Pene sostitutive: se non le chiedi in appello, non le ottieni
L’introduzione delle pene sostitutive con la Riforma Cartabia ha rappresentato una svolta importante nel sistema sanzionatorio penale, offrendo alternative al carcere per le pene detentive brevi. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda un principio procedurale fondamentale: per beneficiare di queste misure, è necessario farne esplicita richiesta. Vediamo come la mancata istanza in appello abbia portato a dichiarare un ricorso inammissibile, rendendo definitiva una condanna.
Il Caso in Esame: Dalla Condanna per Rapina al Ricorso in Cassazione
Il caso analizzato trae origine dalla condanna per rapina inflitta a un individuo dalla Corte d’Appello di Genova. L’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, basandolo essenzialmente su due ordini di motivi:
1. Una presunta carenza di motivazione riguardo alla sua effettiva responsabilità penale.
2. La violazione di legge per la mancata conversione della pena detentiva in una delle pene sostitutive previste dalla normativa.
L’imputato sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente giustificato la sua colpevolezza e che, in ogni caso, avrebbero dovuto applicare una sanzione alternativa al carcere. La Suprema Corte, però, ha respinto entrambe le doglianze, dichiarando l’intero ricorso inammissibile.
La Decisione della Cassazione e le Pene Sostitutive
La Corte ha liquidato rapidamente il primo motivo di ricorso, qualificandolo come manifestamente infondato e non specifico. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e completa, e che il ruolo della Cassazione non è quello di rivalutare i fatti, ma solo di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica della decisione impugnata.
Il punto cruciale della decisione, tuttavia, risiede nell’analisi del secondo motivo, quello relativo alle pene sostitutive. La Cassazione ha stabilito che anche questa doglianza era manifestamente infondata, ma per una ragione puramente procedurale: l’imputato non aveva mai richiesto l’applicazione di tali pene né nell’atto di appello, né durante la discussione davanti ai giudici di secondo grado.
Le Motivazioni: Il Ruolo Attivo dell’Imputato
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio ormai consolidato nella giurisprudenza. La disciplina transitoria della Riforma Cartabia (art. 95 d.lgs. 150/2022) prevede che il giudice d’appello possa applicare le pene sostitutive anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Tuttavia, ciò non avviene d’ufficio. È necessaria una richiesta specifica da parte dell’imputato.
Questa richiesta non deve essere necessariamente formulata nell’atto di impugnazione, ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del processo d’appello. In assenza di tale istanza, il giudice non è tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità. L’onere di attivarsi spetta quindi alla difesa, che deve manifestare esplicitamente la volontà di accedere a questi benefici. Nel caso di specie, il silenzio serbato dall’imputato e dal suo difensore nel giudizio di merito ha precluso ogni possibilità di ottenere la conversione della pena.
Conclusioni: L’Importanza della Diligenza Difensiva
L’ordinanza in commento offre una lezione pratica di fondamentale importanza: nel processo penale, la diligenza e la strategia difensiva sono decisive. Le pene sostitutive rappresentano un’opportunità significativa, ma non sono un diritto che scatta in automatico. La decisione della Cassazione ribadisce che il ruolo dell’imputato e del suo difensore è proattivo. Omettere una richiesta così cruciale nel momento processuale corretto – l’appello – significa perdere definitivamente la possibilità di far valere quel diritto. La conseguenza, come in questo caso, è la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, con la condanna che diventa irrevocabile.
È possibile chiedere le pene sostitutive per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte ha chiarito che la richiesta di applicazione delle pene sostitutive deve essere presentata al giudice di merito, al più tardi nel corso dell’udienza di discussione del processo d’appello. Non è possibile formularla per la prima volta in sede di ricorso per cassazione.
Perché il ricorso sulla responsabilità penale è stato ritenuto infondato?
Perché i motivi presentati sono stati giudicati generici e non specifici rispetto alla motivazione dettagliata fornita dalla Corte d’Appello. La Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la logicità e la correttezza giuridica della sentenza, che in questo caso sono state ritenute sussistenti.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende. Inoltre, la sentenza di condanna impugnata diventa definitiva e irrevocabile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4131 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4131 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CUI CODICE_FISCALE nato il 01/03/1992
avverso la sentenza del 11/04/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
i
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che i primi due motivi di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, sono manifestamente infondati, dal momento che i giudici di appello hanno compiutamente indicato tutte le ragioni di fatto e di diritto sulla base delle quali deve ritenersi integrato il del di rapina commesso dal ricorrente, il suo concorso materiale nel reato e la prevedibilità di quest’ultimo (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata), dovendo, pertanto, il motivo considerarsi non specifico rispetto a quanto argomentato dalla Corte territoriale;
che, a tal proposito, deve ribadirsi come l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, poiché il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (presente nel caso di specie), senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074);
considerato che l’ultimo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge processuale in ordine all’art. 545-bis cod. proc. pen., per mancata conversione della pena detentiva irrogata nei confronti del ricorrente in una delle pene sostitutive ex art.53 della legge n. 689 del 24 novembre del 1981, è manifestamente infondato, poiché non risulta che una specifica doglianza in tal senso sia stata avanzata con l’atto d’appello né rappresentato dinanzi ai giudici di merito, dovendosi a tal proposito sottolinearsi come sia ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: “In tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., affinché il giudic di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame” (ex plurimis: sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017 – 01; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024 , COGNOME Rv. 285751 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso – con superamento di ogni altra argomentazione difensiva, anche in relazione al contenuto della memoria depositata – deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 29/10/2024.