Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26410 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26410 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Filighera (Pv) il 10/9/1050
avverso la sentenza dell’8/3/2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostitu Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo G), con dichiarazione di inammissibilità resto;
udite le conclusioni dei difensori del ricorrente, Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8/3/2024, la Corte di appello di Firenze, in parzi riforma della pronuncia emessa il 13/7/2022 dal locale Tribunale, dichiarava no doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME quanto ai reati di cui ai capi A), C), G), M), K), perché estinti per prescri
assolveva il COGNOME dai reati di cui ai capi B) e N), perché il fatto non sussist rideterminava la pena nei confronti del COGNOME, quanto al capo L), in un anno e sei mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione quest’ultimo, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. Con riguardo al capo G), l’imputato avrebbe dovuto essere assolto dalla contestazione di cui all’art. 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto la diversa fattispecie contestata ai sensi dell’art. 2, stesso decreto, risulterebbe non punibile in forza della successiva disposizione ex art. 9. Questa norma, per come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, non opererebbe nel caso in cui l’imputato concentri nella propria persona la qualità di emittente le fatture per operazioni inesistenti e di amministratore della società utilizzatrice; per converso, la medesima disposizione derogatoria all’art. 110 cod. pen. troverebbe applicazione nel caso in esame, nel quale l’imputato – sebbene istigatore e/o mandante degli emittenti le fatture avrebbe ricoperto il ruolo di legale rappresentante soltanto della società utilizzatrice. Pur estinto per prescrizione, pertanto, la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere il Torchio dal delitto di cui al capo G), risultando a ciò sufficiente una mera constatazione;
mancanza di motivazione per omessa valutazione di prove documentali. Con l’atto di appello la difesa avrebbe contestato che l’imputato avesse avuto conoscenza dell’inesistenza soggettiva della società RAGIONE_SOCIALE e, dunque, del suo ruolo di mero ente interposto nell’acquisto in regime di esenzione IVA da RAGIONE_SOCIALE Monaco (MIM) e successiva rivendita con maggiorazione d’imposta alla società amministrata dall’imputato (RAGIONE_SOCIALE); a tale riguardo, sarebbero stati prodotti numerosi documenti (pagg. 7-9) che la sentenza impugnata non avrebbe però valutato, se non marginalmente, pur risultando decisivi con riguardo alla richiamata consapevolezza del Torchio in ordine all’effettività ed all’operatività dell’emittente. Ne risulterebbe, pertanto, travisamento della prova per omissione;
mancanza di motivazione quanto alla sussistenza del reato di cui al capo L). L’atto di appello avrebbe evidenziato che la società del ricorrente avrebbe pagato le forniture di RAGIONE_SOCIALE con prezzo maggiorato dall’IVA (coma da fattura n. 102). Il dato risulterebbe dalla documentazione in atti, evidentemente rilevante anche nell’ottica della colpevolezza. Poiché, dunque, la società del ricorrente avrebbe assolto regolarmente VIVA sull’acquisto di cui alla fattura in esame, la relativa operazione non potrebbe considerarsi avvenuta in esenzione d’imposta. L’intera somma, inoltre, sarebbe stata girata dalla società a RAGIONE_SOCIALE, in parziale adempimento del debito sussistente con essa: sarebbe stata quest’ultima, dunque, a dover
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versare VIVA nelle casse dello Stato, ma la sua omissione non potrebbe essere addebitata all’imputato, che dunque non vi avrebbe contribuito affatto;
erronea applicazione dell’art. 545-bis cod. proc. pen. La Corte di appello, pur applicando una pena compatibile con l’istituto, non avrebbe attivato la procedura che può condurre alla sostituzione della pena detentiva breve con altra misura sanzionatoria; la normativa vigente ratione temporis, dunque precedente al d. Igs. 19 marzo 2024, n. 31, non richiederebbe, infatti, una istanza di parte, potendo essere attivata motu proprio dal giudice che ha emesso la condanna, il quale, ricorrendone i presupposti (ed in assenza di elementi normativi o sistematici di segno diverso), ne dovrebbe formare oggetto di richiesta all’imputato. Nel caso di specie, peraltro, la sentenza non avrebbe mai affermato che il Torchio sarebbe immeritevole della sostituzione, così che la procedura dovrebbe operare in automatico ed il giudice dovrebbe ovviamente motivare una decisione di segno contrario. Nella vicenda in esame, peraltro, la sentenza di appello sarebbe stata pronunciata 1’8/3/2024, quindi nella vigenza della norma antecedente alla riforma dello stesso anno; ne conseguirebbe una evidente violazione di legge, che avrebbe precluso all’imputato di avanzare una legittima istanza di sostituzione, come peraltro affermato dalla giurisprudenza di legittimità;
il vizio di motivazione, infine, riguarderebbe la durata delle pene accessorie, che la sentenza avrebbe ancorato a quella della pena principale ai sensi dell’art. 37 cod. pen., in contrasto con l’orientamento ormai consolidato delle Sezioni Unite di questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato limitatamente all’ultimo motivo.
La prima censura, che contesta la violazione dell’art. 9, comma 1, d. Igs. n. 74 del 2000, con riguardo al capo G), è inammissibile.
4.1. La stessa doglianza si fonda sul presupposto che il COGNOME, “ancorché istigatore e/o mandante di coloro che ebbero ad emettere le fatture de quibus, era legale rappresentante solo e soltanto della società che poi ebbe ad utilizzare le dette fatture e pertanto non poteva rispondere del reato ex art. 8 D.Ivo 74/00”. Non potrebbe trovare applicazione, dunque, il costante indirizzo in forza del quale la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9, d.lgs. n. 74 del 2000, non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti, né al consulente fiscale che con il primo concorra, quale “extraneus”, nella commissione di ciascuno dei reati oggetto di volontà comune,
in considerazione della natura paritaria del titolo di responsabilità previsto dall’art 110 cod. pen. (per tutte, Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, COGNOME, Rv. 280370).
4.2. Ebbene, dalla lettura del ricorso risulta evidente che la questione è posta in termini di puro merito, propri della sola fase di cognizione e non consentiti in sede di legittimità, avendo come presupposto uno specifico dato di fatto, qui non verificabile, ossia il ruolo concretamente svolto dall’imputato nella società emittente (RAGIONE_SOCIALE) ed in quella utilizzatrice (RAGIONE_SOCIALE). Anche la Corte di appello, del resto, ha preso atto dell’intervenuta estinzione per prescrizione del reato ex art. 8, d. Igs. n. 74 del 2000 contestato al capo G), non emergendo – in termini di mera constatazione – alcuna prova che l’imputato non versasse in una delle condizioni appena richiamate nelle quali, per costante indirizzo, è escluso l’intervento dell’art. 9, stesso decreto, derogatorio all’ordinario regime concorsuale di cui all’art. 110 cod. pen.
4.3. In difetto di un riscontro così immediato, bisognevole soltanto di una mera presa d’atto, la sentenza, dunque, ha correttamente rilevato il solo, pacifico maturare del termine di prescrizione del delitto; in piena aderenza, quindi, al costante indirizzo per cui in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu °culi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (per tutte, Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, COGNOME, Rv. 244274).
