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Pene sostitutive: il consenso dell’imputato è decisivo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30027/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato avverso il diniego di applicazione delle pene sostitutive. La Corte ha stabilito che la richiesta, presentata in appello dal solo difensore, è inefficace senza il consenso personale dell’imputato o una procura speciale, come previsto dall’art. 545-bis c.p.p., in quanto la scelta della sanzione richiede la diretta partecipazione del condannato.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: Senza il Consenso dell’Imputato la Richiesta non Vale

L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un pilastro fondamentale del sistema sanzionatorio moderno, volto a individualizzare la pena e favorire il reinserimento del reo. Tuttavia, l’accesso a tali misure è subordinato al rispetto di precise regole procedurali. Con la recente sentenza n. 30027/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva in appello, avanzata dal solo difensore, è inefficace se non è supportata dal consenso personale dell’imputato o da una procura speciale. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un imputato da parte del Tribunale di Benevento per il reato previsto dall’art. 391-ter del codice penale. La sentenza di primo grado veniva integralmente confermata dalla Corte di appello di Napoli.

L’udienza di appello si era svolta con il rito “cartolare”, ovvero basandosi sullo scambio di memorie scritte. Il difensore dell’imputato, nelle sue conclusioni, aveva richiesto per la prima volta l’applicazione di pene sostitutive in luogo della pena detentiva. Tuttavia, la Corte d’appello rigettava implicitamente la richiesta, motivando che le sanzioni sostitutive non erano state “richieste”.

Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per cassazione, lamentando un vizio di procedura. Sosteneva che la richiesta era stata ritualmente presentata, ma erroneamente ignorata dalla Corte territoriale, con conseguente nullità della sentenza.

La Questione delle Pene Sostitutive e il Rilievo della Cassazione

Il cuore della controversia non risiedeva tanto nel fatto che la richiesta fosse stata presentata o meno, ma nelle modalità con cui era stata formulata. La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha chiarito la portata dell’art. 545-bis del codice di procedura penale.

La Suprema Corte ha osservato che la sentenza d’appello, pur negando l’applicazione delle pene sostitutive, dimostrava di aver esaminato la richiesta della difesa. Il vero motivo del rigetto, secondo la Cassazione, non era la mancata presentazione dell’istanza, ma la sua irritualità: essa non era stata formulata “dall’imputato”.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

I giudici di legittimità hanno affermato un principio di diritto di fondamentale importanza. L’applicazione delle pene sostitutive, che incidono profondamente sulla libertà personale e richiedono la collaborazione del condannato, necessita di un’espressa manifestazione di volontà da parte di quest’ultimo. L’art. 545-bis c.p.p. prevede che l’imputato, personalmente o tramite un procuratore speciale, acconsenta alla loro applicazione al momento della lettura del dispositivo.

Questo requisito, spiega la Corte, è finalizzato a valorizzare l’apporto delle parti nella scelta della sanzione più adeguata, in conformità con il principio costituzionale di individualizzazione della pena (art. 27 Cost.). La volontà del condannato è un elemento imprescindibile per il successo del percorso rieducativo che le pene sostitutive intendono promuovere.

Il principio vale a maggior ragione nel giudizio di appello. In questa fase, l’imputato ha già avuto la possibilità di esprimere il proprio consenso in primo grado. Pertanto, una richiesta presentata per la prima volta in appello dal solo difensore, senza una procura speciale che lo autorizzi a manifestare tale volontà, è processualmente inefficace.

Le Conclusioni

La sentenza in commento offre un’indicazione pratica ineludibile per gli operatori del diritto. La richiesta di pene sostitutive non può essere considerata un’istanza difensiva ordinaria. Essa costituisce una manifestazione di volontà strettamente personale dell’imputato. Di conseguenza, il difensore che intenda avanzarla, specialmente in appello, deve premunirsi di una procura speciale rilasciata dal proprio assistito. In assenza di tale accortezza, la richiesta sarà considerata inammissibile, con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

È sufficiente che l’avvocato chieda le pene sostitutive in appello per conto del suo assistito?
No, la sentenza chiarisce che la richiesta deve essere formulata personalmente dall’imputato o da un difensore munito di procura speciale. Una semplice istanza del legale, senza un mandato specifico, è considerata inefficace.

Perché il consenso personale dell’imputato è un requisito fondamentale per le pene sostitutive?
Il consenso è necessario perché, come stabilito dall’art. 545-bis c.p.p., la norma mira a valorizzare l’apporto delle parti per individuare la sanzione più adeguata al singolo caso, in attuazione del principio di individualizzazione della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione. La volontà del condannato è essenziale per il buon esito del percorso rieducativo.

Cosa accade se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come deciso dalla Corte nel caso esaminato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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