Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29691 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29691 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il 28/11/1994 COGNOME NOME nato a ROMA il 03/01/1992 COGNOME NOME nato a ROMA il 10/06/1991 NOME nato a ROMA il 06/09/1989 COGNOME NOME nato a ROMA il 14/11/1980 NOME nato a ROMA il 02/03/1996 NOME nato a ROMA il 19/06/1991
avverso la sentenza del 09/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 9.12.2024 la Corte d’appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte, Sez. 3, n. 8049 dell’ 1.2.2024, preso atto del concordato intervenuto tra le parti con rinuncia altri altr motivi di appello, ha rideterminato la pena finale come segue:
per COGNOME NOMECOGNOME qualificato come partecipe il ruolo rivestito nell’associazione di cui al capo A), nella misura di anni quattro e mesi otto di reclusione;
per COGNOME NOMECOGNOME esclusa in relazione al capo Al) l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990 con riferimento alla sostanza stupefacente del tipo cocaina, in anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa;
per NOMECOGNOME esclusa in relazione al capo Al) l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990 con riferimento alla sostanza stupefacente del tipo cocaina, in anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa;
per NOMECOGNOME esclusa in relazione al capo Al) l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990 con riferimento alla sostanza stupefacente del tipo cocaina, in anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa; per NOMECOGNOME esclusa in relazione al capo Al) l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990 con riferimento alla sostanza stupefacente del tipo cocaina, in anni sette e mesi sei di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa;
per COGNOME NOME qualificato come partecipe il ruolo rivestito nell’associazione di cui al capo A), nella misura di anni tre e mesi quattro di reclusione.
Ha altresì revocato nei confronti di COGNOME Simone le pene accessorie dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena e dell’interdizione dai pubblici uffici.
Ha altresì revocato nei confronti di COGNOME NOME la pena accessoria dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena ed ha sostituito quella accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni cinque.
Ha rigettato la richiesta di concordato sulla pena in relazione alla posizione di Ventre Christian ed, esclusa la recidiva contestata, ha rideterminato la pena in anni quattro di reclusione.
Ha altresì revocato nei confronti del Ventre la pena accessoria dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena ed ha sostituito quella accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni cinque confermando per il resto la sentenza impugnata.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (con un unico atto), COGNOME NOME.
2.1. Ricorso per NOME: si articola in un unico motivo con cui deduce la violazione di legge per difetto assoluto di motivazione in ordine alla durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 28, 133 cod.pen. e 125, comma 3, cod.proc.pen.
Si censura la sentenza impugnata in quanto, a fronte di un netto ridimensionamento della pena principale, avrebbe dovuto rivisitare ex art. 133 cod.proc.pen. GLYPH i parametri di commisurazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici rimasta ingiustificatamente invariata.
2.2. Ricorso per NOME COGNOME: si articola in due motivi di ricorso.
Con il primo deduce la violazione dell’art. 606, lett. e) cod.proc.pen. per carenza ed illogicità della motivazione in ordine all’assoluzione, quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen. dal reato previsto dal capo A), diversamente riqualificato nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.p.r. n. 309 del 1990.
Si assume che la Corte d’appello non ha motivato in ordine agli elementi di prova atti ad integrare il reato di cui al capo A), limitandosi a valutare la proposta d concordato.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. e) cod.proc.pen. per carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione, alla mancata esclusione della recidiva nonché alla mancata determinazione della pena nel minimo.
Si assume che la Corte d’appello si é limitata a valutare il concordato sulla pena senza alcuna motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, alla mancata esclusione della recidiva ed al contenimento della pena nel minimo edittale.
2.3. Ricorso proposto personalmente da NOME: si articola in due motivi di ricorso.
Con il primo deduce la violazione dell’art. 129 cod.proc.pen. nonché la motivazione mancante e manifestamente illogica.
Si censura la sentenza impugnata per aver omesso di formulare un giudizio esaustivo sull’eventuale sussistenza delle condizioni di un proscioglimento, quantomeno in relazione all’associazione di cui al capo A).
Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 133 e 62 bis cod.pen. in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Si censura la sentenza impugnata in quanto non viene resa alcuna motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Ricorso per COGNOME NOME: si articola in due motivi di ricorso.
