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Pene Sostitutive: i precedenti non sono un ostacolo

Un uomo condannato a due mesi per rissa aggravata si è visto negare le pene sostitutive a causa dei suoi precedenti. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, affermando che i precedenti penali da soli non sono sufficienti per un diniego. È necessaria una valutazione prognostica più approfondita sulla capacità del condannato di rispettare le prescrizioni. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: i Precedenti Penali Non Sono un Ostacolo Assoluto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 28182/2025) ha fornito un chiarimento fondamentale in materia di pene sostitutive per le condanne detentive brevi. La Corte ha stabilito che la sola presenza di precedenti penali a carico di un imputato non è sufficiente, di per sé, a negare l’accesso a queste misure alternative al carcere. Questa decisione sottolinea la necessità per i giudici di condurre una valutazione più approfondita e personalizzata, superando automatismi basati unicamente sulla ‘storia’ criminale del condannato.

Il Caso: Dalla Condanna per Rissa alla Negazione delle Pene Alternative

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un uomo alla pena di due mesi di reclusione per il reato di rissa aggravata. La difesa dell’imputato aveva richiesto la sostituzione della pena detentiva con una misura alternativa, come la libertà controllata.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva respinto tale richiesta, motivando la sua decisione esclusivamente sulla base dei “plurimi precedenti penali” dell’imputato, considerati come un chiaro indice della sua “proclività a delinquere”. Secondo i giudici di merito, questo elemento era sufficiente per escludere l’applicazione di qualsiasi beneficio.

La Decisione della Cassazione: No agli Automatismi sulle Pene Sostitutive

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello avesse ignorato altri elementi rilevanti: le specifiche modalità della condotta (l’uomo era intervenuto in reazione a un’aggressione subita dalla moglie), l’assenza di precedenti specifici per lo stesso tipo di reato e la contraddizione di aver concesso una pena minima per poi negare le misure sostitutive.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alle pene sostitutive e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’interpretazione della normativa sulle sanzioni sostitutive (L. 689/1981), aggiornata dalla recente riforma (D.Lgs. 150/2022). I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale: la valutazione per la concessione delle pene sostitutive non può esaurirsi in una mera presa d’atto dei precedenti penali.

Il giudice, infatti, deve compiere un giudizio prognostico complesso, volto a stabilire se le prescrizioni legate alla pena sostitutiva saranno adempiute dal condannato. Questo giudizio deve basarsi sui criteri generali dell’art. 133 del codice penale, valutando se la misura alternativa sia più idonea alla rieducazione del condannato e alla prevenzione di futuri reati.

La legge (art. 59 della L. 689/1981) elenca delle condizioni specifiche e tassative che escludono a priori l’accesso alle pene sostitutive (ad esempio, essere sottoposti a misure di sicurezza o aver commesso reati di particolare gravità). La semplice esistenza di precedenti penali non rientra in questo elenco.

Di conseguenza, per negare il beneficio, non basta affermare che l’imputato ha dei precedenti, ma è necessario dimostrare, con una motivazione specifica, l’esistenza di un concreto e qualificato pericolo che le prescrizioni non vengano rispettate. La Corte d’Appello, nel caso di specie, si era limitata a un riferimento generico al passato dell’imputato, senza confrontarsi con gli altri elementi a sua disposizione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza il principio di individualizzazione della pena. Stabilisce che i precedenti penali sono un elemento da considerare, ma non possono diventare un marchio indelebile che preclude automaticamente l’accesso a percorsi di reinserimento alternativi al carcere. Per i giudici, ciò significa l’obbligo di motivare in modo più approfondito e concreto le decisioni di diniego, basandole su una prognosi negativa specifica e non su un generico allarme sociale derivante dal certificato penale. Per gli imputati, rappresenta una garanzia in più contro decisioni automatiche e a favore di una valutazione più equa e personalizzata della loro situazione.

La sola presenza di precedenti penali impedisce di ottenere le pene sostitutive?
No, la sentenza chiarisce che la sola esistenza di precedenti penali non è di per sé un elemento ostativo sufficiente. Il giudice deve effettuare una valutazione più ampia e specifica.

Cosa deve valutare il giudice per concedere o negare le pene sostitutive?
Il giudice deve compiere un giudizio prognostico sul concreto pericolo che il condannato violi le prescrizioni della pena sostitutiva. Deve considerare i parametri dell’art. 133 c.p., valutando se la pena alternativa sia più idonea alla rieducazione e a prevenire nuovi reati.

Quali sono le condizioni che escludono automaticamente l’applicazione delle pene sostitutive?
L’art. 59 della L. 689/1981 prevede condizioni ostative specifiche, come aver commesso il reato entro tre anni dalla revoca di una precedente sanzione sostitutiva, essere sottoposti a misura di sicurezza personale o essere stati condannati per reati di particolare gravità elencati nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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