Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33611 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33611 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/10/2023 del TRIBUNALE di MARSALA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Marsala, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. 150 del 2022, volta ad ottenere l’applicazione della pena del lavoro di pubblica utilità in sostituzione della pena detentiva inflittagli con la sentenza n. 499/2021 emessa il 16 aprile 2021 dallo stesso Tribunale e divenuta irrevocabile il 17 luglio 2023 (e non il 17 luglio 2021, come erroneamente scritto nel provvedimento del giudice a quo).
A ragione della decisione, osservava:
che, ai sensi dell’art. 67 I. n. 689 del 1981, le pene sostitutive delle pene detentive brevi dovevano considerarsi incompatibili con le misure alternative alla detenzione, misure, queste ultime, che, ad eccezione di quella contemplata dall’art. 47, comma 3-ter, Ord. pen., non erano applicabili al condannato in espiazione di pena sostitutiva;
che l’art. 51-bis Ord. pen. stabiliva che, nel caso in cui un soggetto sottoposto a misura alternativa alla detenzione fosse stato raggiunto da altro titolo di condanna definitivo, il P.M. competente avrebbe dovuto darne notizia al Magistrato di sorveglianza, il quale, tenuto conto della pena complessiva da espiare, avrebbe provveduto – permanendone le condizioni di applicabilità – a disporre la prosecuzione della misura;
che tale disposizione normativa non poteva che ritenersi “speciale” – ai sensi e per gli effetti dell’art. 15 cod. pen. – rispetto alla norma transitoria di all’art. 95, dovendosi individuare l’elemento specializzante nella sottoposizione del condannato ad una misura alternativa alla detenzione in carcere;
che, tutto ciò premesso, difettavano in radice i presupposti per ammettere, e valutare nel merito, l’istanza di COGNOME, il quale, alla data di presentazione della stessa (18 luglio 2023), stava già espiando un altro titolo di condanna, essendo stato sottoposto, a decorrere dal 2 febbraio 2023, alla misura alternativa della detenzione domiciliare (ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Palermo in data 19 gennaio 2023);
che, di conseguenza, sarebbe stato onere del P.M. competente attivare l’esecuzione della sentenza di cui trattasi nei termini di cui all’art. 51-bis Ord. pen. ossia dandone notizia al Magistrato di sorveglianza.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Nella prospettazione difensiva, nella specie avrebbe dovuto applicarsi, diversamente da quanto affermato dal giudice di merito, proprio l’art. 95 citato, in
quanto disposizione speciale e derogatoria rispetto all’art. 51-bis Ord. pen., essendo prevista l’applicazione della normativa previgente solo per i condannati alle abrogate sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Non è superfluo premettere che, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive, l’istanza del condannato al giudice dell’esecuzione ex art. 95, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è subordinata alla pendenza del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione alla data del 30 dicembre 2022, stabilita per l’entrata in vigore del predetto decreto dall’art. 99-bis, introdotto dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 (Sez. 1, n. 36885 del 4/7/2023, Sedicini, Rv. 285270).
Si è precisato che, ai fini dell’operatività della disciplina transitoria di all’art. 95 citato, in riferimento all’art. 20-bis cod. pen., è la pronuncia della sentenza di appello che determina la pendenza del procedimento innanzi alla Corte di cassazione (Sez. 6, n. 34091 del 21/6/2023, Sabatini, Rv. 285154).
Nella specie, risulta che il COGNOME si è attenuto alle condizioni previste dalla legge, sicché la sua istanza al giudice dell’esecuzione deve reputarsi correttamente veicolata e, quindi, ammissibile, quanto meno sotto questo specifico preliminare profilo.
Ciò detto, ritiene il Collegio opportuno spendere alcune considerazioni introduttive sulla riforma del processo penale attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ai fini che rilevano in questa sede.
Tale riforma, come noto, ha profondamente innovato lo statuto delle pene sostitutive, chiarendo, anche da un punto di vista lessicale, la loro essenza di “pena” al pari della pena principale sostituita della reclusione o dell’arresto.
La stessa Relazione illustrativa afferma, infatti, che si tratta di pene, diverse da quelle edittali, che possono essere applicate dal giudice in funzione, oltre che delle finalità di prevenzione generale e speciale, anche della rieducazione del condannato.
