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Pene sostitutive: il limite dei 4 anni nel reato continuato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1776/2024, ha stabilito che, in caso di reato continuato, il limite di quattro anni per l’applicazione delle pene sostitutive si calcola sulla pena complessiva e non sulla singola frazione di pena. L’analisi deve basarsi sulla pena inflitta in sentenza, non su quella residua da scontare, respingendo così il ricorso di un condannato.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene sostitutive e reato continuato: la Cassazione chiarisce il limite dei 4 anni

Con la sentenza n. 1776 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sull’applicazione delle pene sostitutive nel contesto del reato continuato, alla luce delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022). La decisione stabilisce un principio netto: per verificare il rispetto del limite massimo di quattro anni, si deve considerare la pena complessiva risultante dal cumulo giuridico, e non le singole pene o la pena residua da scontare. Approfondiamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato a una pena detentiva totale di cinque anni e quattro mesi di reclusione. Tale pena era il risultato di una precedente condanna a quattro anni e dieci mesi, alla quale erano stati aggiunti altri sei mesi a titolo di aumento per la continuazione con un altro reato.

L’interessato aveva richiesto al giudice dell’esecuzione l’applicazione delle pene sostitutive, introdotte dalla recente riforma legislativa. Il Tribunale, tuttavia, rigettava l’istanza, motivando la decisione con il superamento del limite massimo di quattro anni di pena detentiva, entro il quale la legge consente tale applicazione. Secondo il giudice, la pena complessiva di cinque anni e quattro mesi era ostativa alla concessione del beneficio.

La Questione Giuridica: come si applicano le pene sostitutive?

Il ricorrente ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni di diritto principali:

1. Applicazione parziale: si sosteneva che la sostituzione della pena dovesse essere limitata solo all’aumento di sei mesi inflitto per la continuazione, poiché il riconoscimento di tale istituto non avrebbe dovuto ritorcersi a suo svantaggio.
2. Rilevanza della pena residua: in subordine, il ricorrente lamentava che il giudice non avesse tenuto conto della pena residua da espiare, che al momento della decisione era largamente inferiore al limite dei quattro anni.

La Corte era quindi chiamata a stabilire se, ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive, si dovesse guardare alla pena complessiva inflitta, a una sua singola frazione o alla parte di pena ancora da scontare.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato in entrambi i profili di censura. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale, ribadendo che, a seguito della Riforma Cartabia, il calcolo per l’ammissione alle pene sostitutive in caso di reato continuato va effettuato sulla totalità della pena irrogata.

Le Motivazioni

La sentenza si sofferma ad analizzare l’evoluzione normativa e la ratio della nuova disciplina, offrendo motivazioni chiare e strutturate.

Il Calcolo della Pena nel Reato Continuato e le pene sostitutive

La Corte evidenzia come la Riforma Cartabia (art. 71 del d.lgs. 150/2022) abbia modificato l’art. 53 della legge n. 689/1981. La nuova formulazione stabilisce espressamente che: «Ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’articolo 81 del codice penale».

Questo cambiamento è cruciale. Mentre in passato si tendeva a sterilizzare gli aumenti di pena per la continuazione, guardando solo alla pena base del reato più grave, oggi la legge impone di considerare la pena nella sua interezza, così come risultante dal cumulo giuridico. La ragione di questa scelta, come spiegato nella Relazione ministeriale alla riforma, è evitare che pene detentive di lunga durata (potenzialmente fino a dodici anni, in caso di aumento massimo su una base di quattro) possano essere sostituite, snaturando la finalità dell’istituto, concepito per le sole detenzioni brevi.

Pena Inflitta vs. Pena Residua

La Corte chiarisce in modo inequivocabile anche il secondo punto sollevato dal ricorrente. Il limite di quattro anni va riferito esclusivamente alla pena concretamente irrogata dal giudice della cognizione all’esito del processo. Non ha alcuna rilevanza, a tal fine, la pena residua che il condannato deve ancora espiare al momento della richiesta in fase esecutiva.

La valutazione sulla sostituibilità della pena è logicamente connessa al momento del giudizio di merito, in cui si accerta il reato e si definisce la risposta sanzionatoria più adeguata. Permettere che la pena già parzialmente espiata possa rientrare nel limite dei quattro anni significherebbe introdurre un fattore (il presofferto) estraneo alla logica della commisurazione della pena e della sua eventuale sostituzione, che deve avvenire sulla base della gravità del fatto e della personalità del reo, come valutati dal giudice di cognizione.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza della Corte di Cassazione stabilisce due principi cardine per l’applicazione delle pene sostitutive:

1. Reato Continuato: Il limite di ammissibilità di quattro anni deve essere verificato sulla pena complessiva determinata ai sensi dell’art. 81 c.p. (cumulo giuridico), e non sulla pena base o sui singoli aumenti.
2. Pena di Riferimento: La pena da considerare è sempre quella inflitta con la sentenza di condanna, non quella residua da scontare in fase esecutiva.

Questa pronuncia consolida l’interpretazione della Riforma Cartabia, orientando il sistema verso una maggiore coerenza e garantendo che le pene sostitutive restino uno strumento destinato esclusivamente a sanzionare reati che comportano condanne detentive brevi.

In caso di reato continuato, come si calcola il limite di quattro anni per le pene sostitutive?
Secondo la Corte, a seguito della Riforma Cartabia, il limite si calcola sulla pena complessiva risultante dal cumulo giuridico (art. 81 c.p.), cioè sulla somma della pena base per il reato più grave e degli aumenti per i reati satellite. Non è possibile considerare solo la pena base o una singola frazione di pena.

Ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive, si considera la pena inflitta dal giudice o quella residua da scontare?
Si considera esclusivamente la pena concretamente inflitta dal giudice con la sentenza di condanna. La pena residua, ovvero la parte di pena che il condannato deve ancora espiare, è irrilevante per determinare l’ammissibilità al beneficio.

Perché la Riforma Cartabia ha modificato il criterio di calcolo per il reato continuato?
La modifica è stata introdotta per evitare che pene complessivamente lunghe potessero essere sostituite. Con il vecchio sistema, una pena base inferiore al limite avrebbe potuto consentire la sostituzione anche se, con gli aumenti per la continuazione, la pena totale fosse diventata molto elevata (es. dodici anni). La riforma ha voluto mantenere la natura delle pene sostitutive come alternative solo per le detenzioni brevi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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