4. Ancora a questo riguardo, ma con significativo riflesso anche sul secondo motivo di ricorso, si osserva poi che già il Tribunale aveva evidenziato non solo il ruolo di mera interposta ricoperto da Overcraft nell’acquisto comunitario da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, ma anche la sicura consapevolezza che il ricorrente aveva del ruolo medesimo. Tra gli elementi oggettivi a fondamento di tale conclusione, peraltro del tutto assenti nel ricorso in esame, il fatto che: a) un timbro di Overcraft, abitualmente utilizzato dalla società, era stato trovato nell’ufficio del Torchio; b) nel computer del responsabile amministrativo di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, era stato rinvenuto un file Excel impostato per le fatture di RAGIONE_SOCIALE, oltre ad una serie di mail con cui RAGIONE_SOCIALE concordava ordini e consegna di merci direttamente con la fornitrice RAGIONE_SOCIALE, indicando anche quali dovessero essere fatturate nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; c) la RAGIONE_SOCIALE inviava a RAGIONE_SOCIALE anche le fatture emesse nei confronti di Overcraft; d) il 29/5/2013,
quest’ultima aveva avvisato il citato COGNOME di una verifica in corso presso RAGIONE_SOCIALE con riguardo ai rapporti con RAGIONE_SOCIALE; e) RAGIONE_SOCIALE faceva parte del medesimo gruppo societario riconducibile a RAGIONE_SOCIALE, risultando quindi privo di significato economico il fatto che quest’ultima vendesse ad RAGIONE_SOCIALE la stessa merce poi ulteriorménte venduta a RAGIONE_SOCIALE, senza invece trattare direttamente con questa. In particolare, la fattura n. 102/2013, oggetto del capo L), riguardava merce apparentemente ceduta da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE ad un determinato prezzo, e poi dalla seconda rivenduta a RAGIONE_SOCIALE per la medesima somma, cosicché la seconda cedente non avrebbe conseguito alcun vantaggio economico; la consegna della merce – 6.280 paia di scarpe – risultava peraltro formalmente avvenuta presso lo studio di un commercialista; f) la RAGIONE_SOCIALE non aveva dipendenti, pur emettendo fatture per importi considerevoli, non disponeva di un proprio dominio mail, non disponeva di mezzi (gli unici due veicoli erano stati venduti nel 2011), emetteva spesso fatture con identico numero progressivo e non aveva mai versato le imposte.
4.5. Ebbene, questi elementi – oggettivi e non contestati – sono stati valorizzati in entrambe le sentenze di merito per attestare non solo il ruolo di mera interposta in capo ad Overcraft, ma anche la piena consapevolezza di ciò in capo al ricorrente e, anzi, la diretta riferibilità della società medesima allo stess soggetto. Ancora questi elementi, peraltro, non sono trattati nel ricorso, che dunque si sottrae ad un necessario confronto con la motivazione della sentenza su un dato decisivo.
4.6. In senso contrario, peraltro, non può essere accolta in questa sede la tesi sostenuta ancora con il secondo motivo di impugnazione, secondo cui la Corte di appello non avrebbe esaminato ampia documentazione attestante la “normale operatività commerciale di Overcraft contrastante con l’ipotesi della inesistenza soggettiva (…) situazione comunque non percepibile dall’esterno da parte di altri operatori commerciali.” La questione, infatti, è ancora formulata in termini di puro merito; richiama soltanto qualcuno tra gli argomenti indicati dalle sentenze a riprova della inesistenza sostanziale della società; non si misura con i più che significativi elementi, appena sopra riportati, a conferma della sicura conoscenza del reale ruolo di Overcraft da parte del ricorrente.
La censura, pertanto, è manifestamente infondata.
Alle medesime conclusioni di inammissibilità, poi, la Corte giunge quanto al terzo motivo di ricorso, che contesta l’affermazione di responsabilità del Torchio in ordine al capo L); la tesi si fonda ancora su un argomento di merito, non consentito in questa sede, in forza della quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe versato ad RAGIONE_SOCIALE l’intero prezzo di acquisto maggiorato dell’IVA, che la prima avrebbe poi girato a RAGIONE_SOCIALE “in parziale adempimento del debito con essa sussistente”. Sia il
primo che il secondo Giudice, peraltro, hanno ampiamente rilevato che questa tesi non aveva trovato alcun riscontro oggettivo, di natura documentale, oltre a fondarsi su un presupposto – l’effettiva operatività di Overcraft, che avrebbe dovuto infine versare VIVA – disatteso con le più che solide ed articolate considerazioni già sopra richiamate.
Il ricorso risulta poi manifestamente infondato anche sul quarto motivo, che contesta alla Corte di appello la mancata applicazione d’ufficio – dunque, senza richiesta di parte – del meccanismo di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen., nel testo precedente alla novella di cui al d. Igs. n. 31 del 2024, concernente la possibile applicazione di sanzioni sostitutive alla pena detentiva.
6.1. Questa Corte, con indirizzo costante e qui da ribadire, ha affermato che in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice d’appello non può disporre la sostituzione “ex officio” nel caso in cui, nell’atto di gravame (o, se precedente alla novella di cui al d. Igs. n. 150 del 2022, in sede di conclusioni), non sia stata formulata una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello. (Sez. 5, n. 13298 del 7/2/2025, COGNOME, Rv. 287907; Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, COGNOME, Rv. 287460: in motivazione, la Corte ha altresì affermato che è onere dell’appellante supportare la richiesta di sostituzione delle pene detentive brevi con specifiche deduzioni e che il mancato assolvimento di tale onere comporta l’inammissibilità originaria della richiesta). Tale principio, del resto, è in linea con le indicazioni offerte dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125) con le quali si è rimarcato che al giudice di appello deve ritenersi preclusa la possibilità di applicare d’ufficio l sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, se nell’atto di appello o al più tardi con i motivi aggiunti, non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta in merito (tra le altre, Sez. 6, n. 30711 del 30/5/2024, COGNOME, non massimata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.2. La sostituzione delle pene detentive brevi, inoltre, è rimessa a una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., considerando la gravità del fatto e personalità dell’imputato. Questo principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle sanzioni sostitutive disciplinate dall’originario a 53 della legge 24 novembre 1981 (cfr., ad es., Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2319, COGNOME, Rv. 276716; Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, NOME COGNOME, Rv. 263300; Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558), è valido anche per le nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., atteso che l’art. 58 della stessa legge prevede che, nell’esercizio del “potere discrezionale del giudice
nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”, si debba tenere “conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale” (tra le ultime, Sez. 3, n. 970 del 16/02/2024, COGNOME, Rv. 286031; in senso conforme cfr. Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286006).
Con riguardo a tutti questi motivi, pertanto, l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile.
Il ricorso, per contro, risulta fondato quanto all’ultimo motivo, che contesta alla Corte di appello – che ha infine riconosciuto l’imputato colpevole del solo reato di cui al capo L) – di aver applicato le pene accessorie temporanee di cui all’art. 12, d. Igs. n. 74 del 2000, per la stessa durata di quella detentiva, senza alcun argomento: il riferimento è all’interdizione dagli uffici direttivi delle perso giuridiche e delle imprese, all’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, all’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria.
7.1. Questa Corte, con indirizzo da ribadire, ha infatti già più volte affermato che la durata delle pene accessorie per le quali è previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., dovendo escludersi la necessaria correlazione con quella della pena principale (Sez. 3, n. 41061 del 20/6/2019, Paternò, Rv. 277972: fattispecie in tema di pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Conformi, tra le molte,). Il principio si ricava dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 5/12/2018 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, u. c. I. fall. nella parte in cui dispon condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni». Ebbene, a prescindere dallo specifico contesto normativo, la Corte costituzionale ha così affermato un principio di carattere generale, evidenziato come la scelta di ancorare la durata concreta delle pene accessorie a quella della pena detentiva concretamente inflitta «finirebbe per sostituire l’originario automatismo legale con un diverso automatismo, che rischierebbe altresì di risultare distonico rispetto al legittimo intento del legislato storico di colpire in modo severo gli autori dei delitti di bancarotta fraudolenta, considerati a buon diritto come gravemente lesivi di interessi, individuali e collettivi, vitali per il buon funzionamento del sistema economico».
7.2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla durata delle pene accessorie temporanee di cui all’art. 12,
citato, per esser stata questa individuata dalla Corte di appello con mero ancoraggio alla pena detentiva, senza alcuna motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie temporanee, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Dichiara
inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 1° luglio 2025
Il Presidente