Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43699 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43699 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/05/2024 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
E’ proposto ricorso per cassazione nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano in data 28 maggio 2024, che, unificato il contestato delitto di bancarott fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta impropria da determinazione del fallimento per effetto di operazioni dolose ai reati giudicati con sentenza del GIP presso Tribunale di Torino del 13 novembre 2018, irrevocabile il 1 settembre 2019, gli ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena principale di anni quattro e mesi otto di reclusione Euro 7.000,00 di multa e le pene accessorie fallimentari dell’inabilitazione ad esercitar un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni dieci.
L’impugnativa consta di un solo motivo, che deduce il vizio di motivazione in riferimento alla mancata esplicitazione dei criteri utilizzati dal Tribunale per la determinazione della dur delle pene accessorie fallimentari, l’applicazione delle quali non aveva costituito oggett dell’accordo delle parti, di modo che il Tribunale, in ossequio al diritto vivente (Sez. U, n. 28 del 28/02/2019, Rv. 276286), avrebbe dovuto spiegare quali fossero le ragioni della determinazione della loro durata nel massimo edittale: ciò, tanto più sarebbe stato necessario posto che la pena principale era stata determinata in una misura compresa tra il minimo e il medio edittale.
Con requisitoria in data 31 ottobre 2024, il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona del Sostituto, Dottoressa NOME COGNOME AVV_NOTAIO, ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie fallimentari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Preliminarmente va dato atto che il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. è ammissibile laddove agita censure riferite all’applicazio delle pene accessorie.
Questa Corte ha, infatti, affermato che la limitazione dei motivi di impugnazione proponibili contro le sentenze di patteggiamento, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., inserito dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, riguarda soltanto le parti della decision che riflettano il contenuto dell’accordo processuale tra il pubblico ministero e l’imputato e non statuizioni estranee a tale accordo (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348, in tema di misure di sicurezza).
Tanto premesso, con riferimento alle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, L.F., la giurisprudenza di legittimità ha precisato: a) che è ammissibile il ricorso p cassazione proposto per violazione di legge con riferimento alle pene accessorie che non hanno
formato oggetto dell’accordo tra le parti, non operando in questo caso la disposizione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 49477 del 13/11/2019, Rv. 277552); b) che costituisce onere del giudice quello di motivare specificamente sul punto; c) che la statuizione è impugnabile, anche dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., con ricorso per cassazione per vizio di motivazione, riguardando un aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (Sez. 6, n. 16508 del 27/05/2020, Rv. 278962).
L’obbligo di motivazione, per quanto di interesse nella materia delle pene accessorie fallimentari, è una diretta conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 216, ultimo comma, L.F. nella parte in c prevedeva che la condanna per uno dei fatti dalla norma contemplati comportava l’applicazione delle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa nella misura fissa di anni dieci, introduce nella previsione, al fine di conciliarla con i principi costituzionali che devono attend all’irrogazione delle sanzioni penali e alla loro individualizzazione e proporzione, l’avverbio “si ad un massimo di dieci anni.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286, richiamando proprio la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, hanno stabilito che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla du della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen.. Tale soluzione si è imposta perché le medesime istanze di individualizzazione della misura sanzionatoria del disvalore penale del fatto-reato, provenienti dai parametri costituzionali previsti dagli artt. 3, 25 e 27 Cost. e sintetizzabil principi di proporzionalità e colpevolezza, sovrintendono alla determinazione sia della pena principale che di quelle accessorie, eventualmente da disporre in abbinamento secondo specifiche ed obbligatorie indicazioni normative (come avviene nel caso di specie). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno dapprima premesso che le pene principali svolgono funzioni retributive, preventive, di carattere generale e speciale, nonché rieducative mediante la sottoposizione al trattamento orientato al graduale reinserimento sociale del condannato; mentre le pene accessorie, specie quelle interdittive ed inabilitative, collegate al compimento di condotte postulanti lo svolgimento di determinati incarichi o attività, sono più marcatamente orientate a fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale, che realizzano mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi e dallo stimolo alla violazione d precetti penali per impedirgli di reiterare reati in futuro e per sortirne l’emenda. Quindi, ha evidenziato come la piena realizzazione di tale precipuo finalismo preventivo, cui sono preordinate le pene accessorie, richieda una loro modulazione personalizzata in correlazione con il disvalore del fatto di reato e con la personalità del responsabile, che non necessariamente deve
riprodurre la durata della pena principale. Ne consegue la necessità di determinazione della loro misura caso per caso, ad opera del giudice, che deve muoversi nell’ambito della cornice edittale disegnata dalla singola disposizione di legge, sulla scorta di una valutazione discrezionale che deve utilizzare gli elementi concreti della fattispecie, in collegamento con i parametri dell’a 133 cod. pen. e “di cui è obbligo dare conto con congrua motivazione” (Sez. 5, n. 24874 del 21/04/2023, Rv.284818).
Poiché il giudice della sentenza impugnata non si è attenuto ai riportati principi, l stessa deve essere annullata limitatamente alle pene accessorie fallimentari, la cui durata dovrà essere rideterminata dal giudice del rinvio facendone applicazione.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle pene accessorie fallimentari con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle pene accessorie fallimentari, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Milano.
Così deciso il 19/11/2024.