Pene sostitutive negate: la Cassazione conferma il peso dei precedenti penali
L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un pilastro del sistema sanzionatorio moderno, mirando alla rieducazione del condannato piuttosto che alla mera punizione. Tuttavia, l’accesso a queste misure non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri che guidano la decisione del giudice, evidenziando come la personalità e i precedenti penali dell’imputato giochino un ruolo decisivo. Questo articolo analizza la pronuncia, spiegando perché il ricorso di un automobilista è stato respinto e quali principi ne derivano.
I fatti del caso
Il caso riguarda un individuo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato dall’aver provocato un incidente stradale. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando il mancato accoglimento della sua richiesta di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità o, in subordine, con altre pene sostitutive previste dalla legge.
La difesa sosteneva un’errata applicazione della legge e un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito, che avevano negato le misure alternative basandosi su una valutazione negativa della sua personalità.
La valutazione delle pene sostitutive e la discrezionalità del giudice
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. La sentenza impugnata aveva correttamente evidenziato due ostacoli principali all’accoglimento delle richieste dell’imputato.
In primo luogo, per quanto riguarda il lavoro di pubblica utilità, esiste un divieto esplicito previsto dall’articolo 186, comma 9-bis del Codice della Strada: questa sanzione non può essere applicata se il conducente in stato di ebbrezza ha causato un incidente stradale. Si tratta di un limite oggettivo e invalicabile posto dal legislatore.
In secondo luogo, riguardo alle altre pene sostitutive, la decisione rientra nel potere discrezionale del giudice. Tale potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato tenendo conto dei criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale, tra cui la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Le motivazioni della Corte
I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione della Corte d’Appello congrua, logica e priva di contraddizioni. I giudici di merito avevano infatti valorizzato elementi concreti per giustificare il diniego delle pene sostitutive. In particolare, avevano considerato i numerosi precedenti penali specifici del ricorrente, che delineavano una “personalità negativa” e una “dimostrata inaffidabilità”.
Secondo la Corte, questa inaffidabilità rendeva le sanzioni alternative inadeguate a prevenire la reiterazione di ulteriori reati. L’applicazione delle pene sostitutive non è un diritto, ma una possibilità che il giudice deve valutare attentamente, scegliendo la sanzione più idonea alla rieducazione del condannato e alla prevenzione di futuri crimini. La Cassazione ha ribadito, citando propri precedenti, che nel decidere sull’applicazione di queste misure, il giudice deve ancora oggi tenere conto dei precedenti penali dell’imputato.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un principio fondamentale: la valutazione per la concessione delle pene sostitutive è un giudizio complesso che va oltre la semplice natura del reato commesso. La storia criminale di un individuo e la sua personalità sono fattori determinanti per stabilire se le misure alternative possano raggiungere il loro scopo rieducativo. La decisione dei giudici di merito, basata su una valutazione negativa fondata su elementi concreti come i precedenti specifici, è stata ritenuta immune da censure. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
 
È possibile ottenere il lavoro di pubblica utilità se si guida in stato di ebbrezza e si provoca un incidente?
No, l’articolo 186, comma 9-bis, del Codice della Strada impone un divieto esplicito all’applicazione del lavoro di pubblica utilità in caso di incidente stradale causato dal conducente in stato di ebbrezza.
Su quali basi un giudice può negare le pene sostitutive?
Il giudice può negare le pene sostitutive basandosi sui criteri dell’articolo 133 del codice penale, che includono la personalità dell’imputato, i suoi precedenti penali, la gravità oggettiva del fatto e una valutazione sulla sua affidabilità e sulla capacità della sanzione alternativa di prevenire la commissione di nuovi reati.
I precedenti penali di un imputato sono sempre rilevanti per la concessione delle pene sostitutive?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che, anche secondo la normativa attuale, il giudice deve tenere conto dei precedenti penali dell’imputato nel decidere se applicare una pena sostitutiva e nello scegliere quella più idonea alla sua rieducazione.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35361 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 35361  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANTADI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/05/2025 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Coorte d’appello di Sassari indicata in epigrafe che lo ha condannato per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) e 2 bis CdS. Deduce, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art.545 bis cod. proc. pen. in ordine al diniego della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità e della applicazion delle pene sostitutive di cui agli artt. 53 e seguenti della L. n. 689 del 24 novembre 1981.
3. Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto al lavoro di pubblica utilità, la sentenza impugnata ha richiamato il divieto imposto dall’art. 186, comma 9 bis CdS, avendo l’imputato provocato un incidente stradale. In ordine alla applicazione delle altre pene sostitutive, i giudic di merito hanno ritenuto non sussistessero le condizioni avuto riguardo alla personalità dell’imputato e ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. La Corte territori ha richiamato i plurimi precedenti specifici del ricorrente, connotanti una personalità negativa, nonchè la oggettiva gravità del fatto, concludendo per la inapplicabilità di sanzioni sostitutive in ragione della dimostrata inaffidabili dell’imputato, con la conseguente inidoneità delle predette sanzioni a prevenire la reiterazione di ulteriori reati. Orbene, l’applicazione delle pene sostitutive attien all’esercizio di un potere discrezionale quale è quello previsto dall’art. 58 legge 689/81 e, se la motivazione è congrua, non manifestamente illogica e non contraddittoria, non è sindacabile in questa sede. E’ stato già chiarito da questa Corte di legittimità che anche nel testo attualmente vigente, l’art. 58 della legge n. 689/81 richiede al giudice che debba valutare se applicare una pena sostitutiva di tenere conto «dei criteri indicati dall’art. 133 del codice penale». Il novella art. 58 stabilisce che, nel decidere se applicare una pena sostitutiva e nello scegliere quale pena applicare, il giudice debba valutare quale sia la pena più idonea alla rieducazione del condannato e se sia possibile, attraverso opportune prescrizioni, prevenire il pericolo di commissione di altri reati. Nel motivare sull’applicazione (o mancata applicazione) delle pene sostitutive, dunque, il giudice deve ancora oggi tenere conto dei precedenti penali dell’imputato (Sez. 4 – n. 42847 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285381 – 01; Sez. 4, n.636 del 29/11/2023, nm). Alla luce di quanto esposto, è evidente che la Corte territoriale ha congruamente argomentato in ordine agli aspetti sopra indicati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma il 30 settembre 2025.