Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42982 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina;
COGNOME NOME, nato a Siracusa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del Tribunale di Messina del 22/02/2024;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso del Pubblico ministero venga accolto limitatamente alla censura relativa alla confisca, con declaratoria di inammissibilità dell’ulteriore motivo relativo alla dedotta illegalità della pena e del ricorso dell’imputato COGNOME;
letta la memoria scritta depositata dai difensori del ricorrente COGNOME NOME nella quale si insiste per l’accoglimento del proprio ricorso e per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto di quello del Pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Gip del Tribunale di Messina, con sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. in data 22 febbraio 2024, ha dichiarato ex art. 129 cod. proc. pen. non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui ai capi Y, F, J, N, Q, S, U, V, X, e ha applicato al predetto per i residui reati – ritenuta la continuazione tra gli stessi e quelli gi giudicati con sentenza irrevocabile n. 342 del 2019 emessa dal Gup del Tribunale di Roma, riconosciute l’attenuante ex art. 323 bis cod. pen e le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti – la pena finale di mesi sette e giorni sette di reclusione, rideterminando la pena complessiva in anni tre, mesi quattro e giorni sette di reclusione; pena sostituta con la detenzione domiciliare, corredata dalle prescrizioni ex art. 56 ter I.n. 689 del 1981.
Con la medesima sentenza si altresì provveduto a: irrogare a COGNOME le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione per la durata di cinque anni ; condannare l’imputato alla rifusione delle spese a favore delle Parti civili; ordinare a carico di COGNOME la confisca, ai sensi degli artt. 240 e 322 ter cod. pen., della somma di euro 23.000, nonché la confisca per equivalente di un immobile sito in Siracusa del valore di euro 27.000, e di un altro, sempre in Siracusa, del valore di euro 36.000, nei limiti del valore complessivo di euro 63.900.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina che ha dedotto violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per l’illegalità della misura di sicurezza della confisca obbligatoria, non disposta in relazione a uno dei capi di imputazione per i quali è intervenuto il “patteggiannento”, nonché ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per l’illegalità della pena applicata in violazione del limite minimo della pena della reclusione; a tale ultimo riguardo il ricorrente evidenzia che gli aumenti di pena per continuazione stabiliti in relazione ai reati di cui ai capi D), M), R), W), G), O), P), commisurati in dodici giorni di reclusione per ciascun reato, sono inferiori al limite di legge di quindici giorni, in contrasto, dunque, con la previsione di cui all’art. 23 cod. pen.
3. Ha proposto, altresì, ricorso COGNOME NOME.
3.1. L’imputato ha in primo luogo eccepito violazione di legge, ai sensi degli artt. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. e 448, comma 2 bis, stesso codice, in relazione all’applicazione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare,
anziché del lavoro di pubblica utilità, richiesto in via prioritaria e sul quale aveva prestato consenso il Pubblico ministero; richiama sul punto una sentenza emessa da questa Corte, sempre nei confronti del COGNOME, che ha fatto riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 70 I.n. 689 del 1981 che – a seguito delle modifiche operate dalla “riforma Cartabia” – consente in caso di più reati giudicati con diverse sentenze di superare i limiti stabiliti per le singole pene sostitutive dall’art. 53 I. 689, nonché invoca la specifica disciplina dell’art. 657 cod. proc. pen., che impone di tenere conto – per i limiti massimi della sostituzione – del “presofferto”. Aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata non ha recepito in modo integrale la richiesta dell’imputato – su cui il PM aveva prestato consenso – relativa alla possibilità per l’imputato di continuare a svolgere l’attività di volontariato presso la RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Con un secondo motivo COGNOME deduce che la pena accessoria dell’interdizione è stata inflitta in violazione della previsione dell’art. 445 cod. proc. pen. e in misura superiore al limite legale, sussistendo quindi una “illegalità della pena”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono parzialmente fondati.
Il primo motivo del ricorso del Pubblico ministero è inammissibile. Come esattamente rilevato dal Procuratore generale presso questa Corte, l’aumento di pena a titolo di continuazione non rientra nei limiti edittali di cui all’art. 23 cod pen. (in termini v., da ultimo, Sez. 3, n. 23961 del 04/03/2014, Pg in proc. Rosta, Rv. 259179 – 01, secondo cui «in tema di reato continuato, l’aumento di pena può essere determinato anche nella misura minima concretamente applicabile, pari a un giorno per la reclusione, perchè l’art. 81 cod. pen. pone una deroga alle disposizioni generali in materia di minimi edittali»). Pertanto, nella determinazione della pena complessiva per effetto degli aumenti ex art. 81, secondo comma, cod. pen., non è riscontrabile alcuna illegalità.
2.1. Fondato è, invece, l’ulteriore motivo contemplato nel ricorso del Procuratore generale territoriale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di applicare una misura di sicurezza non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., salvo si tratti di misura obbligatoria per legge in relazione al titolo di reato oggetto di imputazione, essendo in tal caso esperibile il ricorso per cassazione ai sensi della disciplina generale di cui all’art. 606 cod. proc. pen. (sent. n. 21368 del 26/09/2019 – dep. 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279348 – 03).
2.2. Nel caso di specie, il PM ricorrente ha denunciato l’omessa confisca (avente natura obbligatoria ex art. 322 ter cod. pen.) in relazione a uno dei titoli di reato per i quali essa doveva essere disposta. In particolare, si evidenzia la mancata quantificazione dell’importo da confiscarsi in ordine al capo c) dell’imputazione, relativamente al reato di cui agli artt. 318 e 321 cod. pen. Dalla sentenza impugnata (pag. 5) si evince che si tratta dell’imputazione riportata alla lettera c) del proc. pen n. 2932/18, nella quale a COGNOME è stato contestato di avere corrisposto, in concorso con NOME COGNOME, la somma di 300.000 euro (ai predetti pervenuta dalla società RAGIONE_SOCIALE, senza relativa deliberazione degli organi sociali e in assenza di iscrizione di tale finanziamento nel bilancio della società) a NOME COGNOME, e ciò a fronte dell’intervento spiegato dal politico al fine di far nominare COGNOME NOME quale componente del Consiglio di Stato. Sulla base della indicata contestazione, detta somma rientra nell’ambito della confisca obbligatoria, atteso che nel delitto di corruzione è assoggettabile a confisca obbligatoria ex art. 322 ter, primo comma, cod. pen. quale prezzo del reato l’utilità materialmente corrisposta al corrotto (ex multis, Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, COGNOME, Rv. 236983 – 01; Sez. 6, n. 39542 del 22/03/2016, COGNOME, Rv. 268111 – 01). Nella sentenza impugnata non si ravvisa motivazione in relazione al procedimento di quantificazione dell’importo oggetto di confisca (disposta per una cifra complessiva che non tiene conto di tale imputazione), risultando dunque sussistente il vizio evocato dal ricorrente.
2.3. Da ultimo, è opportuno precisare che, sebbene in sede di esecuzione sia consentito, in forza del disposto di cui all’art. 676 cod. proc. pen., disporre la confisca avente natura obbligatoria, qualora la sentenza irrevocabile di applicazione della pena non vi abbia provveduto (così, da ultimo, Sez. 1, n. 282 del 11/12/2019 – dep. 08/01/2020, COGNOME, PP_IVAv. P_IVA, relativa a omessa confisca del profitto del reato di cui all’art. 640, attesa la natura obbligatoria della stessa ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen.), ciò presuppone che la questione non sia stata dedotta nel corso del giudizio di cognizione, e ivi risolta in senso negativo, altrimenti operando la preclusione del giudicato.
Per tale motivo si impone l’annullamento della pronuncia con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
Parzialmente fondato è anche il ricorso proposto da COGNOME NOME.
3.1. Manifestamente infondato è il primo motivo. Invero, come indicato dalla sentenza impugnata, l’art. 53, ultimo comma, della I.n. 689 del 1981, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, ha previsto che “ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’articolo 81 del codice penale”.
Pertanto, la pena finale determinata a seguito dell’accordo (anni tre, mesi quattro e giorni sette di reclusione), in quanto eccedente il limite massimo per il lavoro di pubblica utilità (tre anni), non consentiva l’applicazione di tale pena sostitutiva. Né rileva sul punto la sentenza di questa Corte invocata dall’imputato (Sez. 1, n. 392 del 09/11/2023 – dep. 04/01/2024, COGNOME) che concerne la diversa disciplina di cui all’art. 70 della I.n. 689, relativa al cumulo in executivis delle pene contenute in più condanne definitive che già hanno disposto l’applicazione di pene sostitutive. Invero, in detta pronuncia si precisa che «l’art. 70 I. n. 689 del 1981, come modificato dalla riforma Cartabia, prevede che, se più reati importano pene sostitutive, anche diverse, e il cumulo delle pene sostituite non eccede quattro anni, si applicano le singole pene sostitutive distintamente, anche oltre i limiti dell’art. 53 per la pena pecuniaria e per il lavoro di pubblica utilità. Al terzo comma si prevede che, se il cumulo delle pene detentive sostituite eccede complessivamente la durata di quattro anni, si applica per intero la pena sostituita, salvo che la pena residua da eseguire sia pari o inferiore ad anni quattro». Trattasi, dunque, di specifica disciplina normativa – ispirata dall’intento di mantenere ferma l’esecuzione delle pene sostitutive già applicate con sentenze irrevocabili – che non può applicarsi al differente fenomeno del reato continuato ritenuto in sede di cognizione nel quale il giudice interviene infliggendo un’unica pena detentiva contestualmente sostituita ex art. 53 cit.: in questo caso per la determinazione dei limiti massimi per la sostituzione si deve tenere conto delle pene contenute in sentenze già irrevocabili per le quali si ritenga sussistente la continuazione dei reati.
In tale senso si è rilevato che «ai fini della determinazione dei limiti entro i quali possono essere applicate le sanzioni sostitutive di cui all’art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, deve tenersi conto, nel caso in cui vengano in rilievo più reati unificati per concorso formale o continuazione, della pena detentiva risultante dagli aumenti effettuati ai sensi dell’art. 81, cod. pen., non potendosi considerare isolatamente la pena inflitta per il reato più grave ovvero, qualora la sostituzione sia ammissibile soltanto per alcuni dei reati unificati, la parte di pena irrogata per questi ultimi» (Sez. 1, n. 33971 del 29/03/2024 – dep. 06/09/2024, COGNOME, Rv. 286748 – 01)
3.2. Inconferente risulta anche il richiamo all’art. 657 cod. proc. pen. Invero, da un lato, tale disciplina – collocata nella fase esecutiva del procedimento penale – regola il differente fenomeno della pluralità di condanne irrevocabili alle quali dare esecuzione. Dall’altro lato, si è comunque precisato che «in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice dell’esecuzione, per verificare la sostituibilità della pena, deve far riferimento, in relazione al limit massimo di quattro anni, a quella complessivamente inflitta in sede di cognizione,
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e non a quella residua da espiare, dopo il passaggio in giudicato, a seguito delle eventuali operazioni di calcolo di cui agli artt. 657 e 663 cod. proc. pen.» (Sez. 1, n. 1776 del 20/10/2023 – dep. 15/01/2024, Corrotto, Rv. 285836 – 02).
Sotto altro profilo, rileva il Collegio che le parti avevano già concordato – in subordine al lavoro sostitutivo – l’applicazione della detenzione domiciliare, non ravvisandosi dunque violazione dell’accordo a fondamento della pronuncia di patteggiamento. Ugualmente inammissibile è la censura relativa alla possibilità di prestazione di attività a favore della RAGIONE_SOCIALE, attività comunque non impedita dalla detenzione domiciliare, atteso che nel patteggiamento si è previsto l’obbligo per l’imputato di “rimanere presso la propria abitazione per non meno di dodici ore al giorno, ovvero dalle 21,00 alle 9,00”, potendo nel residuo orario il ricorrente continuare a collaborare con detta fondazione.
3.3. Fondato, invece, risulta l’ulteriore motivo con il quale si censura la disposta applicazione delle pene accessorie. Invero, la relativa previsione non risulta essere stata concordata tra le parti in sede di “patteggiamento”. Pertanto, trova applicazione il principio secondo cui «la possibilità, per il giudice che emetta sentenza di patteggiamento per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui all’art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., di applicare le pene accessorie previste dall’art. 317-bis cod. pen. opera, oltre che nel caso di patteggiamento ordinario, anche in quello di patteggiamento c.d. allargato, purché siano esplicitate, sia nell’uno che nell’altro caso, le ragioni di tale applicazione» (Sez. 6, n. 14238 del 11/01/2023, Nucera, Rv. 284575 – 01, ove si è chiarito come, trattandosi di statuizione di natura facoltativa, laddove essa non sia compresa nell’oggetto dell’accordo tra le parti il ricorso è proponibile ai sensi della disciplina generale di cui all’art. 606 cod. proc. pen. e, dunque, non si pone una questione di ammissibilità ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.: in questo senso, v. Sez. U, n. 21368 del 26/9/2019, COGNOME, Rv. 279348-03).
Nella specie, la pronuncia impugnata non ha motivato in ordine alle ragioni per le quali debbono essere applicate dette pene accessorie, conseguendo per tale profilo annullamento con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione delle pene accessorie e della confisca e rinvia, per nuovo giudizio su tali punti, al Tribunale di Messina. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso il 17 settembre 2024
Il Pre idente