Pene Accessorie: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile?
La determinazione della durata delle pene accessorie è un aspetto cruciale del processo penale, affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili del ricorso per legittimità in questa materia, chiarendo quando le censure dell’imputato si traducono in un’inammissibile richiesta di riesame dei fatti.
Il Contesto del Ricorso: La Rideterminazione delle Pene Accessorie
Il caso esaminato trae origine dalla decisione di una Corte d’Appello che, in sede di rinvio a seguito di un annullamento da parte della Corte di Cassazione, aveva rideterminato in due anni le pene accessorie a carico di un imprenditore. Le sanzioni consistevano nell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e nell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione avverso questa nuova sentenza, lamentando l’erroneità e la contraddittorietà della valutazione operata dai giudici di secondo grado. In particolare, si contestava la presunta mancata considerazione, ai sensi dell’art. 133 del codice penale, del tempo trascorso dall’ultimo reato commesso.
Le Doglianze del Ricorrente sulla Valutazione delle Pene Accessorie
Il nucleo della difesa si concentrava su una presunta applicazione errata dei criteri di commisurazione della pena. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente ponderato tutti gli elementi a suo favore, specialmente il lungo intervallo temporale intercorso dalla commissione dei fatti, un fattore che avrebbe dovuto militare per una sanzione accessoria ancora più mite.
Inoltre, il ricorso tentava di reintrodurre elementi fattuali già valutati nel merito, come la circostanza che l’imputato non avesse personalmente incassato somme distratte o che fosse stato assolto da un’accusa connessa. Questi argomenti, tuttavia, miravano a una rilettura complessiva del quadro probatorio, più che a evidenziare un vizio di legittimità.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e lineare. I giudici hanno ritenuto la sentenza della Corte d’Appello del tutto coerente ed esaustiva. La motivazione impugnata, infatti, conteneva un adeguato riferimento ai criteri dell’art. 133 c.p., bilanciando correttamente sia gli aspetti sfavorevoli (la gravità oggettiva del fatto) sia quelli favorevoli (il tempo trascorso). Tale bilanciamento aveva già portato all’applicazione di pene accessorie in misura “assai inferiore al massimo edittale”, dimostrando che il giudice di merito aveva esercitato la sua discrezionalità in modo ponderato e non arbitrario.
La Corte ha poi sottolineato come le critiche del ricorrente fossero, in realtà, “argomenti nemmeno propriamente esatti in via di fatto” che sollecitavano una “non consentita rilettura degli elementi di fatto”. Contestare chi avesse materialmente beneficiato delle somme o le ragioni di un’assoluzione parziale sono questioni di merito, il cui esame è precluso in sede di legittimità. Il compito della Cassazione non è quello di stabilire se la valutazione del giudice di merito sia la migliore possibile, ma solo se sia logicamente argomentata e legalmente corretta.
Le Conclusioni: I Limiti del Giudizio di Legittimità
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio. Non è possibile utilizzarlo per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti o per proporre una diversa interpretazione delle prove. Quando la decisione del giudice di merito sulla commisurazione della pena (principale o accessoria) è supportata da una motivazione logica, non contraddittoria e rispettosa dei parametri legali, essa è insindacabile in sede di legittimità. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, rappresenta la logica conseguenza di un ricorso che travalica i limiti del giudizio di diritto per invadere il campo del merito.
È possibile contestare in Cassazione la durata di una pena accessoria decisa dal giudice di merito?
Sì, ma solo se si dimostra che la motivazione del giudice è illogica, contraddittoria o basata su un’errata applicazione dei criteri di legge, come quelli previsti dall’art. 133 del codice penale. Non è possibile chiedere alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti per ottenere una pena più mite.
Quali criteri usa il giudice per determinare la durata delle pene accessorie?
Il giudice utilizza i criteri indicati dall’art. 133 del codice penale, bilanciando elementi sfavorevoli (come la gravità del fatto) ed elementi favorevoli all’imputato (come il tempo trascorso dal reato), al fine di commisurare una sanzione adeguata al caso concreto.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la conferma definitiva della decisione impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nell’ordinanza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14626 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a DOMUSNOVAS il 08/08/1960
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di COGNOME COGNOME avverso la sentenza con cui in data 12.6.2024 la Corte d’Appello di Cagliari, decidendo in sede di rinvio a seguito di sentenza della Corte di Cassazione del 21.2.2023 che aveva annullato la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari del 10.6.2021, ha rideterminato le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa nella misura di due anni;
Evidenziato che il ricorso censura la erroneità e contraddittorietà della valutazione, da parte dei giudici di secondo grado, degli indici previsti dall’art. 133 cod. pen., valutazione che, peraltro, non ha tenuto conto del tempo decorso dall’ultimo reato commesso;
Ritenuto, a tal riguardo, che la motivazione della Corte d’Appello sia del tutto coerente ed esaustiva, in quanto contiene un adeguato riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sia in senso sfavorevole (gravità del fatto) che in senso favorevole (l’intervallo di tempo dalla commissione dell’ultimo reato) all’imputato, peraltro ai fini dell’applicazione della pena accessoria in una misura assai inferiore al massimo edittale;
Considerato che, invece, il ricorso avversa la motivazione con argomenti nemmeno propriamente esatti in via di fatto (è vero che l’imputato non avrebbe personalmente incassato i due milioni di euro distratti, ma l’ipotesi accusatoria postula però che li abbia ceduti al figlio; è vero che l’imputato è stato assolto dalla falsa denuncia di smarrimento della contabilità, ma non perché il fatto non sia stato provato bensì perché secondo i giudici di merito non è suscettibile di integrare il reato di cui all’art. 483 cod. pen.);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto si è limitato a sollecitare una non consentita rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione con l’adozione di parametri di valutazione diversi da quelli adottati nella sentenza impugnata;
Aggiunto che alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16.1.2025