Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46390 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46390 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
AAlo:l
Con sentenza del 21,M/2_0211a Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli del 22/09/2022, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 1 di reclusione – condizionalmente sospesa – in ordine ai reati di cui all’articolo 2 d. Igs. 74/2000.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando con un primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 2 d. Igs. 74/2000. La Corte introduce una informazione probatoria inesistente, attribuendo alle dichiarazioni del teste COGNOME un contenuto difforme da quello reale, travisando la prova per rispondere alla censura formulata con l’atto di appello.
Con un secondo motivo lamenta violazione dell’art. 12 d. Igs. 74/2000 e 133-166 c.p. in riferimento alle pene accessorie applicate dai giudici di appello pur in presenza di una pena sospesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile.
La Corte di appello motiva la condanna (pag. 2) sulla base di un dato di fatto inconfutabile: che la società emittente la RAGIONE_SOCIALE, fosse un soggetto interposto che non aveva emesso realmente le fatture, le quali, pertanto, dovevano ritenersi, almeno soggettivamente, inesistenti.
Ciò rende, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, del tutto irrilevante la circostanza che il teste COGNOME abbia visto o meno la merce, posto che le false fatture sono state annotate in contabilità e utilizzate per la dichiarazione.
Il ricorso, che con tale dato non si confronta in modo critico, è pertanto privo della necessaria specificità.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Non vi è dubbio che, ai sensi dell’articolo 166 cod. pen., la sospensione condizionale della pena si estenda alle pene accessorie.
Esse, tuttavia, debbono essere applicate d’ufficio, da parte del giudice d’appello, ove non applicate da quello di primo grado, ancorché la cognizione della specifica questione non sia stata devoluta con l’impugnazione del pubblico ministero, in quanto le pene accessorie, ex art. 20 cod. pen., conseguono obbligatoriamente alla condanna come effetti penali (Sez. 6, n. 31358 del
14/06/2011, COGNOME, Rv. 250553 – 01; Sez. 2, n. 15806 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 269864 – 01).
Si deve pertanto ritenere che, per effetto della pronuncia della Corte di appello, le pene accessorie ivi applicate siano, in coerenza con la pena principale, condizionalmente sospese, ancorché nel dispositivo ciò non sia chiaramente espresso.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.