3.1. In particolare, la riforma, intervenendo sia sul codice penale, attraverso l’introduzione dell’art. 20-bis, che sulla legge 24 novembre 1981, n. 689, modificando le disposizioni contenute nel Capo III, ha riconfigurato le pene sostitutive non pecuniarie ed innalzato il limite massimo di pena detentiva sostituibile fino a quattro anni, allineandolo, così, al limite di pena entro il qual
ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. opera la sospensione dell’esecuzione. Accanto alla pena pecuniaria sostitutiva, sono state, infatti, introdotte le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità e, al contempo, sono state soppresse le pene sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata.
Dall’esame degli artt. 20-bis cod. pen. e 53 della legge n. 689 del 1981 emerge: che la semidetenzione e la detenzione domiciliare possono essere applicate in sostituzione delle pene detentive contenute entro il limite di quattro anni; che il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena detentiva contenuta entro i tre anni e, infine, che la pena detentiva contenuta entro il limite di un anno può essere sostituita con la pecuniaria della specie corrispondente.
3.2. La sede fisiologica destinata alla valutazione della possibilità di sostituzione della pena detentiva breve è il giudizio di primo grado, in relazione al quale il legislatore ha previsto, per il giudizio ordinario, il meccanismo processuale bifasico descritto dall’art. 545-bis cod. proc. pen., connotato dalla lettura del dispositivo, cui segue, in caso di istanza di sostituzione da parte dell’imputato, la successiva decisione, nel corso della medesima udienza o di un’udienza successiva, in ordine alla sostituzione della pena detentiva.
Un meccanismo analogo è stato, inoltre, previsto all’art. 448, comma 1-bis, cod. proc. pen. nell’ipotesi in cui, in caso di patteggiamento, l’accordo investa anche l’applicazione di una pena sostitutiva.
3.3. Sebbene, come detto, la sede fisiologica destinata alla valutazione ed applicazione delle pene sostitutive sia il giudizio di primo grado, il legislatore dell riforma, sul presupposto della loro natura sostanziale e del contenuto favorevole al reo del più elevato limite edittale che consente la sostituzione della pena detentiva, ha previsto una disciplina transitoria che ne permette l’applicazione retroattiva in bonam partem anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data di entrata in vigore della riforma.
3.3.1. L’art. 95, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022, contenente le disposizioni transitorie in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, prevede, infatti, che le nuove disposizioni introdotte al Capo III della legge 24 novembre 1981, n.689, se più favorevoli, si applichino anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. (30 dicembre 2022).
Con riferimento al giudizio di legittimità, la norma prevede, invece, che il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi alla Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, possa presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 cod. proc. pen.,
entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza (ed è il caso del COGNOME). In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio.
La ratio di tale disciplina differenziata per i procedimenti di impugnazione può essere agevolmente ravvisata nel fatto che la decisione in ordine alla sostituzione della pena detentiva ed all’applicazione della pena sostitutiva implica un giudizio di merito (si veda l’art. 58 legge n. 689 del 1981) estraneo al sindacato di legittimità, sicché, a differenza dei giudizi pendenti in grado di appello, per quel pendenti dinanzi alla Corte di cassazione si riserva ogni decisione al giudice dell’esecuzione, una volta passata in giudicato la sentenza.
3.4. Considerata la ratio sottesa alla disciplina transitoria in esame, volta a consentire la più ampia applicazione in bonam partem sia nei giudizi di primo grado che nei giudizi di impugnazione delle nuove disposizioni in tema di pene sostitutive, deve ritenersi che, in virtù della regola generale contenuta all’art. 2 comma quarto, cod. pen., di cui l’art. 95 costituisce diretta applicazione, l’unico limite all’applicazione retroattiva delle disposizioni più favorevoli in tema di pene sostitutive è rappresentato dalla formazione del giudicato di condanna a pena detentiva, non sostituita, in data antecedente all’entrata in vigore della riforma.
Qualora, il giudicato riguardi, invece, una condanna a pena detentiva già sostituita sulla base della precedente disciplina, troverà applicazione il comma 2 dell’art. 95 d. Igs. n. 150 del 2022, in base al quale, mentre le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata, già applicate o in corso di esecuzione al momento dell’entrata in vigore del decreto, continuano ad essere disciplinate dalle disposizioni previgenti, i condannati alla semidetenzione possono chiedere al Magistrato di sorveglianza la conversione nella semilibertà sostitutiva (Sez. 6, n. 34091 del 21/6/2023, cit., in motivazione).
