluzione della questione processuale proposta (Sez. U. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01), risulta che la notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello al domicilio, dichiarato dall’imputata nell’atto di nomina del difensore del
21 aprile 2020, non è andata a buon fine per irreperibilità della destinataria, e che, invece, la notifica effettuata ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. al difensore di fiducia ha raggiunto senz’altro il suo scopo, posto che l’Avv. Trabalza depositava le conclusioni per l’udienza di trattazione scritta fissata per il 19 febbraio 2024, senza svolgere alcun rilievo sulla vocatio in iudicium. Solo all’udienza di trattazione orale del 29 novembre 2024 – udienza fissata ex officio dalla Corte per dare corso alla rinnovazione dell’istruttoria ai sensi dell’art. 603, comma 1-bis cod. proc. pen. – il difensore dell’imputata eccepiva la nullità della notifica.
Ebbene, la questione presuppone la soluzione di due quesiti: se, effettivamente, la notifica al difensore è stata irrituale; se ed entro quali limiti la relativa nullità può essere dedotta.
1.2. Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (n. 58120 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 271772 – 01), l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157 cod. proc. pen.
Ed è quanto si è verificato – come ricostruito supra nel caso in esame, poiché all’attestazione di irreperibilità al domicilio dichiarato è seguita la notificazione al difensore di fiducia, la cui nomina dispiega i suoi effetti anche per il giudizio di appello, salva rinuncia o revoca del mandato difensivo.
La notificazione del decreto di citazione in appello è stata, pertanto, ritualmente eseguita; il che rende irrilevante la motivazione rassegnata dalla Corte territoriale in ordine al termine di deduzione della nullità della citazione a giudizio (Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 255515 – 01). Il primo motivo è, pertanto, infondato.
2. Il secondo motivo è, del pari, non conducente.
2.1. Premesso che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono
essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04) e,riguardata la doglianza sub specie di vizio della motivazione, ritiene il Collegio che la Corte di merito abbia dato seguito all’onere di motivazione che l’opposto epilogo decisorio assunto rispetto alla sentenza di primo grado impone.
Se, invero, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01), è agevole rilevare come la sentenza impugnata dia conto ampiamente dell’insostenibilità della tesi sostenuta dal Tribunale che, accreditando il dubbio su un errore di digitazione dei dati contenuti nel bollettino di pagamento, non ha sciolto il nodo dell’incontestata mancata rimessa, a Comune destinatario, dell’importo della sanzione, in assenza di qualunque iniziativa che, in caso di effettiva compilazione erronea, l’interessata avrebbe dovuto assumere, nel proprio interesse, per la necessaria rettifica.
Ne discende che la riforma del verdetto assolutorio è stato deliberato i alltsito della rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod. proc. pen., e secondo un percorso argomentativo del tutto plausibile, e tale da superare, con maggior grado di coerenza e razionalità nella valutazione del compendio probatorio, l’esito liberatorio di primo grado.
2.2. Nel resto, il motivo di ricorso finisce per risolversi in un mero dissenso e predica l’omessa acquisizione dell’originale del bollettino che – a fronte dell’argomento per cui l’importo della sanzione non risulta pervenuto all’Ente territoriale e che non risultano contestazioni o richieste di storno rivolte dall’imputata a Poste Italiane – nessun ulteriore elemento informativo, tale da determinare un diverso epilogo decisorio, avrebbe potuto introdurre.
Ig secondo motivo è, pertanto, infondato.
È, invece, fondato il quarto motivo, nella duplice declinazione ivi rassegnata, che assorbe le censure formulate con la terza doglianza.
3.1.1. È, invero, censurabile in sede di legittimità la decisione, resa in grado di appello, in cui sia stata del tutto omessa la presa in carico di un motivo di gravame, non potendosi ritenere che la pronunzia reiettiva dell’impugnazione sia sorretta, sul punto, da motivazione implicita, quand’anche le ragioni a fondamento del rigetto possano ricavarsi dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza; diversamente opinando, si finirebbe per consentire al giudice di legittimità di sostituire irritualmente il proprio ragionamento a quello del giudice di merito, che non ha mai preso in carico la questione e, quindi, non l’ha mai scrutinata (Sez. 2, n. 2103 del 17/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287330 – 01; N. 5396 del 2023 Rv. 284096 – 01,N. 12624 del 2019 Rv. 275057 – 01).
3.1.2. Ne discende che, a fronte della richiesta di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., rassegnata nelle conclusioni dal difensore (come emerge dalla lettura del verbale dell’udienza del 29 novembre 2024), la Corte avrebbe dovuto farsi carico della relativa questione che non può, per quanto sopra rilevato, ritenersi implicitamente disattesa.
3.2.1. La Corte di merito è incorsa nella stessa omissione anche in riferimento alla richiesta, formulata nella stessa udienza, di applicazione di sanzioni sostitutive ai sensi dell’art. 20 -bis cod. pen.
Se, invero, il giudice d’appello non può disporre la sostituzione “ex officio” nel caso in cui, nell’atto di gravame, non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello (Sez. 2, n.14168 del 25/03/2025, Consoli, Rv.287820 – 01), deve ritenersi la tempestività della relativa richiesta e, dunque, l’obbligo del giudice di appello di assumere la relativa statuizione quando, all’esito dell’appello della parte pubblica, l’imputato appellato formuli la domanda di sostituzione nelle conclusioni.
3.2.2. Sotto altro profilo, questa Sezione ha affermato che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61 -bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non si estende ai fatti – quali quelli in esame – commessi prima dell’entrata in vigore di tale ultima disposizione, trovando applicazione, per la natura sostanziale della previsione con essa introdotta, il disposto di cui all’art. 2, comma quarto, cod. pen., che, in ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, prescrive l’applicazione della norma più favorevole all’imputato (Sez.5,
n.45583 de/03/12/2024, COGNOME, Rv.287354 -01, alla cui dettagliata motivazione si rimanda).
Ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive in luogo di quelle detentive, i criteri cui fare riferimento sono, pertanto, quelli stabiliti dall’art. 53, comma 1, I. n. 689 del 1981, nel testo scaturente dalla modifica apportata dall’art. 4, comma 1, lett. a, legge 12 giugno 2003, n. 134, non potendosi combinare frammenti di discipline normative differenti, che darebbero altrimenti origine a una tertia lex non prevista dal legislatore, con conseguente violazione del principio di legalità (Sez. 3, n. 33149 del 07/06/2024, cit).
Va, qui, solo ribadito come, nell’affrontare la questione, si è affermato che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61 – bis, legge n. 689 del 1981, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022, non si estende ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale ultima disposizione (Sez. 3, n. 33149 del 07/06/2024, V., Rv. 286751 – 01). Ciò consegue alla natura sostanziale delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, le quali, per il loro carattere afflittivo, per la lor convertibilità, in caso di revoca, nella pena sostituita residua, per lo stretto collegamento esistente con la fattispecie penale cui conseguono, hanno natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive della pena detentiva sostituita e che, pertanto, le disposizioni che le contemplano hanno natura sostanziale e sono soggette, in caso di successioni di leggi nel tempo, alla disciplina di cui al citato art. 2, quarto comma, cod. pen. (Sez. U, n. 11397 del 25/10/1995, COGNOME, Rv. 202870 – 01; Sez. F, n. 32799 del 17/08/2011, COGNOME, Rv. 251007 – 01; Sez. 4, n. 29504 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273082 – 01). Si è, altresì, precisato che, al fine di individuare la disposizione più favorevole, il citato art. 2 impone di fare un raffronto tra le discipline complessive dei due istituti e, individuata la disposizione complessivamente più favorevole, occorre applicarla nella sua integralità, non potendosi combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, atteso che in tal modo si verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore con violazione del principio di legalità (ex plurimis, Sez. U, n. 10626 del 06/10/1979, Maggi, Rv. 089651 -01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue che, per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore degli artt. 58 e 61 -bis, I. n. 689 del 1981, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022, la mancata applicazione della pena sostitutiva in luogo di pena detentiva non può essere giustificata dall’avvenuta concessione della
sospensione condizionale, posto che, al momento della commissione di tali fatti, i due istituti erano tra loro compatibili nell’assetto complessivo del sistema normativo.
E poiché i fatti per cui si procede sono stati commessi in data 29 marzo 2017, e perciò anteriormente all’entrata in vigore della cd. riforma Cartabia, la concessione della sospensione condizionale della pena non costituiva ostacolo per l’applicazione della pena sostitutiva.
