LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pene sostitutive e reato continuato: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23185/2025, ha stabilito che le pene sostitutive non possono essere estese all’intera pena rideterminata per reato continuato se questa supera il limite di quattro anni, anche se il riconoscimento avviene in fase esecutiva. La Corte ha rigettato il ricorso di due persone che chiedevano l’estensione della detenzione domiciliare, chiarendo che il limite di pena va calcolato sulla sanzione complessiva finale, non su quella residua da scontare.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene sostitutive: limiti invalicabili anche per il reato continuato in fase esecutiva

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa all’applicazione delle pene sostitutive nel caso di reato continuato riconosciuto dopo la condanna definitiva. Con la pronuncia n. 23185/2025, i giudici supremi hanno stabilito che se la pena complessiva, ricalcolata in fase esecutiva per includere più reati sotto il vincolo della continuazione, supera il limite di quattro anni, non è possibile estendere la pena sostitutiva (come la detenzione domiciliare) all’intera sanzione. Questo principio si applica anche se una delle pene originarie era già stata sostituita.

Il caso in esame

Il caso riguardava due persone condannate con sentenze separate. Successivamente, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva parzialmente la loro istanza, riconoscendo il vincolo del reato continuato tra i diversi illeciti. Di conseguenza, il giudice rideterminava la pena complessiva per ciascuno in 4 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione, oltre a una multa.

Tuttavia, il Tribunale rigettava la richiesta dei condannati di estendere la pena sostitutiva della detenzione domiciliare, già applicata per uno dei reati, all’intera nuova pena. La motivazione del rigetto era semplice: la pena complessiva superava il limite massimo di quattro anni previsto dalla legge per l’applicazione delle pene sostitutive. Contro questa decisione, i due condannati hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione della normativa.

La disciplina delle pene sostitutive e la Riforma Cartabia

Per comprendere la decisione della Corte, è fondamentale richiamare la disciplina delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, profondamente innovata dalla Riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022). Questa riforma ha elevato a quattro anni il limite di pena detentiva che può essere sostituita, con l’obiettivo di ridurre il ricorso al carcere per reati di minore gravità e promuovere percorsi di risocializzazione alternativi.

La legge (art. 53, L. n. 689/1981) stabilisce chiaramente che, nel caso di reato continuato, il limite di quattro anni si applica alla pena complessiva inflitta dal giudice. Se la pena totale supera questa soglia, la sostituzione non è ammessa. La sede naturale per questa valutazione è il processo di cognizione, ovvero il processo che porta alla condanna.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, fornendo una chiara interpretazione della normativa. I ricorrenti basavano la loro difesa su un’altra norma (l’art. 70 della stessa legge), la quale prevede che, in caso di cumulo di pene in fase esecutiva, la sostituzione resti valida se la pena residua da espiare è inferiore a quattro anni. Secondo i ricorrenti, questa norma doveva prevalere in quanto si trovavano in fase esecutiva.

La Cassazione ha chiarito che i due articoli (53 e 70) disciplinano situazioni completamente diverse.

1. L’art. 53 si applica quando si determina la pena per un reato (o un reato continuato) in sede di cognizione. Lo stesso principio, afferma la Corte, deve valere quando il giudice dell’esecuzione riconosce il reato continuato (ex art. 671 c.p.p.), perché in quel momento sta, di fatto, rideterminando un’unica pena complessiva come se lo avesse fatto il giudice della cognizione.
2. L’art. 70, invece, si applica a un’ipotesi differente: quella del cumulo materiale di pene irrogate con sentenze diverse e irrevocabili, quando non viene riconosciuto il vincolo della continuazione. Solo in questo scenario si guarda alla pena residua da espiare.

Nel caso di specie, il riconoscimento del reato continuato ha creato un’unica pena. Poiché questa pena (4 anni, 4 mesi e 20 giorni) superava il limite legale di quattro anni, il giudice dell’esecuzione ha correttamente negato l’estensione delle pene sostitutive.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il limite di quattro anni per l’accesso alle pene sostitutive è un paletto oggettivo e invalicabile, che si applica alla pena complessivamente irrogata. Il fatto che il calcolo avvenga in fase esecutiva a seguito del riconoscimento del reato continuato non cambia la natura della valutazione. Il giudice dell’esecuzione, in questo contesto, agisce con gli stessi poteri e limiti del giudice della cognizione. Di conseguenza, non è possibile frammentare la pena o considerare solo il ‘presofferto’ per rientrare artificialmente nei limiti di legge. Questa pronuncia consolida l’interpretazione restrittiva della norma, garantendo uniformità di trattamento tra chi ottiene il riconoscimento della continuazione in sede di cognizione e chi lo ottiene in sede esecutiva.

Quando si riconosce il reato continuato in fase esecutiva, si possono estendere le pene sostitutive se la pena totale supera i 4 anni?
No, la Cassazione ha chiarito che non è possibile. Il limite di quattro anni previsto per l’applicazione delle pene sostitutive si riferisce alla pena totale rideterminata, anche se il calcolo avviene dopo la condanna definitiva. Se tale pena supera la soglia, la sostituzione non è ammessa.

Qual è la differenza tra l’applicazione delle pene sostitutive per il reato continuato in sede di cognizione e in sede di esecuzione?
Secondo la Corte, non c’è differenza. Sia che il reato continuato venga riconosciuto durante il processo (cognizione), sia che venga riconosciuto dopo (esecuzione), il principio è lo stesso: la pena complessiva risultante non deve superare i quattro anni per poter essere sostituita. Il meccanismo di calcolo non cambia a seconda della fase processuale.

Perché la Corte ha rigettato l’applicazione dell’art. 70, comma 3, della legge n. 689/1981 in questo caso?
La Corte ha stabilito che l’art. 70 si applica solo al cumulo di pene derivanti da sentenze separate e distinte, non alla rideterminazione di un’unica pena a seguito del riconoscimento del reato continuato. Quest’ultimo scenario è assimilabile alla determinazione della pena in sede di cognizione e, pertanto, è regolato dai limiti generali previsti dall’art. 53 della stessa legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati