Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20017 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20017 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TAURIANOVA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a GALATRO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a POLISTENA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alle pene accessorie e il rigetto nel resto dei ricorsi;
uditi l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo raccoglimento dei rispettivi ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.1 sigg.ri NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per l’annullamento della sentenza del 30 maggio 2023 della Corte di appello di Reggio Calabria che, in parziale riforma della sentenza del 7 luglio 2022 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palmi, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da loro impugnata, ha rideterminato la pena (principale) nella misura di tre anni di reclusione ciascuno confermando nel resto la condanna per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, loro ascritto per aver coltivato una piantagione costituita da oltre 238 piante produttrici di sostanze stupefacenti; il fatto è contestato come commesso in Galatro fino al 24 settembre 2021, con l’aggravante della ingente quantità e della recidiva semplice per il solo NOME COGNOME.
2.NOME COGNOME articola tre motivi.
2.1.Con il primo deduce la violazione degli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen., per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con specifico riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, questione devoluta in appello sotto vari profili (in particolare, con riferimento alle numerose criticità relative alla estrazione e alla campionatura dei reperti e alla individuazione esatta delle piante trasmesse al RIS per le analisi di laboratorio) ma superata dalla Corte territoriale con vuote formule di stile che hanno lasciato senza risposte le conclusioni del consulente tecnico della difesa che mettevano in seria discussione la attendibilità della consulenza del RIS.
2.2.Con il secondo motivo deduce, sotto altro profilo, l’erronea applicazione degli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e 59 cod. pen. nonché il vizio di omessa, contraddittoria ed illogica motivazione con riferimento alla circostanza aggravante della ingente quantità sotto il duplice profilo della insufficienza del mero dato ponderale a integrarla e della mancanza di consapevolezza della sussistenza della circostanza stessa.
2.3.Con il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 62 -bis, 132, 133 cod. pen., 73, commi 1 e 4, 85 d.P.R. n. 309 del 1990, 125, 546 cod. proc. pen., in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla indistinta applicazione delle pene accessorie del ritiro della patente e del divieto di espatrio.
3.NOME COGNOME propone sette motivi.
3.1.Con il primo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al concorso nel delitto di coltivazione di piante stupefacenti erroneamente confermato dalla Corte territoriale per effetto del malgoverno delle norme e dei principi in materia di valutazione congiunta e coordinata degli elementi indiziari nessuno dei quali, afferma, possiede valenza dimostrativa necessaria ed univoca, prestandosi, ciascuno di essi, ad una valutazione ambigua.
3.2.Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione degli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e 364 cod. proc. pen. e la nullità della campionatura delle piante sequestrate effettuata senza darne avviso all’interessato.
3.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione degli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e 59 cod. pen. e il vizio di omessa motivazione in ordine alla propria consapevolezza, tanto del numero delle piante coltivate, quanto della ingente quantità delle sostanze stupefacenti da esse ricavabili.
3.4.Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione al diniego della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen. e l’omessa motivazione sul punto. Osserva, al riguardo, che la prova della sua responsabilità non è diretta e che, al più, egli si è limitato a mettere a disposizione dei due correi gli spazi di sua proprietà (immobile, terreno agricolo e box), non avendo la propria condotta rappresentato un rafforzamento del proposito criminoso altrui né un elemento facilitatore del delitto.
3.5.Con il quinto motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione delle pene accessorie del ritiro della patente e del divieto di espatrio di cui all’art. 85 d.P.R. n. 309 del 1990 e la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione sul punto non essendovi alcun nesso causale tra la condotta specificamente ascrittagli e l’utilizzo della patente.
3.6.Con il sesto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, essendo stata applicata una pena base superiore al minimo edittale.
3.7.Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
4.NOME COGNOME articola tre motivi.
4.1.Con il primo deduce le medesime questioni oggetto del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME.
Lamenta, nello specifico, che la consulenza di parte aveva evidenziato specifiche incongruenze relative: 1) all’esatto quantitativo di sostanza in sequestro: piantagione e fascio di 14 rami di marijuana rinvenuti nel capanno per la legna, secondo l’ordinanza di convalida dell’arresto; 238 piante, un fascio costituito da 14 rami di marijuana, rinvenuti nel capanno per la legna, e 20 fasci
di marijuana, rinvenuti nell’essiccatoio posto di fronte alla piantagione, secondo il decreto di convalida del sequestro probatorio; più di 238 piante (parte delle quali messe ad essiccare per la successiva lavorazione) secondo il decreto di giudizio immediato; 2) alla creazione dei sottogruppi delle piante in base alla loro altezza, in realtà mai misurata dall’ufficiale di p.g., che ha determinato la creazione di tre gruppi di piante della medesima altezza (250-300 cm.) e di uno di altezza maggiore (350-400 cm.), laddove nel verbale di sequestro si fa riferimento alla classificazione delle piante in piccole, medie, grandi e grandissime, sicché le analisi relative alle piante dei primi tre sottogruppi sono state ripetute tre volte, in malam partem per gli imputati; 3) al numero dei campioni rilevati e alla percentuale di estrazione, diversa per ognuno dei campioni, laddove l’ufficiale di p.g. aveva riferito che tale percentuale era uguale per ognuno di essi; 4) al rapporto tra il peso medio delle foglie e quello degli arbusti, frutto di un evidente errore nella pesatura delle piante effettuata dal RIS e non dall’ufficiale di p.g. sentito dalla Corte di appello; 5) alle fantomatiche 79 piante inviate al RIS per le analisi, questione non chiarita dall’ufficiale di p.g. il quale materialmente non aveva effettuato tale attività lasciando il dubbio che si trattasse di rami staccati da una pianta già oggetto di campionatura; peraltro il campionamento dei reperti e la pesatura delle foglie sono stati effettuati inaudita altera parte e senza indicazione della metodologia applicata.
In conclusione: a) non corrisponde a vero che la sentenza di primo grado aveva dato conto e affrontato le questioni dedotte dalla difesa; b) la sentenza impugnata è contraddittoria allorquando afferma che tali questioni sono state superate in appello dall’audizione dell’ufficiale di p.g. il quale non aveva misurato l’altezza delle piante, aveva formato i sottogruppi discostandosi dal vademecum del RIS, aveva precisato che le 79 piante in realtà erano rami staccati da una pianta, aveva riferito che il peso delle foglie si modifica nel tempo.
4.2.Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 80 e 87, d.P.R. n. 309 del 1990, e il vizio di motivazione manifestamente illogica, contraddittoria e carente in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990.
Richiamando gli argomenti già oggetto del primo motivo e ribadendo come il primo Giudice avesse lasciato irrisolte le questioni relative all’esatta quantità delle piante rinvenute dalla polizia giudiziaria, alla procedura di campionamento e alla pesatura della sostanza stupefacente, lamenta che la Corte di appello ha omesso di esaminare tali questioni sostanzialmente travisando il terzo motivo di appello (ad esse dedicato) affermando che la difesa non ha contestato il dato ponderale ma la natura irripetibile degli accertamenti (questione devoluta con il secondo motivo). La dedotta violazione dell’art. 87 d.P.R. n. 309 del 1990 era finalizzata a mettere in dubbio la porzione di sostanza inviata al RIS e, in
particolare, la sua rappresentatività avuto riguardo, appunto, alla natura irripetibile dell’accertamento e alla attitudine della sostanza a mutamenti dei quali aveva dato atto proprio l’ufficiale di p.g., il quale ha peraltro espressamente confermato che la pesatura delle foglie era stata effettuata dal RIS in assenza delle parti con conseguente nullità della campionatura e, di riflesso, della inettitudine del campione a rappresentare il tutto. La Corte di appello, invece, sulla falsa premessa della mancata contestazione del dato ponderale, ritiene immotivatamente ripetibile l’analisi superando in tal modo i rilievi critici.
