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Pene sostitutive: Cassazione su oneri del condannato

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza della Corte d’Appello che negava l’applicazione delle pene sostitutive del lavoro di pubblica utilità. Il diniego era basato sulla mancata indicazione, da parte del condannato, dell’ente e del programma di lavoro. La Suprema Corte ha chiarito che tale onere non spetta al richiedente, ma è compito del giudice avviare una procedura per acquisire le informazioni necessarie, anche tramite l’ufficio di esecuzione penale esterna. La decisione sottolinea che l’assenza di questi dettagli non può essere un ostacolo all’accesso alle pene sostitutive.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Lavoro di Pubblica Utilità: La Cassazione Chiarisce gli Obblighi del Condannato

Con la recente riforma Cartabia, le pene sostitutive hanno assunto un ruolo centrale nel sistema sanzionatorio penale, offrendo un’alternativa concreta al carcere per reati di minore gravità. Tuttavia, l’applicazione pratica delle nuove norme solleva questioni interpretative cruciali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 33619/2024) interviene proprio su uno di questi nodi, chiarendo quali siano gli oneri del condannato al momento della richiesta di accesso al lavoro di pubblica utilità e quale sia il ruolo proattivo del giudice.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un uomo condannato, il quale aveva presentato istanza alla Corte d’Appello di Firenze, in qualità di giudice dell’esecuzione, per ottenere la sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità.

La Corte territoriale, però, respingeva la richiesta con una motivazione netta: il condannato non aveva indicato né l’ente presso cui svolgere il lavoro, né il relativo programma con gli orari. Secondo i giudici di merito, questa mancanza rendeva l’istanza inammissibile.

Il Ricorso in Cassazione e le Motivazioni sulle Pene Sostitutive

Contro questa decisione, la difesa del condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge. Il difensore sosteneva che la normativa, in particolare l’art. 545-bis del codice di procedura penale, non impone al condannato di presentare un programma di lavoro già definito al momento della richiesta.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che la decisione della Corte d’Appello si basa su un presupposto errato, ovvero che la richiesta di pene sostitutive sia subordinata alla preventiva elaborazione di un programma d’intesa con l’ufficio esecuzione penale esterna (UEPE).

Il Ruolo Proattivo del Giudice

La Cassazione ha evidenziato come la normativa delinei una procedura partecipata. L’articolo 545-bis c.p.p. prevede che il giudice, una volta verificata la sussistenza delle condizioni per la sostituzione, debba avviare un percorso finalizzato alla scelta della pena più idonea.

Se non è possibile decidere immediatamente, il giudice deve fissare un’apposita udienza. In questa fase, può e deve acquisire tutte le informazioni necessarie dall’UEPE e, se del caso, dalla polizia giudiziaria. In particolare, è proprio il giudice a poter richiedere all’UEPE di elaborare un programma di trattamento per il lavoro di pubblica utilità, indicando anche la disponibilità degli enti.

Di conseguenza, attribuire al condannato l’onere di trovare un ente e definire un programma prima ancora che il giudice si sia espresso sull’ammissibilità della sostituzione è un’inversione procedurale che non trova alcun fondamento normativo. La mancanza di tali indicazioni nell’istanza non può, quindi, costituire un motivo ostativo all’accesso alla misura.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che la valutazione sull’adeguatezza della pena sostitutiva richiesta è mancata del tutto nel provvedimento impugnato. La Corte territoriale si è fermata a un rilievo meramente formale, l’assenza dell’indicazione dell’ente, senza compiere il giudizio prognostico sulla rieducazione del condannato che la legge le impone. Il giudice, tenuto conto dei criteri dell’art. 133 c.p., deve scegliere la pena più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, assicurando al contempo la prevenzione di nuovi reati. Respingere la richiesta per una mancanza documentale che può essere colmata nel corso della procedura giudiziaria significa vanificare lo scopo della norma.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale per l’applicazione delle pene sostitutive: la richiesta di lavoro di pubblica utilità non è soggetta alla condizione di indicare preventivamente l’ente e il programma di trattamento. L’assenza di tali elementi non rende l’istanza inammissibile. Spetta al giudice, nel contraddittorio tra le parti, attivarsi per acquisire le informazioni necessarie a definire il percorso sanzionatorio più adeguato. La decisione è stata quindi annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questo principio.

Per richiedere la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, è necessario indicare già l’ente e il programma di lavoro?
No, secondo la Corte di Cassazione, la mancata indicazione dell’ente o del programma di lavoro nell’istanza iniziale non costituisce un motivo valido per respingere la richiesta.

Qual è il ruolo del giudice quando riceve una richiesta di pena sostitutiva senza i dettagli del programma?
Il giudice, se non può decidere immediatamente, deve fissare un’apposita udienza e avviare una procedura per acquisire le informazioni necessarie. Può richiedere all’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) di predisporre un programma di trattamento, indicando la disponibilità degli enti.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte ha annullato l’ordinanza della Corte d’Appello, stabilendo che aveva erroneamente respinto la richiesta basandosi su un presupposto non richiesto dalla legge. Ha quindi rinviato il caso alla stessa Corte d’Appello per un nuovo giudizio che applichi correttamente la normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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