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Pene sostitutive appello: la richiesta è necessaria

Un imputato, condannato per uso indebito di carta bancomat, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare d’ufficio le pene sostitutive e la causa di non punibilità per tenuità del fatto. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che per le pene sostitutive in appello è sempre necessaria una richiesta di parte, che non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive in Appello: l’Imputato Deve Chiedere, non è un Diritto Automatico

Con la sentenza n. 34796/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale introdotto dalla Riforma Cartabia: l’applicazione delle pene sostitutive in appello. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: l’imputato deve assumere un ruolo attivo. I benefici di legge, anche se favorevoli, non vengono concessi d’ufficio dal giudice; è necessaria una richiesta esplicita della difesa. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento. In concorso con un’altra persona, aveva usato la carta bancomat di un terzo per effettuare un acquisto di 100 euro e tentare ulteriori dieci operazioni per un totale di 2.550 euro presso un esercizio commerciale. La sua responsabilità penale veniva confermata sia dal Tribunale di Foggia in primo grado sia dalla Corte d’appello di Bari.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali, entrambi legati alle novità introdotte dalla Riforma Cartabia:

1. Mancata applicazione delle pene sostitutive: Si contestava alla Corte d’appello di non aver avvisato le parti, dopo la conferma della condanna, della possibilità di sostituire la pena detentiva con una sanzione meno afflittiva (art. 545 bis c.p.p.), violando così il diritto dell’imputato di richiederla.
2. Omessa valutazione della non punibilità per tenuità del fatto: Si lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., alla luce della sua nuova formulazione che consente di valutare anche la condotta successiva al reato. Secondo la difesa, il comportamento collaborativo e rispettoso della legalità tenuto dall’imputato avrebbe dovuto essere considerato.

Le motivazioni della Corte sulle pene sostitutive in appello

La Cassazione ha dichiarato il primo motivo inammissibile, allineandosi a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. I giudici hanno chiarito che, ai sensi della disciplina transitoria della Riforma Cartabia (art. 95 d.lgs. 150/2022), l’applicazione delle nuove pene sostitutive in appello non è un’iniziativa che il giudice deve intraprendere d’ufficio. Al contrario, è onere dell’imputato formulare una specifica richiesta.

Questa richiesta non deve necessariamente essere inserita nell’atto di appello, ma deve comunque pervenire al più tardi nel corso dell’udienza di discussione. In assenza di tale istanza, il giudice d’appello non ha alcun obbligo di pronunciarsi sulla questione. La Corte ha quindi respinto l’idea che il giudice debba sollecitare la difesa, confermando che l’attivazione di questo istituto dipende esclusivamente dall’impulso di parte.

Le motivazioni sull’art. 131 bis e i Motivi Nuovi in Cassazione

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La modifica all’art. 131 bis c.p., che permette di valutare la condotta successiva al reato, era già in vigore al momento della celebrazione del processo d’appello. Tuttavia, la difesa non ha mai sollevato tale questione né formulato una richiesta di applicazione della causa di non punibilità in quella sede.

La Suprema Corte ha sottolineato che introdurre questa circostanza per la prima volta nel giudizio di legittimità costituisce un motivo nuovo, non ammissibile ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p. Il ricorso per cassazione serve a controllare la corretta applicazione della legge da parte del giudice del merito sulle questioni che gli sono state sottoposte, non a introdurre temi che potevano e dovevano essere discussi nei gradi precedenti.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione procedurale: le riforme legislative, anche quando introducono istituti di favore per l’imputato, non esonerano la difesa da un ruolo proattivo. Sia le pene sostitutive sia l’applicazione dell’art. 131 bis richiedono una specifica istanza, da presentare nei tempi e modi corretti. Attendere che il giudice agisca d’ufficio è una strategia processuale perdente. La decisione finale di inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria evidenziano come la negligenza processuale possa precludere l’accesso a benefici altrimenti applicabili.

In appello, il giudice è obbligato ad avvisare l’imputato della possibilità di applicare pene sostitutive dopo la Riforma Cartabia?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che spetta all’imputato formulare una richiesta specifica, al più tardi durante l’udienza di discussione in appello. Non è un obbligo che il giudice deve adempiere d’ufficio.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)?
No. Se la difesa non ha formulato tale istanza durante il giudizio di appello, pur potendolo fare, non può introdurre la questione per la prima volta nel giudizio di legittimità. Si tratterebbe di un motivo inammissibile.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché entrambi i motivi erano proceduralmente errati. Per le pene sostitutive, mancava la necessaria richiesta di parte nel giudizio d’appello. Per la tenuità del fatto, la questione è stata sollevata per la prima volta in Cassazione, cosa non consentita dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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