4.3.Con il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 62-bis, 132, 133 cod. pen., 73, commi 1 e 4, 85 d.P.R. n. 309 del 1990, 125 e 546 cod. proc. pen. in relazione all’immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche, alla illogica applicazione delle pene accessorie e all’errato computo della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono fondati limitatamente alla applicazione delle pene accessorie, sono infondati nel resto.
2.Si imputa ai ricorrenti di aver coltivato una piantagione costituita da oltre 238 piante produttrici di sostanze stupefacenti, parte delle quali estirpate e messe ad essiccare in un essiccatoio e poi in un box sito nel terreno di proprietà di NOME COGNOME, adiacente alla piantagione, per la successiva lavorazione. La sostanza complessivamente coltivata e lavorata – recita la rubrica – conteneva 8,138 chilogrammi di principio attivo (delta9-THC), da cui erano ricavabili 325.552 dosi.
3.Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che:
3.1.nel corso di un servizio di polizia giudiziaria, in un terreno circondato da felci, i Carabinieri avevano rinvenuto una piantagione di canapa indiana costituita da circa 238 piante di altezza variabile dai 2,5 ai 5 metri;
3.2.appostati in luogo, i militari avevano atteso sino a quando non erano arrivati due uomini, gli odierni ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, che, muniti di materiale e attrezzi, si stavano accingendo a posizionare delle assi destinate ad essiccatoio delle piante;
3.3.i due erano giunti a bordo dell’autovettura intestata alla moglie di NOME COGNOME che era stata parcheggiata nel cortile di un terreno adiacente ad un immobile di proprietà di NOME COGNOME del quale NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano le chiavi ad all’interno del quale, all’esito di perquisizione, erano stati rinvenuti un fascio di rami di canapa, due fototrappole e una
telecamera alimentata da pannello solare; la videocamera era dotata di una staffa analoga a quella attaccata ad un albero sopra l’essiccatoio all’interno della piantagione;
3.4.arrestati, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano ammesso le proprie responsabilità; mentre il primo aveva però escluso il coinvolgimento di NOME COGNOME, il secondo aveva invece rivendicato la comune proprietà della piantagione («la piantagione era nostra»); NOME COGNOME si era protestato innocente sostenendo di conoscere i due correi ma aggiungendo che la proprietà non era chiusa a chiave, che si era limitato a custodire le foto-trappole e che nulla sapeva della marijuana nel capanno;
3.5. tratti a giudizio immediato, gli imputati avevano infine chiesto di essere giudicati con rito abbreviato “secco”;
3.6.disposto un approfondimento istruttorio ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., mediante l’audizione del Comandante della Stazione CC di Galatro, AVV_NOTAIO. magg. NOME COGNOME, in ordine alle modalità con cui erano state eseguite le operazioni di campionatura della sostanza in sequestro, il primo Giudice aveva quindi ritenuto responsabili tutti gli imputati per il reato loro ascritto come aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990;
3.7.nel disattendere i rilievi difensivi (in gran parte sovrapponibili a quelli oggetto di odierno ricorso), la Corte di appello ha confermato la condanna degli imputati e la sussistenza della circostanza aggravante, pur attenuando le pene inflitte in primo grado.
4.11 ricorso di NOME COGNOME.
4.1.11 primo motivo è generico, manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
4.2.11 ricorrente contesta la attendibilità dei risultati delle analisi del RIS insinuando, sin dall’appello, il dubbio che siano stati compiuti errori nelle fasi del conteggio, dell’estrazione, della campionatura e della pesatura dello stupefacente, errori evidenziati nella consulenza tecnica di parte e, in qualche modo, ammessi dallo stesso M.NOME COGNOME il quale era stato sentito in primo grado proprio su questo argomento.
4.3.La Corte di appello ha disatteso i rilievi difensivi osservando che: a) la CT della difesa si era limitata a rilevare asserite incongruenze formali riscontrate nel vari passaggi procedurali e a formulare una serie di interrogativi relativi al caso di specie, in ultima analisi stigmatizzandone il carattere esplorativo; b) il AVV_NOTAIO.NOME COGNOME aveva spiegato la metodologia seguita, in ossequio al vademecum predisposto dai RIS di Messina, ed aveva chiarito le presunte incongruenze numeriche; c) il verbale di accertamento tecnico del RIS di Messina del 1 dicembre 2021 dà compiutamente atto dei reperti sui quali sono state compiute
le analisi, estratti e campionati anche in contraddittorio con le difese, al fine di rendere ripetibile l’atto, in data 14 gennaio 2012, nonché della metodologia seguita secondo le linee guida UNODC; d) la consulenza della difesa non ha offerto una controanalisi della sostanza, né alcun dato empiricamente verificabile, pur possibile alla luce delle operazioni di estrazione compiute proprio il 14 gennaio 2012.
4.4.0sserva in primo luogo il Collegio che le considerazioni sviluppate dalla Corte di appello non possono essere superate in sede di legittimità mediante l’illustrazione del contenuto di prove delle quali non viene nemmeno dedotto il travisamento e che, in violazione del principio di autosufficienza, non sono nemmeno state allegate al ricorso.
4.5.In secondo luogo (e non per ordine di importanza), a fronte di un dato oggettivamente imponente (la piantagione era certamente superiore a 230 piante; le sole inflorescenze e foglie repertate e analizzate superiori a otto chilogrammi) e dell’abbondante superamento della soglia al di sotto della quale la circostanza aggravante dell’ingente quantità non sussiste, gli imputati avevano l’onere di specificare se ed in che modo vi fosse un qualche nesso eziologico tra l’erroneità delle metodiche di campionamento ed il risultato analitico che si assume viziato (in tal senso, Sez. 3, n. 27587 del 16/06/2020, Ladisa, Rv. 280159 – 01, secondo cui l’inosservanza delle norme tecniche e regolamentari relative al prelevamento e all’analisi di campioni di alimenti non determina nullità o inutilizzabilità del risultato analitico; nondimeno, atteso che queste tendono a garantire la rappresentatività del campione in rapporto al complesso, devono essere considerate dal giudice, ove gli siano sottoposti specifici elementi di critica riguardanti il possibile nesso eziologico tra l’erroneità delle metodiche di campionamento ed il risultato analitico che si assume viziato, per valutare e motivare adeguatamente l’attendibilità del risultato delle analisi; nello stesso senso, Sez. 3, n. 21652 del 02/04/2009, COGNOME, Rv. 243726 – 01; Sez. 3, n. 29737 del 11/05/2006, COGNOME, Rv. 234984 – 01).
4.6.Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, in tema di stupefacenti, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, COGNOME (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005 – 01 che, in applicazione dei predetti criteri, ha precisato che, con riferimento alle c.d. droghe leggere, l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è
inferiore a 2 chilogrammi di principio attivo pari a 4000 volte il valore – soglia di 500 milligrammi).
4.7.Nel caso di specie, la quantità di principio attivo che si ritiene estraibile dalle piante è superiore a quattro volte la soglia minima di 2 chilogrammi, escludendo in radice il ragionevole dubbio della sussistenza della circostanza aggravante (nel senso che il principio per cui la responsabilità penale deve essere accertata “al di là di ogni ragionevole dubbio” va applicato a tutte le componenti del giudizio e, pertanto, anche alle circostanze aggravanti, trattandosi di elementi fattuali idonei a determinare un’amplificazione del trattamento sanzionatorio, Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, Aguì, Rv. 283351 02; Sez. 1, n. 27050 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270616 – 01; Sez. 1, n. 14638 09/01/2014, COGNOME, Rv. 262145 – 01).
4.8.A fronte di un dato così eclatante, e tenuto conto che, come affermato in sede di merito, i reperti sono stati estratti e campionati nel contraddittorio tra le parti, sarebbe stato onere del ricorrente (e del suo consulente) spiegare in che modo gli errori dedotti possano aver inciso in maniera così pesante sulla quantificazione del principio attivo da rendere ragionevole il dubbio del superamento della soglia tanto più che la stessa Corte di appello dà atto – non contestata sul punto – che i ricorrenti non hanno inteso esaminare per proprio conto i campioni pur messi a loro disposizione.
4.9.Di qui la genericità del ricorso sul punto.
4.10.11 secondo motivo è infondato.
4.11.L’appello invocava l’applicazione dell’insegnamento di Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253150 – 01, secondo il quale l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata.
4.12.Spiegano le Sezioni Unite che «la soglia così stabilita (…) definisce tendenzialmente il limite quantitativo minimo, nel senso che, al di sotto di essa, la “ingente quantità” non potrà essere di regola ritenuta; al di sopra, viceversa, deve comunque soccorrere la valutazione in concreto del giudice del merito. In altre parole, i parametri sopra enucleati non determinano – di per sé e automaticamente – se superati, la configurabilità dell’aggravante. Essi, invero, valgono solo in negativo, nel senso che, al di sotto degli accennati valori quantitativi, l’aggravante (ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990) deve ritenersi in via di massima non sussistente».
4.13.Si è al riguardo affermato che, ai fini della valutazione del caso concreto, possa tornare ancora utile il principio affermato da Sez. U, n. 17 del
21/06/2000, COGNOME, Rv. 216666 – 01, secondo il quale la quantità di sostanza è ingente quando sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice del merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza (così Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2014, Ammer, Rv. 260715 – 01, secondo cui il caso concreto può e deve essere valutato alla luce dei principi precedentemente stabiliti dalla Corte di cassazione sulla valutazione di particolare pericolosità per la salute pubblica, e quindi di spiccata offensività dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, del quantitativo di stupefacente trattato, principi tuttora validi laddove risulti realizzata la condizione del superamento del limite fissato come sopra fissato, nella specie essendosi valorizzata l’idoneità del quantitativo a soddisfare le esigenze di un elevato numero di consumatori per un notevole periodo di tempo; con la conseguenza che nel caso in cui il predetto limite quantitativo risulti superato in maniera esigua è richiesta una valutazione più approfondita degli altri parametri suggeriti dalla giurisprudenza).
4.14.Va però precisato che tra le circostanze del caso concreto può essere preso in considerazione anche il dato relativo al numero di dosi estraibili dalla sostanza, numero che quando, come nel caso di specie, è oggettivamente rilevante (nel caso di specie si tratta di oltre 325.500 dosi) esime il giudice dal dimostrare ulteriormente l’estrema offensività della condotta.
4.15.In ultima analisi, l’onere motivazionale è inversamente proporzionale alla quantità di dosi estraibili dalla sostanza: più il numero di dosi supera il limite minimo al di sotto del quale la quantità non può mai essere ritenuta ingente, meno stringente è l’onere motivazionale sul punto.
4.16.Del resto, il ricorrente pone a fondamento della sua deduzione un argomento difensivo che non aggancia il dato di fatto che risulta dalla lettura della sentenza: il numero esiguo delle piante.
4.17.Quanto al malgoverno dell’art. 59 cod. pen., il ricorso è assolutamente generico avuto riguardo all’evidenza del dato relativo all’estensione della piantagione e al numero di piante coltivate, dato apoditticamente sminuito dal ricorrente.
4.18.Anche il terzo motivo è infondato.
4.19.Va in primo luogo ricordato che è legittimo il diniego delle attenuanti generiche motivato con la esplicita valorizzazione negativa dell’ammissione di colpevolezza laddove quest’ultima sia stata dettata non da effettiva resipiscenza ma da intento utilitaristico (Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, COGNOME, Rv. 271454; Sez. 6, n. 11732 del 27/01/2012, COGNOME, Rv. 252229; Sez. 5, n.
33690 del 14/05/2009, COGNOME, Rv. 244912; Sez. 1, n. 12426 del 24/10/1994, Fiorentino, Rv. 199886).
4.20.Inoltre, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, COGNOME, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, COGNOME, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269).
4.21.Nel caso di specie, la Corte di appello, valutata come neutra l’ammissione di colpevolezza, a fronte dell’evidenza del dato accusatorio e della flagranza di reato del ricorrente, ha escluso la valenza attenuante di elementi ulteriori diversi dalla dedotta incensuratezza (di per sé insufficiente), avendo in appello il ricorrente allegato, a sostegno della richiesta, indicatori palesemente smentiti dalla Corte di appello quali l’occasionalità della condotta e la natura rudimentale dell’organizzazione.
4.22 .Quanto alla applicazione delle pene accessorie del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida di cui all’art. 85 d.P.R. n. 309 del 1990, costituisce insegnamento costante della Corte di cassazione quello secondo il quale si tratta di pene accessorie che hanno natura facoltativa e non obbligatoria, per cui la loro irrogazione, in quanto discrezionale, richiede una specifica motivazione da parte del giudice (Sez. 3, n. 10081 del 21/11/2019, dep. 2020, Radoman, Rv. 278537 – 03; Sez. 6, n. 20766 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 259772 – 01; Sez. 6, n. 41727 del 18/11/2010, COGNOME, Rv. 248812 01; Sez. 3, n. 16285 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243398 – 01).
4.23.Secondo un risalente (ma insuperato) insegnamento, la sospensione della patente di guida prevista in caso di condanna per reati concernenti le sostanze stupefacenti, pur potendo essere discrezionalmente disposta dal Giudice, conserva natura di pena accessoria rientrando al pari delle altre pene accessorie nella categoria delle misure afflittive, limitative di capacità o di attività o di funzioni, ovvero accrescitiva dell’afflittività della stessa pena pecuniaria (Sez. 1, n. 1535 del 06/04/1994, NOME, Rv. 198315 – 01; Sez. 4, n. 17170 del 24/01/2005, Corigliano, non mass.).
4.24.La natura facoltativa della pena accessoria costituisce predicato che ne qualifica la finalità preventiva speciale strumentale alla finalità rieducativa della
pena cui essa accede, potendo essere applicata dal giudice solo quando ritiene che possa prevenire il pericolo di reiterazione del reato, risolvendosi altrimenti, la sua applicazione, in un mero, irragionevole stigma. Il ritiro della patente di guida ed il divieto di espatrio devono dunque trovare una giustificazione nella ragionevole previsione che l’applicazione di tali misure possa impedire la ricaduta nel delitto o comunque eliminare situazioni che possano favorirne la reiterazione.
4.25.E’ stato precisato, al riguardo, che la misura del ritiro della patente di guida, previsto dall’art. 85 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppone necessariamente che l’autore di uno o più dei delitti di cui agli artt. 73, 74, 79 e 82 del citato d.P.R. si sia servito di un’auto o di un motoveicolo per porre in essere l’attività criminosa, essendo unicamente volta a disincentivare lo stesso dalla reiterazione del reato (Sez. 3, n. 31917 del 17/05/2022, Busacca, Rv. 283444 – 01).
4.26.Nel caso di specie, la Corte di appello ha confermato la decisione del primo Giudice (immotivata sul punto) di applicare le pene accessorie in considerazione della non occasionalità della condotta, caratterizzata dalla pronta immissione dello stupefacente in un mercato ben collaudato.
4.27.Si tratta di motivazione che non fa buon governo dei principi sopra affermati non essendo stata spiegata la connessione tra il presupposto (la professionalità della condotta) e le conseguenze che ne sono fatte derivare (il divieto di espatrio e il ritiro della patente).
4.28.Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla applicazione delle pene accessorie del ritiro della patente e del divieto di espatrio con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Il ricorso deve essere rigettato nel resto con affermazione della irrevocabilità dell’accertamento della penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato ascrittog li.
5.11 ricorso di NOME COGNOME.
5.1.11 primo motivo è generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
5.2.Contrariamente alle intenzioni del ricorrente, il libello difensivo propone, in tema di responsabilità, una valutazione disgiunta e disarticolata dei singoli elementi di fatto indicati dai Giudici di merito a sostegno della decisione, in contrasto con il canone di valutazione della prova imposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., e con il limite del sindacato di legittimità costituito dalla natura “manifesta” della illogicità della motivazione volto ad impedire la sovrapposizione del giudizio della Corte di cassazione a quello del giudice di merito.
5.32illogicità della motivazione, come vizio deducibile, deve perciò essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
5.4.E’ peraltro estraneo all’ambito applicativo dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per “brani” né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio; Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, COGNOME, in motivazione). La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
5.5.Nel caso di specie, gli elementi indicati dalla Corte di appello a sostegno della ribadita condanna del ricorrente non si prestano, nella loro valutazione congiunta, ad una lettura alternativa ragionevole e di certo rendono non manifestamente illogica la conclusione del pieno coinvolgimento del ricorrente nel fatto.
5.6.11 secondo motivo pone le medesime questioni oggetto del primo motivo del ricorso del COGNOME.
5.7.Va peraltro aggiunto che la nullità dell’atto di campionatura per la violazione delle garanzie difensive previste dall’art. 87, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riferendosi a un’attività successiva al sequestro delle piante, non comporta
l’invalidità del sequestro, né pregiudica l’utilizzazione probatoria del reperto e degli accertamenti tecnici eseguiti sullo stesso (Sez. 6, n. 5529 del 24/01/2018, COGNOME, Rv. 272213 – 01; Sez. 4, n. 43184 del 20/09/2013, COGNOME, Rv. 258094 01). Secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza di primo grado, alla prima campionatura non aveva fatto seguito la distruzione dei reperti, cui si è proceduto solo dopo la seconda campionatura effettuata nel contraddittorio tra le parti. Il ricorrente se ne duole affermando che i risultati delle analisi sono stati tratti proprio dalle modalità non garantite dell’originario campionamento delle piante che ne ha determinato il taglio e la suddivisione in quattro gruppi e cita a sostegno giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale la nullità della campionatura, per difetto della garanzia difensiva prevista dall’art. 364 cod. proc. pen., se non si estende al sequestro, tuttavia non consente di estendere gli esiti dell’accertamento al di là dei reperti oggetto del campionamento, posto che è proprio siffatto atto ad essere tutelato dall’art. 87 d.P.R. 309/1990, per consentire all’interessato di partecipare alla selezione dei campioni (Sez. 4, n. 468 del 21/10/2021, del 2022, COGNOME, non mass.).
5.8.Valgano, però, le considerazioni già svolte in sede di esame dell’analogo motivo del COGNOME in ordine alla concreta rilevanza della questione e alla sua conseguente proposizione in termini perplessi.
5.9.In ogni caso, nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità c.d. patologiche, con la conseguenza che l’irritualità dell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (Sez. 3, n. 23182 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 273345 – 01; Sez. 5, n. 46406 del 06/06/2012, COGNOME, Rv. 254081 – 01; Sez. 3, n. 29240 del 09/06/2005, Fiero, Rv. 232374 – 01). Peraltro, dalla lettura del verbale di udienza emerge che gli imputati non hanno dedotto la nullità del campionamento con conseguente preclusione alla sua deduzione in questa sede.
5.10.11 terzo motivo è generico e manifestamente infondato.
5.11.La Corte di appello ha risolto la medesima questione (relativa alla applicazione dell’art. 59 cod. pen.) facendo leva sulle dichiarazioni di NOME COGNOME secondo il quale la piantagione era di proprietà anche di NOME COGNOME. Questi non solo neglige l’argomento (di chiara valenza accusatoria anche sotto il profilo della colpevole ignoranza della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990) ma si lascia andare a generiche considerazioni su massime di esperienza che sono del tutto svincolate dalle circostanze concrete.
5.12.A non diversi rilievi si espone il quarto motivo che postula la minima partecipazione al fatto prescindendo dalle chiare indicazioni della Corte
territoriale relative alla proprietà della piantagione (e dunque al pieno dominio del ricorrente sul fatto).
5.13.In ogni caso, per l’integrazione dell’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine commesso (Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, COGNOME, Rv. 284771 – 01; Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037 – 01; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051 – 01).
5.14.Nel caso di specie, non può affatto dirsi marginale il ruolo assunto dal ricorrente per il sol fatto che, secondo le sue deduzioni, egli non avrebbe operato nella attività di coltivazione. Un tale ragionamento porta a qualificare come di minima importanza la condotta concorsuale astrattamente “atipica” (perché non prevista dalla fattispecie incriminatrice) e per il sol fatto che di per sé presa non integrerebbe la fattispecie stessa. Il che conduce a risultati aberranti e inaccettabili quale quello, per esempio, che vorrebbe l’attività svolta dal “palo” di minima importanza sol perché non sarebbe l’autore materiale della condotta prevista dalla fattispecie di reato. Viene in tal modo rispolverata la vecchia teoria della accessorietà ormai abbandonata da tempo dalla giurisprudenza e dalla dottrina alla luce del chiaro dettato dell’art. 110 cod. pen.
5.15.In maniera del tutto apodittica ed autoreferenziale, infine, il ricorrente ipotizza la fungibilità della propria condotta: altri (o in altro modo) – afferma avrebbero potuto fornire il supporto logistico dato ai due correi. E’ affermazione generica e astratta che prescinde, come detto, dalla concreta rilevanza del contributo fornito all’altrui azione tenuto altresì conto delle peculiari circostanze dell’azione concorsuale che si è avvalsa della prossimità alla piantagione degli immobili deputati all’essiccazione e lavorazione delle piante e alla custodia dei mezzi di video-sorveglianza dei luoghi.
5.16.11 quinto motivo è fondato per le ragioni già illustrate in sede di esame dell’analogo motivo del ricorso del COGNOME.
5.17.11 sesto e il settimo motivo sono manifestamente infondati; il sesto perché assolutamente generico (la pena base applicata dalla Corte di appello, pari a tre anni di reclusione, è inferiore al medio edittale e decisamente più vicina al minimo), il settimo perché non deduce quali specifici indicatori di un’ulteriore attenuazione della pena e di meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche sono state devolute in appello e immotivatamente neglette.
5.18.Anche nei confronti del COGNOME la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla applicazione delle pene accessorie del ritiro della
patente e del divieto di espatrio con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Il ricorso deve essere rigettato nel resto con affermazione della irrevocabilità dell’accertamento della penale responsabilità del COGNOME in ordine al reato ascrittogli.
6.11 ricorso di NOME COGNOME.
6.1.11 primo ed il secondo motivo pongono le medesime questioni dedotte dal COGNOME (primo motivo) e dal COGNOME (secondo motivo). Il COGNOME si avvale, inoltre, di ampi e inammissibili richiami al contenuto delle prove utilizzate ai fini della decisione delle quali non deduce nemmeno il travisamento e che pertanto non possono essere conosciute dalla Corte di cassazione nemmeno sotto la forma della loro (parziale) trascrizione nel corpo del ricorso.
6.2.11 terzo motivo è fondato limitatamente alle pene accessorie ma è infondato nel resto.
6.3.Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente ribadire quanto già affermato in sede di esame dei ricorsi dei due co-imputati.
6.4.Quanto alla pena, la Corte di appello afferma che «il riconoscimento dell’aggravante in parola consente di contenere e ritenere adeguata una pena base nei limiti edittali» (pag. 13); il riferimento ai “limiti edittali” non consente di affermare che la Corte territoriale intendesse riferirsi ai “limiti minimi edittali”. I Giudici distrettuali hanno solo inteso dire che l’impatto della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, non esclude la possibilità di contenere la pena nei limiti edittali previsti per il reato nella sua forma non aggravata (la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 5.164 a euro 77.468), come poi hanno fatto fissando la pena base (e poi quella finale) nella misura di tre anni di reclusione e 6.000 euro di multa.
6.5.Ne consegue che anche nei confronti del COGNOME la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla applicazione delle pene accessorie del ritiro della patente e del divieto di espatrio con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Il ricorso deve essere rigettato nel resto con affermazione della irrevocabilità dell’accertamento della penale responsabilità del COGNOME in ordine al reato ascrittogli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicazione delle pene accessorie con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen., dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine alla affermazione della penale responsabilità degli imputati.
Così deciso in Roma, il 20/03/2024.