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Pene sostitutive e precedenti: la decisione del giudice

Due individui condannati per l’uso illecito di una carta di pagamento ricorrono in Cassazione chiedendo l’applicazione di pene sostitutive. La Corte Suprema rigetta i ricorsi, stabilendo un principio fondamentale: il giudice può negare le pene sostitutive basandosi sui precedenti penali dell’imputato per valutarne la capacità a delinquere, anche qualora la recidiva sia stata formalmente esclusa. La decisione sottolinea l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel valutare l’idoneità della pena al fine rieducativo.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Precedenti Penali: Quando il Giudice Può Dire di No

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9956 del 2025, offre un’importante chiave di lettura sul delicato tema delle pene sostitutive. La pronuncia chiarisce i limiti della discrezionalità del giudice nel negare l’accesso a misure alternative alla detenzione, anche quando circostanze come la recidiva qualificata vengono escluse. Il caso esaminato riguarda l’indebito utilizzo di una carta di pagamento e solleva una questione cruciale: i precedenti penali, da soli, possono giustificare il diniego delle pene sostitutive?

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di due individui da parte del Tribunale di Oristano per l’indebito utilizzo di una carta bancoposta di provenienza illecita. La Corte di Appello di Cagliari, successivamente adita, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado: pur confermando la responsabilità penale per entrambi, aveva escluso l’aggravante della recidiva qualificata per uno degli imputati, riducendone la pena.

Tuttavia, la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta, avanzata da entrambi, di sostituire la pena detentiva con misure alternative, come previsto dalla legge. Insoddisfatti, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso e il Ruolo delle Pene Sostitutive

I difensori hanno articolato diversi motivi di ricorso. Uno degli imputati ha contestato la sussistenza del dolo, sostenendo di aver agito in buona fede, credendo che la carta appartenesse al coimputato.

Il motivo di ricorso principale, comune a entrambi, riguardava però proprio il diniego delle pene sostitutive. La difesa ha evidenziato una presunta contraddizione nella decisione della Corte d’Appello: come poteva, da un lato, escludere la recidiva qualificata, ritenendo la ricaduta nell’illecito “occasionale e non espressiva di maggiore pericolosità”, e dall’altro negare le pene alternative proprio sulla base dei precedenti penali, giudicandole non idonee al reinserimento sociale?

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, fornendo una motivazione dettagliata e di grande interesse giuridico.

In primo luogo, ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla mancanza di dolo, ritenendo che la Corte d’Appello avesse adeguatamente valutato le prove (tra cui i filmati di videosorveglianza) e che il ricorso rappresentasse un mero tentativo di riesaminare il merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi del motivo comune relativo alle pene sostitutive. La Cassazione ha stabilito che la valutazione del giudice sulla concessione di tali misure è un potere ampiamente discrezionale, che deve essere esercitato sulla base dei criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale, tra cui spicca la “capacità a delinquere” dell’imputato.

La Corte ha chiarito un punto fondamentale: l’esclusione della recidiva qualificata incide sul calcolo della pena (elidendo l’aumento previsto per l’aggravante), ma non impedisce al giudice di considerare i precedenti penali per formulare un giudizio prognostico sulla personalità del reo e sul rischio di futuri reati.

In altre parole, anche se i precedenti non sono abbastanza gravi o specifici da integrare una recidiva qualificata, essi rimangono un elemento valido per valutare se le pene sostitutive siano effettivamente in grado di perseguire il fine rieducativo e di neutralizzare il rischio di recidiva. Il giudice di merito, nel caso di specie, ha legittimamente ritenuto che la storia criminale degli imputati rendesse le misure alternative inadeguate, e questa valutazione, essendo sorretta da una motivazione logica e coerente, non è censurabile in Cassazione.

Le conclusioni

La sentenza n. 9956 del 2025 ribadisce un principio consolidato: il giudizio sulla concessione delle pene sostitutive è strettamente legato alla prognosi sulla futura condotta del reo. Il giudice non è un mero automa, ma è chiamato a un’analisi complessiva della personalità dell’imputato. L’esclusione di una specifica aggravante come la recidiva non “cancella” i precedenti penali, che restano un fattore determinante per valutare la capacità a delinquere. La decisione finale deve essere orientata a individuare la sanzione più idonea a promuovere il reinserimento sociale e a prevenire la commissione di nuovi reati. Se, sulla base di una congrua motivazione, il giudice ritiene che solo la pena detentiva possa raggiungere tale scopo, la sua decisione è legittima.

Un giudice può negare le pene sostitutive a un imputato anche se è stata esclusa la recidiva?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’esclusione della recidiva qualificata incide sul calcolo della pena ma non impedisce al giudice di valutare i precedenti penali ai sensi dell’art. 133 cod. pen. per formulare un giudizio sulla capacità a delinquere e sull’idoneità delle pene sostitutive a promuovere il reinserimento sociale.

Quali criteri utilizza il giudice per decidere sulla concessione delle pene sostitutive?
Il giudice esercita un potere discrezionale basato sui criteri dell’art. 133 del codice penale. La decisione si fonda su un giudizio prognostico positivo circa l’idoneità della misura alternativa a prevenire futuri reati e a favorire la rieducazione del condannato, tenendo conto di indici come i precedenti penali e la condotta di vita.

La mancanza di prove sulla conoscenza della provenienza illecita di una carta di pagamento esclude automaticamente il dolo?
No. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’affermazione di responsabilità fosse basata su una solida base probatoria, che includeva filmati di videosorveglianza. La difesa non può limitarsi a negare la conoscenza, ma deve fornire elementi concreti; inoltre, la natura nominativa delle carte di pagamento è un fatto notorio che rende difficile sostenere la buona fede nell’utilizzo di una carta altrui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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