Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34819 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34819 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME, nato in Cina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/01/2025 della Corte d’appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la memoria e conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato, con la conferma della sentenza impugnata anche nella parte relativa alle statuizioni civili e con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla suddetta parte civile, come da nota spese che allega;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio con riguardo al primo motivo e il rigetto del ricorso nel resto;
udita l’AVV_NOTAIO, in difesa della parte civile RAGIONE_SOCIALE, la quale si è riportata alle conclusioni scritte e ha depositato la nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, il quale si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/01/2025, la Corte d’appello di Trieste confermava la sentenza del 08/06/2022 del Tribunale di Udine con la quale NOME era stato condannato alla pena di due mesi di reclusione ed € 100,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di ricettazione di 34 paia di scarpe provenienti dal delitto di alterazione di marchio, specificamente, del marchio registrato da “RAGIONE_SOCIALE, e di detenzione per la vendita e messa in vendita delle medesime scarpe.
Avverso l’indicata sentenza del 13/01/2025 della Corte d’appello di Trieste, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 61-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, «come vigente ratione temporis», e l’erronea applicazione «del principio di diritto in tema di compatibilità tra pene sostitutive e sospensione condizionale della pena per fatti anteriori all’entrata in vigore della riforma Cartabia».
Lamenta che la Corte d’appello di Trieste abbia applicato ai fatti da lui commessi l’art. 61-bis della legge n. 689 del 1981 (inserito dall’art. 71, comma 1, lett. i, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, cosiddetta “Riforma Cartabia”) – il quale prevede il divieto di fare applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena -, nonostante i medesimi fatti fossero anteriori all’entrata in vigore della menzionata “Riforma Cartabia”, così violando l’art. 2, quarto comma, cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione «nella parte in cui la Corte territoriale ha aderito alle conclusioni della consulenza tecnica del perito incaricato dal Pubblico Ministero su un presupposto di fatto inesistente».
La Corte d’appello di Trieste, come già il Tribunale di Udine, avrebbe recepito «acriticamente» le conclusioni della consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero NOME COGNOME, la quale sarebbe stata però «viziata sin dall’origine da un errore materiale rilevante e decisivo».
Il consulente COGNOME avrebbe infatti operato le proprie valutazioni sulla base di riproduzioni fotografiche digitali delle scarpe di comparazione – fotografie che il ricorrente inserisce alla pag. 4 del ricorso – che non rappresentavano il prodotto autentico ma un esemplare contraffatto, come emergerebbe dalla difformità grafica della stella, che costituisce l’elemento distintivo del marchio di “RAGIONE_SOCIALE, rispetto a quella del marchio registrato, atteso che la stella che
figura nelle menzionate fotografie presenta una sola punta interrotta anziché le due punte spezzate del marchio di “RAGIONE_SOCIALE.
L’indicato errore avrebbe falsato il procedimento valutativo del consulente tecnico del pubblico ministero, minando in radice l’attendibilità della sua consulenza, e avrebbe determinato la manifesta illogicità della motivazione, in quanto fondata sugli esiti della medesima consulenza.
2.3. Con il terzo motivo (erroneamente indicato con il numero romano «II»), il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e con riferimento all’art. 191, comma 2, dello stesso codice, l’inutilizzabilità della menzionata consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero e la rilevabilità d’ufficio «dell’inutilizzabilità derivante da errore genetico del mezzo di prova».
La consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero sarebbe «non solo errata sul piano metodologico e sostanziale» ma «radicalmente inutilizzabile», in quanto «viziata alla fonte da un travisamento oggettivo del dato materiale su cui è costruita», atteso che, «ome già anticipato nel motivo precedente», «il bene fotografato e oggetto della relazione tecnica non è stato identificato con certezza, né risulta provato che esso corrisponda a quello sottoposto a sequestro».
L’errore che sarebbe stato commesso dal consulente tecnico del pubblico ministero integrerebbe «una causa genetica di inutilizzabilità della prova», in quanto la consulenza tecnica avrebbe «ad oggetto un bene diverso da quello realmente coinvolto nel procedimento».
La Corte d’appello di Trieste non avrebbe operato alcuna verifica al riguardo, fondando così il proprio convincimento «su una prova intrinsecamente viziata».
Ad avviso del Wu, l’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., consentirebbe alla Corte di cassazione di rilevare di ufficio «tale vizio».
2.4. Con il quarto motivo (erroneamente indicato con il numero romano «III»), il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen.: «Manifesta illogicità, travisamento della prova e omessa valutazione delle risultanze difensive decisive».
Lamenta che la Corte d’appello di Trieste avrebbe attribuito valore dirimente alla consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero «non considerando sufficienti le osservazioni tecniche depositate dalla difesa, con la consulenza dell’ing. COGNOME», nonostante la relazione di questi, a differenza di quella del consulente del pubblico ministero, fosse stata redatta sulla base di un esame diretto e, quindi, tridimensionale, e non «meramente documentale», «del bene sottoposto a sequestro» e, perciò, «secondo una modalità di accertamento certamente più aderente ai canoni di immediatezza percettiva, attendibilità e rigorosità tecnica richiesti nell’ambito della valutazione peritale».
Il ricorrente rappresenta di avere prospettato tale rilievo sia nel proprio atto di appello sia in sede di discussione orale e lamenta che la Corte d’appello di Trieste avrebbe «omesso qualsiasi valutazione su tali risultanze, limitandosi ad affermare, in modo assertivo e privo di supporto tecnico, che le differenze grafiche non sarebbero percepibili dal consumatore medio e che l’effetto “vintage” del prodotto sarebbe replicabile dopo pochi giorni di utilizzo».
Tale motivazione si baserebbe «su affermazioni apodittiche, non sorrette da riscontri oggettivi o da un effettivo esame comparativo tra originale e contraffatto». Ne deriverebbe «una ricostruzione fattuale falsata, fondata su un presupposto erroneo, e dunque travisata». Il che integrerebbe un vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità.
La motivazione, pertanto, trascurerebbe «elementi decisivi allegati dalla difesa», si fonderebbe «su un dato (la consulenza del PM) oggettivamente travisato», sarebbe «illogica e non rispettosa del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In ordine logico, devono essere esaminati per primi il secondo e il terzo motivo, i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi non sono consentiti.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata che sarebbe derivato dal fatto che il consulente tecnico del pubblico ministero NOME COGNOME AVV_NOTAIO, sugli esiti della cui consulenza la stessa sentenza sarebbe fondata, avrebbe operato la propria valutazione, che l’aveva condotto a concludere nel senso dell’esistenza della contraffazione, sulla base di una fotografia della scarpa di comparazione che non avrebbe rappresentato il prodotto autentico ma un esemplare contraffatto.
A proposito di tale doglianza, si deve rilevare che la relazione del consulente tecnico NOME COGNOME era stata acquisita già nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’esame del COGNOME nel corso dell’udienza del 09/06/2021 (pag. 1, quart’ultimo capoverso, della sentenza di primo grado).
Ciò posto, si deve osservare che, nel proprio atto di appello, come risulta dall’integrale lettura di esso, il Wu nulla aveva dedotto con riguardo all’indicato asserito errore nel quale sarebbe incorso il consulente tecnico del pubblico ministero, con la conseguenza che la doglianza si appalesa del tutto nuova, in quanto prospettata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, e, perciò, non consentita.
Con il terzo motivo, il ricorrente, ancorché richiami le argomentazioni che aveva esposto con il secondo motivo («ome già anticipato nel motivo precedente»), appare in realtà dolersi di un diverso vizio della consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero, vizio che avrebbe a oggetto non la scarpa in comparazione, cioè quella originale – come per il secondo motivo -, ma le scarpe in sequestro, cioè quelle che sarebbero state contraffatte («il bene fotografato e oggetto della relazione tecnica non è stato identificato con certezza, né risulta provato che esso corrisponda a quello sottoposto a sequestro»; «la consulenza ha ad oggetto un bene diverso da quello realmente coinvolto nel procedimento»).
Ciò precisato, si deve osservare che, nel proprio atto di appello, come risulta sempre dall’integrale lettura di esso, il Wu nulla aveva dedotto con riguardo a tale, ora ipotizzata ora asserita, non corrispondenza del prodotto esaminato dal consulente tecnico COGNOME con quello oggetto del sequestro – e, quindi, della contestata contraffazione -, con la conseguenza che anche tale la doglianza si appalesa del tutto nuova, in quanto prospettata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, e, perciò, non consentita.
Contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente con il terzo motivo, i denunciati (con il terzo ma anche con il secondo motivo) asseriti errori che sarebbero contenuti nella consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero non integrerebbero un’inutilizzabilità della stessa consulenza tecnica, a norma dell’art. 191 cod. proc. pen., atteso che tale disposizione ha riguardo alle prove «illegittimamente acquisite», cioè alle «prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge» (comma 1 dell’art. 191 cod. proc. pen.), laddove i suddetti asseriti errori attengono non all’acquisizione della consulenza tecnica in violazione di divieti di legge ma al contenuto della stessa consulenza. Con la conseguenza che i medesimi errori non sono rilevabili d’ufficio dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., ma avrebbero dovuto essere dedotti in sede di appello.
Sempre in ordine logico, deve ora essere esaminato il quarto motivo. Esso non è consentito.
La Corte d’appello di Trieste ha ritenuto che le scarpe che erano state sequestrate all’imputato recassero il marchio alterato di “RAGIONE_SOCIALE sulla base della verifica che, posto che RAGIONE_SOCIALE aveva registrato un marchio figurativo “stella” – costituito da una stella a cinque punte, ruotate e troncate in due punte (quella superiore e quella in basso) – e un marchio di posizione, sulle scarpe che erano state sequestrate al Wu era apposto un marchio che riproduceva i tratti distintivi essenziali di quello registrato da RAGIONE_SOCIALE, in particolare, un marchio a forma di stella con una punta tagliata, collocato sulla scarpa nella medesima posizione delle scarpe di RAGIONE_SOCIALE
Ciò verificato, la Corte d’appello di Trieste ha argomentato che il marchio apposto sulle scarpe che erano state sequestrate all’imputato integrava una riproduzione parziale del marchio registrato da RAGIONE_SOCIALE e, quindi, un’alterazione di tale marchio, idonea a fare sì che, agli occhi dei consumatori, il marchio alterato si potesse confondere con quello originale, atteso che chi vedesse le scarpe indossate da altri non era in grado di percepire la differenza tra i due marchi. In particolare, quella, minima, che era stata evidenziata dalla difesa del Wu, costituita dal fatto che la stella apposta sulle scarpe in sequestro recava solo la punta superiore tagliata e non anche la punta inferiore, peraltro, difficilmente visibile perché prossima alla suola.
Le scarpe in sequestro presentavano inoltre le borchiette collocate in posizione analoga ai piccoli fori presenti sulla scarpa originale, nonché l’utilizzo del glitter e della sfumatura argento tipici delle scarpe commercializzate da RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Trieste ha altresì mostrato di avere valutato: a) sia il contenuto della consulenza tecnica del consulente della difesa NOME COGNOME, confutando alcune delle tesi di questi, in particolare, negando la verità della tesi che «le scarpe in sequestro fossero tutte dall’aspetto aspetto “pulito e ordinato”» (a fronte dell’aspetto vintage che caratterizza le scarpe di RAGIONE_SOCIALE); b) sia gli argomenti della difesa dell’imputato incentrati sulla presenza sul mercato di molte scarpe il cui marchio reca una stella, nonché sul prezzo di vendita della scarpe sequestrate, sul loro packaging, sulla qualità del pellame con cui erano confezionate e sulla mancanza di scritte sulla loro etichetta, confutando tali argomenti in quanto relativi ad aspetti che non cadevano sotto la diretta percezione di chi vedeva la scarpa con il marchio alterato indossata dal suo acquirente.
Tale motivazione non risulta avere trascurato alcuna risultanza che si possa ritenere decisiva nel senso dell’insussistenza dell’accertata alterazione del marchio registrato da RAGIONE_SOCIALE, non integra alcun travisamento delle prove e non presenta alcuna illogicità, tanto meno manifesta, con la conseguenza che le doglianze del ricorrente si devono ritenere in realtà dirette a ottenere una diversa valutazione del significato da attribuire agli acquisiti elementi di prova, il che non è possibile fare in sede di legittimità.
3. Il primo motivo è fondato.
La Corte di cassazione ha già avuto modo di chiarire che, premesso che la regola dell’alternatività tra l’applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, introdotta con l’art. 71, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 150 del 2022, il quale ha inserito nella legge n. 689 del 1981 l’art. 61-bis, non è venuta meno in conseguenza delle modifiche apportate all’art. 545-bis cod. proc. pen.
dall’art. 2, comma 1, lett. u), del d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 – atteso che questa novella non è intervenuta a disciplinare i rapporti tra sospensione condizionale e pene sostitutive – (Sez. 5, n. 45583 del 03/12/2024, Tronco, Rv. 287354-01), il divieto di fare applicazione delle pene sostitutive nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena, previsto dal menzionato art. 61-bis della legge n. 689 del 1981, non si estende ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale ultima disposizione, trovando applicazione, per la natura sostanziale della previsione con essa introdotta, il disposto di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., che, in ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, prescrive l’applicazione della norma più favorevole all’imputato (Sez. 5, n. 45583 del 03/12/2024, Tronco, cit; Sez. 3, n. 33149 del 07/06/2024, V., Rv. 286751-01. Con quest’ultima pronuncia, la Corte ha precisato che i criteri cui occorre fare riferimento, in tale caso, per l’applicazione delle pene sostitutive in luogo di quelle detentive sono quelli stabiliti dall’art. 53, comma 1, della legge n. 689 del 1981, nel testo scaturente dalla modifica apportata dall’art. 4, comma 1, lett. a), della legge 12 giugno 2003, n. 134, non potendosi combinare frammenti di discipline normative differenti, che darebbero altrimenti origine a una tertia lex non prevista dal legislatore, con conseguente violazione del principio di legalità).
Ne discende che, poiché i fatti che sono oggetto del presente processo sono stati accertati il 01/02/2019, e quindi prima della data di entrata in vigore della cosiddetta “Riforma Cartabia”, l’avvenuta concessione, dalla parte del Tribunale di Udine, della sospensione condizionale della pena, diversamente da quanto è stato erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello di Trieste, non costituiva ostacolo per l’applicazione della pena sostitutiva pecuniaria.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva, con rinvio, per un nuovo giudizio su tale punto, a un’altra sezione della Corte d’appello di Trieste, la quale, sulla base di quanto si è detto, per l’applicazione della pena sostitutiva, dovrà avere riguardo ai criteri stabiliti dall’art. 53, comma 1, della legge n. 689 del 1981, nel testo scaturito dalla modifica recata dall’art. 4, comma 1, lett. a), della legge n. 134 del 2003.
4. In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva, con rinvio, per un nuovo giudizio su tale punto, a una diversa sezione della Corte d’appello di Trieste; b) il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., nel dispositivo deve essere dichiarata l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità; c) dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso con riguardo ai punti attinenti all’affermazione di responsabilità dell’imputato consegue che questi
deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in complessivi € 3.686,00, oltre accessori di legge, tenuto conto dell’utile contributo dato alla decisione con la memoria depositata (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, COGNOME).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto a diversa sezione della Corte d’appello di Trieste. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’affermazione di responsabilità. Condanna l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/10/2025.