L’incidente in sede esecutiva ex art 95 d.lgs. n. 150 del 2022 si delinea, dunque, alla stregua di un’appendice del procedimento di cognizione eccezionalmente collocata fuori dallo stesso per garantire l’applicazione delle nuove pene sostitutive ai condannati dei processi pendenti innanzi alla Corte di cassazione al 30 dicembre 2022, sicché la valutazione da compiere da parte del giudice dell’esecuzione, investito ai sensi dell’art. 95 citato, deve riguardare la prognosi ordinariamente demandata al giudice della cognizione, in particolare, dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981, tenendo conto dell’alveo già definito nel processo cognitorio anche sotto il profilo, rilevante ai fini dell’ammissione, dell’entità della pena irrogata (che sarà quella inflitta con la sentenza e non la pena residua da espiare: Sez. 1, n. 2356 del 12 ottobre 2023, dep. 2024, Salvato, Rv. 285584 – 01).
Con riferimento ai poteri discrezionali che il legislatore ha voluto attribuire al giudice – di cognizione e, nel caso eccezionale che ci occupa, di
esecuzione – in sede di applicazione e scelta delle pene sostitutive, il novellato art. 58 I. n. 689 del 1981 recita: «Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto con dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato» (art. 58 I. 24 novembre 1981, n. 689, come novellata).
L’esigenza di rieducazione si compenetra con quella di tutela della collettività, nel senso che questa si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice.
L’applicazione delle pene sostitutive, quindi, non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio, sia pure in un’ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all’applicazione; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l’adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale, in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necess di adeguati controlli e prescrizioni.
Sicché, sebbene la decisione di applicare la pena sostitutiva si muova, in coerenza con la ratio sopra delineata, nell’ottica di individuare una pena che sia la più idonea alla rieducazione del condannato, nell’ambito di tale valutazione trova posto – e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di contemperare interessi di pari rango – in una posizione di uguale grado, anche la necessità che essa corredata delle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato – scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati.
Risulta evidente, allora, che il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare l’an dell’applicazione della pena sostitutiva breve è quello della valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull’esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l’esecuzione della pena.
5.1. Quanto alla motivazione, l’art. 58 si limita a prevedere che il giudice deve indicare i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva, diffondendosi, piuttosto, sulla struttura argomentativa che il provvedimento deve avere quanto alla scelta del tipo (essedo chiaramente da privilegiare la pena non
detentiva nell’impostazione che risulta dalle disposizioni in argomento); è soprattutto in tale fase di selezione della pena che entra in gioco la specifica esigenza rieducativa, dovendo il giudice – per espressa previsione contenuta nell’art. 58 – scegliere quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando, quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria (Sez. 5, n. 43622 del 2023, cit.).
6. Venendo al caso in esame, rileva il Collegio che il giudice dell’esecuzione ha escluso di poter pervenire al giudizio di merito demandatogli, ai sensi del combinato disposto degli artt. 58 I. n. 689 del 1981 e 95 d.lgs. n. 150 del 2022, tenuto conto che il COGNOME, alla data di presentazione dell’istanza di pena sostitutiva, stava già espiando un altro titolo di condanna, essendo stato sottoposto, a decorrere dal 2 febbraio 2023, alla misura alternativa della detenzione domiciliare.
Il giudice adìto ha, quindi, ravvisato, in applicazione dell’art. 51-bis Ord. pen., norma reputata speciale rispetto all’art. 95 citato, una situazione di incompatibilità tra pene sostitutive e misure alternative alla detenzione.
L’assunto è, tuttavia, errato in diritto.
Il caso sottoposto all’odierno vaglio non involge il tema del rapporto di specialità tra norme e, in particolare, tra l’art. 51-bis Ord. pen. e l’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022.
L’art. 51-bis (“Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà”) così dispone al comma 1: «Quando, durante l’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, sopravviene un titolo esecutivo di altra pena detentiva, il pubblico ministero competente ai sensi dell’articolo 655 del codice di procedura penale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza formulando contestualmente le proprie richieste. Il magistrato di sorveglianza, tenuto conto del cumulo delle pene, se rileva che permangono le condizioni di applicabilità della misura in esecuzione, ne dispone con ordinanza la prosecuzione; in caso contrario, ne dispone la cessazione e ordina l’accompagnamento del condannato in istituto».
La norma penitenziaria, dunque, disciplina il caso di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà a carico di soggetto già ammesso a una misura alternativa alla detenzione, ma non stabilisce alcuna incompatibilità con le pene sostitutive, sicché è erroneo il riferimento ad essa.
