Pene Accessorie Patteggiamento: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Ricorso
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i rigorosi paletti procedurali che regolano l’accordo sulle pene accessorie patteggiamento. La decisione sottolinea come la facoltà delle parti di negoziare la durata di tali pene debba essere esercitata in modo tempestivo e contestuale alla richiesta di applicazione della pena principale. In caso contrario, il giudice è tenuto ad applicare le sanzioni accessorie obbligatorie, senza che le parti possano rinegoziare questo aspetto in un secondo momento. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia e le sue implicazioni pratiche.
Il caso in esame: un patteggiamento per bancarotta
I fatti traggono origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Milano. Un soggetto, imputato per reati di bancarotta, aveva concordato con la pubblica accusa una pena di due anni e sei mesi di reclusione. Successivamente, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando tre motivi di doglianza, tutti incentrati sulla gestione delle pene accessorie applicate dal giudice.
In particolare, il ricorrente lamentava:
1. La mancata considerazione della possibilità di modulare le pene accessorie, facoltà introdotta dalla recente riforma normativa.
2. L’errata determinazione della durata delle pene accessorie, che a suo dire doveva essere rapportata alla pena principale e non decisa autonomamente dal giudice.
3. La carenza di motivazione da parte del giudice sulla durata concreta delle pene accessorie inflitte.
La gestione delle pene accessorie nel patteggiamento secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, con una procedura semplificata (ordinanza de plano), senza necessità di udienza. La decisione si basa su principi giurisprudenziali consolidati e recenti, che chiariscono in modo inequivocabile le regole procedurali da seguire.
La Determinazione della Durata delle Pene Accessorie
Uno dei punti centrali dell’ordinanza riguarda i criteri per stabilire la durata delle pene accessorie. La Corte ha richiamato un’importante sentenza delle Sezioni Unite (n. 28910/2019), la quale ha stabilito che quando la legge prevede un minimo e un massimo per una pena accessoria, il giudice deve determinarne la durata concreta usando i criteri dell’art. 133 del codice penale. Questi criteri riguardano la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. La durata, quindi, non è automaticamente legata a quella della pena principale, ma è frutto di una valutazione discrezionale e motivata del giudice.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, fornendo una motivazione chiara per ciascuno di essi.
Sul primo motivo, i giudici hanno spiegato che la facoltà di chiedere la non applicazione o una durata specifica per le pene accessorie patteggiamento, introdotta dal D.Lgs. n. 150/2022, deve essere esercitata contestualmente alla richiesta di applicazione pena. Se le parti non includono questo punto nel loro accordo iniziale, il giudice è obbligato ad applicare le pene accessorie previste per legge. Non è possibile, in caso di annullamento parziale della sentenza, presentare una nuova richiesta concordata limitata solo a questo aspetto.
Sul secondo motivo, è stato ribadito il principio delle Sezioni Unite: la durata delle pene accessorie non fisse è determinata dal giudice in base ai criteri dell’art. 133 c.p., garantendo così una valutazione autonoma e svincolata dalla durata della pena detentiva principale.
Infine, sul terzo motivo, la Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse fornito una motivazione adeguata per giustificare la durata della pena accessoria irrogata, rendendo la censura del ricorrente infondata.
La manifesta infondatezza di tutti i motivi ha portato all’applicazione dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che consente alla Cassazione di dichiarare l’inammissibilità del ricorso con ordinanza de plano, senza convocare le parti per un’udienza.
le conclusioni
Questa pronuncia consolida l’orientamento secondo cui l’accordo di patteggiamento deve essere completo e formulato in un’unica soluzione. Le parti devono prestare la massima attenzione a includere nell’accordo iniziale ogni aspetto della pena, comprese le sanzioni accessorie. La decisione riafferma l’autonomia del giudice nel determinare la durata delle pene accessorie, basandosi su una valutazione ponderata della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, e non su un mero calcolo proporzionale. Per la difesa, ciò significa che la negoziazione sulle pene accessorie è un momento cruciale da affrontare fin dall’inizio, poiché le omissioni non possono essere sanate in un secondo momento.
In un patteggiamento, quando si può chiedere una durata specifica per le pene accessorie?
La richiesta di determinare la durata delle pene accessorie o di non applicarle deve essere esercitata dalle parti contestualmente alla richiesta di applicazione della pena principale. Non è possibile formulare questa richiesta in un momento successivo.
Come viene decisa la durata di una pena accessoria se la legge prevede un minimo e un massimo?
Il giudice stabilisce la durata in concreto basandosi sui criteri indicati dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo), e non rapportandola automaticamente alla durata della pena principale inflitta.
Un ricorso contro una sentenza di patteggiamento può essere dichiarato inammissibile senza udienza?
Sì, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, se il ricorso è ritenuto manifestamente infondato, la Corte di Cassazione può dichiararne l’inammissibilità con un’ordinanza emessa de plano, cioè senza formalità di procedura e senza avvisare le parti per la fissazione di un’udienza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36186 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36186 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/04/2025 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di MILANO udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Milano ha applicato su richiesta delle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., a NOME COGNOME, in ordine ai reati di bancarotta ascrittigli, la pena di anni due e mesi sei di reclusione;
che il primo motivo del ricorso dell’imputato è manifestamente infondato in quanto, in tema di patteggiamento, la facoltà di chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, prevista, per l’imputato e per il pubblico ministero dall’art. 444, comma 1, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 25, comma 1, lett. a), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, dev’essere esercitata contestualmente alla richiesta di applicazione di pena, sicché il giudice è tenuto ad applicare le pene accessorie obbligatorie qualora tale facoltà non sia stata esercitata, con la conseguenza che, in caso di annullamento della sentenza sul punto, le parti non sono legittimate a formulare una nuova richiesta concordata in relazione alle sole pene accessorie (Sez. 2, n. 40794 del 17/09/2024, COGNOME Mese, Rv. 287124);
che il secondo motivo è manifestamente infondato dal momento che il Giudice ha fatto applicazione del principio, affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen. (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 – 01);
che il terzo motivo è anch’esso manifestamente infondato dal momento che il Giudice ha fornito adeguata motivazione in relazione alla durata della pena accessoria irrogata;
che, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 ed applicabile alla fattispecie, l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere dichiarata senza formalità di procedura, ossia con ordinanza de plano senza neppure avvisare le parti della fissazione dell’udienza in camera di consiglio ai fini della instaurazione del contraddittorio;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 4.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/09/2025.