Ne consegue che erroneamente la sentenza impugnata ha omesso di assumere in carico la richiesta di applicazione della pena sostitutiva avanzata dall’imputata.
Le rilevate omissioni impongono l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Firenze perché, in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati, valuti se sia applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. o, in caso di sua esclusione, la pena sostitutiva in luogo di quella detentiva.
In caso di conferma della statuizione di condanna, la Corte del rinvio valuterà anche la questione – qui assorbita – proposta nel terzo motivo.
4.1. Se è vero, infatti, che, come ha già più volte avuto modo di affermare questa Corte, il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio della “emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, è altresì indiscusso che il giudice deve indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275813 – 01). La valutazione del giudice riguardo alla concedibilità del beneficio in parola deve, invero, intervenire esclusivamente sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto della ratio di tale istituto, diretto a favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione di conseguenze del reato suscettibili di compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro (Sez. 3, n. 24362 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284669 01; conf.: n. 560 del 1995, Rv. 200029-01), specificamente, mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato.
Non è pertanto necessariamente contraddittoria la decisione che – come nel caso di specie – neghi uno dei due benefici e conceda l’altro, ovvero riconosca le
circostanze attenuanti generiche negando il beneficio della non menzione, purché dalla motivazione possano cogliersi le ragioni per le quali la persona sia stata ritenuta meritevole solo dell’uno e non dell’altro beneficio, ben potendo i rispettivi riconoscimenti ruotare intorno ai medesimi aspetti.
4.2. Nel caso in esame, la Corte di merito, pur avendo riconosciuto le circostanze attenuanti generiche ed il beneficio della sospensione condizionale della pena, in considerazione dell’incensuratezza e dell’occasionalità della condotta, ha poi negato la non menzione motivando il diniego sulla base unica ed esclusiva della natura del reato. Assume sul punto la Corte territoriale che l’occasionalità della condotta non è di per sé sufficiente a concedere il beneficio avuto riguardo alla “capacità decettiva” dimostrata; il che altro non aggiunge all’oggettività del reato e vale a dire che il solo fatto che si tratti, in astratto, di reato contro la fede pubblica osterebbe, di per sé, al riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale perché in relazione a tale tipo di reato sussisterebbe sempre – secondo i giudici di secondo grado – un ragionevole interesse della comunità a conoscere, anche nei rapporti privati, l’esistenza di tale precedente.
Ne discende che la motivazione s’appalesa, sul punto, meramente assertiva e tautologica, poiché non si confronta, superandole, con le ragioni favorevoli rassegnate sui punti delle circostanze attenuanti e della prognosi positiva riguardo il pericolo di recidiva, ed affida la sua valutazione negativa unicamente alla natura astratta del reato, senza affrontare il tema sotteso al tipo di valutazione che l’istituto in parola richiede.
La ratio sottesa al riconoscimento della non menzione non risiede nella pubblicità legata alla tipologia del reato al quale è riferita la condanna prevista a tutela dei terzi (Sez. 3, n. 23841 del 17/05/2022, COGNOME non mass.), bensì nell’agevolazione al reinserimento sociale ad esclusivo beneficio del condannato; esigenza rispetto alla quale l’interesse dei terzi è stata già dal legislatore ritenuta, a monte, soccombente allorquando ricorrano determinate circostanze – enucleabili a lume dell’art. 133 cod. pen. – che militano in favore dell’imputato e del suo reinserimento sociale.
Il giudizio sulla concedibilità del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è, dunque, subordinato esclusivamente alla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., sicché resta precluso ogni altro criterio di valutazione (Sez. 1, n. 560 del 22/11/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 200029 – 01) e deve escludersi che la natura del reato, quali che fossero le ragioni addotte dalla difesa a supporto della
richiesta, possa costituire una risposta adeguata ai fini del diniego del beneficio in parola, non afferendo né alla valutazione complessiva del fatto, né alla personalità dell’imputato.
Ne discende che, alla luce dei predetti criteri, la Corte di merito (ri)valuterà, se del caso, anche la concessione o meno del beneficio della non menzione della condanna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 settembre 2025
Il Consigliere estensore