Viceversa, la ricognizione delle disposizioni introdotte con il d. Igs. n.150 del 2022, laddove hanno novellato la legge 24 novembre 1981, n. 689, induce a ritenere possibile la coesistenza tra misure alternative alla detenzione e pene sostitutive, come già affermato in alcune recenti pronunce di questa Corte (Sez.
1, n. 11950 del 02/02/2024, COGNOME, Rv. 285889 – 01; Sez. 1, n. 13133 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286129 – 01; Sez. 1, n. 19776 del 05/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286400 – 01).
Secondo le richiamate e condivise decisioni, militano a supporto di tale conclusione:
a) l’art. 61 I. n. 689 del 1981 (nel testo sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. b) d. Igs. n. 150 del 2022), che, nel confermare che l’applicazione di una pena sostitutiva va indicata nel dispositivo della sentenza di condanna unitamente alla pena che si va a sostituire, rimanda ad una opzione affidata al giudice della cognizione, indenne dalla operazione di cumulo di pene inflitte con sentenze diverse;
b) l’art. 53 I. n. 689 del 1981 (nel testo sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. a) d. Igs. n. 150 del 2022), che, al comma 3, impone di tener conto, ai fini della determinazione del limite di pena detentiva, della pena aumentata ai sensi dell’art. 81 del codice penale, dunque della eventuale pena inflitta per il reato continuato, se riconosciuto con la sentenza che si va ad emettere in cognizione;
c) la disciplina dettata dall’art. 70 della I. n.689 del 1981 (nel testo sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. t) d. Igs. n. 150 del 2022), che regolamenta in sede di esecuzione il fenomeno della coesistenza di più titoli, il che sta a significare come il legislatore non abbia trascurato il fenomeno, ma lo abbia ‘posposto’, sul piano della regolamentazione, rispetto alla decisione da emettersi in cognizione.
Con ciò si intende dire che il giudice della cognizione – ed è da ritenersi tale, per le ragioni già evidenziate, anche il giudice della esecuzione ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. n.150 del 2022 – decide sempre in via autonoma nell’ambito del ‘proprio’ giudizio, lì dove sussistano i presupposti di legge per l’accoglimento della domanda (limite di pena per il reato oggetto di giudizio + adeguatezza della pena sostitutiva ai sensi dell’art. 58) e, soltanto in un secondo momento (la sede esecutiva in senso proprio), può porsi un problema di coesistenza di più titoli, che va risolto secondo le disposizioni di cui all’articolo 70.
In particolare, va anche rilevato che la citata disposizione non implica la necessaria unificazione dei titoli che comportano pene detentive (che potrebbero essere oggetto, medio tempore, di una misura alternativa come l’affidamento in prova) con quelli che comportano pene sostitutive.
Ciò si desume dal testo del quarto comma, ove si legge che «Le pene sostitutive sono sempre eseguite dopo le pene detentive e, nell’ordine, si eseguono la semilibertà, la detenzione domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità»; dunque, è ben possibile che le sentenze in esecuzione abbiano ad oggetto tanto pene
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detentive (che vanno eseguite prima, anche in affidamento) che pene sostitutive (che vanno eseguite dopo).
Solo nella ipotesi in cui le decisioni da porre in esecuzione siano ‘tutte’ riferibili a pene sostitutive il legislatore interviene a prevedere la necessità de cumulo (cumulo dunque solo omogeneo), con la conseguenza di imporre il rispetto, in questo caso, del limite massimo dei quattro anni delle ‘pene sostituite’ e dunque della reclusione o dell’arresto, che vanno pertanto eseguite, salvo che la pena residua sia pari o inferiore ad anni quattro (v. art. 70, terzo comma: così Sez. 1, n. 13133 del 2024, cit.).
Da quanto sinora esposto deriva l’erroneità del presupposto da cui è partito il giudice della esecuzione nella decisione oggi in esame, posto che in nessun caso il giudice che riceve la domanda di pena sostitutiva può respingerla solo in ragione della esistenza di una misura alternativa alla detenzione in corso di esecuzione.
Ne consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, atteso che la residua parte della motivazione non contiene alcun concreto giudizio prognostico ai sensi dell’art. 58 I. n.689 del 1981, giudizio che, in sede di rinvio, Tribunale di Marsala dovrà effettuare.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Marsala.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente