Pene Sostitutive e Precedenti Penali: La Cassazione Conferma il Potere Discrezionale del Giudice
L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un pilastro del sistema sanzionatorio moderno, volto a favorire la rieducazione del condannato evitando, per reati minori, il trauma del carcere. Tuttavia, la loro concessione non è automatica e dipende da una valutazione discrezionale del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come i precedenti penali possano legittimamente ostacolare l’accesso a tali benefici, purché la decisione del giudice sia adeguatamente motivata.
Il Caso: Diniego delle Pene Sostitutive e Ricorso per Cassazione
Il caso in esame trae origine dal ricorso di un individuo condannato, al quale la Corte d’Appello di Torino aveva negato la sostituzione della pena detentiva con misure alternative come la semidetenzione o la libertà controllata. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione nella decisione dei giudici di merito. Secondo la difesa, il diniego non era sufficientemente giustificato.
La Valutazione dei Precedenti Penali nelle Pene Sostitutive
Il cuore della questione ruota attorno al potere discrezionale del giudice e ai criteri che deve seguire. La normativa, anche a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 150/2022 (la cosiddetta “Riforma Cartabia”), vincola il giudice alla valutazione dei criteri indicati nell’art. 133 del codice penale. Tra questi, un ruolo centrale è giocato dai precedenti penali e dalla condotta di vita del reo.
Questi elementi permettono al giudice di formulare un giudizio prognostico sulla probabilità che il condannato si astenga dal commettere futuri reati e sulla idoneità della misura alternativa a promuovere il suo reinserimento sociale. Se il giudizio, basato su questi elementi, è negativo, il diniego delle pene sostitutive è legittimo.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno osservato che la decisione della Corte d’Appello era, in realtà, correttamente e adeguatamente motivata. Il diniego si basava esplicitamente sui precedenti penali, anche specifici, del ricorrente. Tali precedenti sono stati ritenuti dai giudici di merito come un indicatore negativo, sufficiente a ritenere il condannato non idoneo a un percorso rieducativo attraverso misure alternative alla detenzione. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il giudizio del giudice di merito, se logicamente argomentato in base ai criteri dell’art. 133 c.p., sfugge al sindacato di legittimità. Non spetta alla Cassazione, infatti, rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione.
Conclusioni: L’Importanza della Motivazione del Giudice
Questa ordinanza conferma che i precedenti penali non sono un mero dato anagrafico, ma un elemento cruciale nella valutazione per la concessione delle pene sostitutive. La decisione insegna due importanti lezioni pratiche: in primo luogo, il potere discrezionale del giudice in questa materia è ampio ma non arbitrario, essendo ancorato ai parametri legali; in secondo luogo, una motivazione chiara, che colleghi specifici elementi (come i precedenti) alla finalità rieducativa della pena, rende la decisione difficilmente censurabile in sede di legittimità. Per il condannato, ciò significa che la speranza di ottenere un beneficio dipende non solo dalla gravità del reato commesso, ma anche dalla sua storia criminale complessiva.
Un giudice può negare le pene sostitutive basandosi solo sui precedenti penali?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il giudice può negare la concessione delle pene sostitutive motivando la decisione sulla base dei precedenti penali, anche specifici, del condannato, se li ritiene indicativi di una personalità non idonea alla rieducazione tramite misure alternative.
Il potere del giudice di concedere o negare le pene sostitutive è assoluto?
No, non è assoluto. Sebbene il giudice abbia un potere discrezionale, questo deve essere esercitato valutando i criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale. La sua decisione, per essere legittima, deve essere adeguatamente motivata, altrimenti può essere soggetta a sindacato di legittimità.
Cosa succede se il ricorso contro il diniego delle pene sostitutive viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, la decisione impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 193 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 01/03/1990
avverso la sentenza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di Sow COGNOME;
osservato che l’unico motivo di ricorso, che deduce il vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena detentiva con libertà controllata o con la semidetenzione, è manifestamente infondato;
considerato che «in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, è vincolato nell’esercizio del suo potere discrezionale alla valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sicché il suo giudizio, se sul punto adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 – 01);
ritenuto che il giudice di appello ha correttamente motivato il diniego di concessione della pena sostitutiva richiesta facendo espresso riferimento ai precedenti penali, anche specifici, dell’odierno ricorrente, ritenendoli inidonei alla rieducazione del condannato (si veda pag. 4 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.