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Pene sostitutive: conta la pena inflitta, non residua

Un condannato a 3 anni e 9 mesi di reclusione ha richiesto l’applicazione delle pene sostitutive, sostenendo che si dovesse considerare la pena residua da scontare al netto del presofferto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: per l’ammissibilità alle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia, il calcolo deve basarsi esclusivamente sulla pena inflitta con la sentenza di condanna, e non sulla pena residua. La detenzione cautelare già scontata non rileva ai fini dell’accesso al beneficio, ma solo per il successivo scomputo dalla pena da eseguire.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Calcolo della Pena: la Cassazione Fa Chiarezza

Con la sentenza n. 2356 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale nell’ambito delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia: per determinare l’accesso a questi benefici, si deve considerare la pena inflitta in sentenza o quella residua da scontare? La risposta della Suprema Corte è netta e destinata a orientare la giurisprudenza futura, stabilendo un principio di diritto chiaro e inequivocabile.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato a una pena di 3 anni e 9 mesi di reclusione con sentenza divenuta irrevocabile. L’interessato presentava istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. La Corte di Appello, pur riconoscendo l’applicabilità del nuovo regime delle pene sostitutive, rigettava l’istanza. Osservava correttamente che la pena inflitta, superiore a tre anni, precludeva il lavoro di pubblica utilità (il cui limite è appunto di tre anni) ma consentiva di valutare la detenzione domiciliare sostitutiva (con limite a quattro anni). Tuttavia, anche quest’ultima misura veniva negata, ritenuta inadeguata per la gravità dei fatti e la capacità a delinquere del soggetto.
Il condannato ricorreva in Cassazione, sostenendo principalmente che il giudice avrebbe dovuto considerare la pena residua da scontare (al netto del periodo di custodia cautelare già sofferto) e non la pena totale inflitta in sentenza. Se si fosse seguito questo calcolo, la pena sarebbe rientrata nel limite dei tre anni, rendendo possibile l’accesso al lavoro di pubblica utilità.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle Pene Sostitutive

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte di Appello e cogliendo l’occasione per formulare un importante principio di diritto. Ha stabilito che, ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi ai sensi dell’art. 20-bis del codice penale, i limiti di pena sono riferiti esclusivamente alla pena inflitta con la sentenza di condanna. Questo vale anche quando l’istanza di sostituzione viene rivolta, come nel caso di specie, al giudice dell’esecuzione in applicazione della disciplina transitoria prevista dalla Riforma (art. 95 d.lgs. n. 150/2022).
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito, che aveva escluso il lavoro di pubblica utilità basandosi sulla pena di 3 anni e 9 mesi, superiore al limite di legge.

Le Motivazioni: Pena Inflitta vs. Pena Residua

La Corte ha spiegato in modo dettagliato le ragioni della sua decisione, basandosi su un’analisi sistematica della normativa. Il nuovo impianto normativo delle pene sostitutive è pensato per essere applicato dal giudice della cognizione, ovvero il giudice che emette la sentenza. In questa fase, non esiste ancora una “pena residua”, ma solo la “pena inflitta”.
Anche nell’ipotesi eccezionale, prevista dalla disciplina transitoria, in cui è il giudice dell’esecuzione a decidere, quest’ultimo deve porsi “retrospettivamente” nella stessa posizione del giudice della cognizione. Deve quindi verificare se, al momento della condanna, il soggetto avrebbe potuto accedere al beneficio sulla base della pena che gli veniva inflitta in quel momento.
La normativa sulle pene sostitutive non contiene alcuna disposizione analoga a quella prevista per le misure alternative alla detenzione (art. 656, comma 5, c.p.p.), che fa esplicito riferimento al “residuo di maggiore pena”. L’assenza di un simile richiamo non è casuale, ma riflette la diversa natura e il diverso momento applicativo delle due tipologie di benefici.
Il periodo di detenzione già sofferto in custodia cautelare (il cosiddetto presofferto) non è irrilevante, ma entra in gioco in una fase successiva: una volta concessa la pena sostitutiva, il presofferto verrà scomputato dalla sua durata, ma non può essere utilizzato per abbassare la pena “virtuale” al fine di rientrare nei limiti di ammissibilità.

Le Conclusioni

La sentenza in commento consolida un’interpretazione rigorosa e sistematica della Riforma Cartabia in materia di pene sostitutive. Il principio affermato è chiaro: il parametro per accedere a queste misure è unicamente la pena determinata dal giudice al termine del processo di cognizione. Tale approccio garantisce uniformità di trattamento e coerenza con la ratio della riforma, che mira a una valutazione anticipata, già in sede di condanna, sulla possibilità di evitare il carcere per reati di minore gravità. Per i condannati e i loro difensori, ciò significa che la strategia processuale deve tenere conto, sin dal primo grado di giudizio, della pena che si rischia di subire, poiché è quel quantum a determinare in modo definitivo la possibilità di accedere o meno al nuovo catalogo di sanzioni sostitutive.

Per accedere alle pene sostitutive, si considera la pena totale decisa dal giudice o quella che resta da scontare?
Si considera esclusivamente la pena inflitta con la sentenza di condanna. La pena residua, calcolata sottraendo il periodo di custodia cautelare già scontato, non è rilevante per determinare l’ammissibilità al beneficio.

Il periodo di custodia cautelare (presofferto) influisce sulla possibilità di ottenere una pena sostitutiva?
No, il presofferto non influisce sulla possibilità di ottenere una pena sostitutiva. Rileva solo in un secondo momento: se la pena sostitutiva viene concessa, il periodo di presofferto verrà detratto dalla sua durata complessiva.

Anche il giudice dell’esecuzione, quando applica le norme transitorie della Riforma Cartabia, deve basarsi sulla pena inflitta in origine?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche quando il giudice dell’esecuzione decide su un’istanza di sostituzione in base alla disciplina transitoria, deve porsi nella stessa posizione del giudice che ha emesso la condanna e quindi valutare l’ammissibilità sulla base della pena inflitta in quella sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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