Con il primo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in ordine all’applicazione della interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 28, 29 e 13 cod.pen..
Si censura la sentenza impugnata in quanto priva di motivazione in ordine alla durata delle pene accessorie. E’ stato dunque violato l’obbligo di graduare la concreta determinazione del trattamento sanzionatorio in applicazione dei criteri di determinazione stabiliti dall’art. 133 cod.pen,.; inoltre é irragionevol applicare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici in misura fissa e non proporzionata alla concreta gravità del fatto ed alla personalità dell’imputato in contrasto altresì con il principio della responsabilità penale ex art. 27, comma 1 Cost. e con il finalismo rieducativo della pena.
Si chiede in subordine di volere sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 cod.pen. in riferimento agli artt. 3 e 27 connmi 1 e 3 Cost. nella parte in cui non prevede la possibilità di graduare la durata della misura interdittiva dell’interdizione dai pubblici uffici in relazione alla personalità dell’imputato e alla gravità del fatto.
Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in ordine all’applicazione della interdizione legale durante l’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod.proc.pen. in relazione agli artt. 32 e 133 cod.pen.
Si assume che la sentenza impugnata va censurata in punto di applicazione dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, in quanto la pena accessoria di cui all’art. 32 cod.pen. é stata applicata in modo automatico e senza alcuna concreta valutazione.
Peraltro, essa si pone in insanabile contrasto con l’autorizzazione già concessa al ricorrente dalla medesima Corte d’appello ad assentarsi dal luogo di detenzione domiciliare per adempiere ai suoi doveri di padre.
2.5. Ricorso per COGNOME NOME e COGNOME NOME: si articola in un motivo.
Con detto motivo deduce ex art. 606 lett. e) cod.proc.pen. la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
Si assume che la Corte d’appello non ha motivato l’aumento di pena a titolo di continuazione in particolare alla luce della riqualificazione dei fatti ai sens dell’art. 73, comma 5, e 74, comma 6, d.p.r. n. 309 del 1990.
Inoltre la sentenza merita di essere censurata anche in riferimento alla quantificazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod.pen.
Nella specie la Corte territoriale con una motivazione generica ed unica per tutti gli imputati ha apoditticamente omesso di valutare il documentato percorso terapeutico e l’attività lavorativa del Grandi e la successiva condotta del COGNOME.
2.6. Ricorso per Ventre Christian: si articola in un motivo.
Con detto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in punto di mancata applicazione della sanzione sostitutiva della detenzione domiciliare ex art. 20 bis cod.pen. e 56 I. n. 689 del 1981 (ex art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen.).
Si censura la sentenza impugnata in punto di rigetto della richiesta di sostituzione della reclusione con la detenzione domiciliare ex art. 56 I. n. 689 del 1981 e nel giudicare tale modalità di esecuzione della pena inidonea a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati ed a garantire l’adempimento delle prescrizioni imposte con la sanzione sostitutiva. Omette di considerare la risalenza del fatto contestato a circa sei anni fa e la condotta di vita susseguente al reato nonché le condizioni attuali di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso per COGNOME NOME é manifestamente infondato.
Va premesso che é deducibile con il ricorso per cassazione l’applicazione illegale della pena accessoria contenuta nella sentenza di patteggiannento in appello ex art. 599 cod. proc. pen., trattandosi di statuizione sottratta all’accordo delle part e perciò esclusa dalla previsione limitativa di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.( Sez. 6, n. 29898 del 10.01.2019, Rv. 276228).
Va del pari precisato che per pena accessoria illegale, deve intendersi quella non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quella eccedente, per specie o quantità, il limite legale (Sez. 1, n. 20466 del 27/01/2015, Rv. 263506), in linea con la nozione generale di pena illegale, che è la sanzione diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o 3 superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (ex multis, Sez. 6, n. 32243 15/07/2014, Rv. 260325; Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Rv. 255197), e che costituisce ius receptum che la pena principale, alla quale si deve fare riferimento per determinare la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – che, ai sensi dell’art. 29 cod. pen., è perpetua quando la condanna è per un tempo non inferiore a cinque anni ed è di cinque anni quando
la condanna è per un tempo non inferiore a tre anni – non è quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione, ma quella inflitta in concreto per la violazione più grave (ex multis, Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Rv. 270240; Sez. 1, n. 7346 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 254551; Sez. 6, n. 17616 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 240067; Sez. 1, n. 27700 del 26/06/2007, Rv. 237118), tenendo conto della incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per la scelta del rito speciale, e, quindi, prescindendo dai modi in base ai quali si è pervenuti al risultato finale (ex plurimis, Sez. U, n. 8411 de 27/05/1998, Rv. 210980; Sez. 1, n. 18149 del 04/04/2014, Rv. 259749).
Nella specie l’accordo é stato formalizzato all’udienza del 21.10.2024 e correttamente nulla é stato previsto con riguardo alla pena accessoria, né ricorre un’ipotesi di pena accessoria illegale, atteso che in relazione alla pena base (anni 8 di reclusione), trova comunque applicazione la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 29 cod.pen. (prevista per pena
non inferiore ad anni 5).
2. Il ricorso per NOME COGNOME é inammissibile.
Nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione con cui siano riproposte doglianze relative ai motivi rinunciati, ivi compresi quelli aventi ad oggetto questioni di legittimità costituzionale, salvo il caso di irrogazione di una pena illegale, posto che l’accordo delle parti limita la cognizione del giudice di legittimità ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, Rv. 285619).
Nella specie entrambi i motivi hanno ad oggetto motivi dedotti nell’atto di appello che sono stati oggetto di rinuncia.
Il ricorso proposto personalmente da NOME é inammissibile.
Ed invero la I. n. 103 del 2017, riformulando l’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., con decorrenza dal 03/08/2017, ossia da data antecedente a quella della sentenza impugnata, ha soppresso la possibilità di proporre ricorso personalmente in cassazione.
4. Il ricorso per COGNOME NOME é manifestamente infondato.
Richiamando quanto già esplicitato con riguardo al ricorso per COGNOME Alberto, anche in tal caso, premessa l’ammissibilità del ricorso per cassazione, non ricorre un’ipotesi di pena accessoria illegale atteso che in relazione alla pena base (anni 8 di reclusione), trova comunque applicazione la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 29 cod.pen. (prevista per pena non inferiore ad anni 5).
Quanto alla questione di legittimità costituzionale che si chiede di sollevare, la stessa é manifestamente infondata.
Deve ribadirsi che é manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma primo, cod. pen., nella parte in cui prevede la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, sollevata in relazione agli artt. 3, 27, 41, 111 e 117 Cost. nonché 8 Convenzione EDU, trattandosi di sanzione inserita in un meccanismo punitivo graduale che differenzia la durata della pena accessoria in rapporto a due soglie distinte (tre anni di reclusione per l’interdizione temporanea e cinque per l’interdizione perpetua), e che, agganciandosi all’entità della pena principale inflitta, presuppone una valutazione in concreto della gravità del fatto rimessa al potere discrezionale del giudice, sicché, escluso ogni automatismo, la norma non è irragionevole, né distonica rispetto al principio di personalizzazione ed individualizzazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 6, n. / 16/12/2022, dep. 2023, Rv.284417 – 02).
Manifestamente infondata é anche la seconda censura.
Richiamando quanto già esposto in ordine alle pene accessorie, l’ interdizione legale é prevista per pena non inferiore a cinque anni e nella specie correttamente applicata avuto riguardo alla misura della pena determinata in concreto per il reato più grave.
Il ricorso per COGNOME e COGNOME é inammissibile.
Ed invero la doglianza attiene a motivo rinunciato in sede di concordato in appello e come tale inammissibile.
Il ricorso per COGNOME NOME é manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha congruamente motivato il rigetto della richiesta di applicazione di una sanzione sostitutiva (detenzione domiciliare presso l’abitazione dei genitori), assumendo che non può essere formulato un giudizio positivo in ordine all’adempimento da parte del Ventre delle prescrizioni eventualmente impartite, tenuto conto della spiccata capacità criminale dimostrata dal medesimo. A riguardo la sentenza impugnata ha posto in rilievo che lo stesso svolgeva il ruolo di capo nonostante fosse sottoposto a restrizione carceraria per reati della stessa indole, aveva già subito arresti ed era stato sottoposte a misure cautelari per analoghi reati.
In conclusione i ricorsi proposti vanno dichiarati inammissibili. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 25.6.2025