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Pene accessorie illegali: la Cassazione corregge

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37111/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di quattro imputati a seguito di un ‘concordato in appello’. Tuttavia, ha corretto d’ufficio le pene accessorie illegali applicate a due di loro, stabilendo che il calcolo deve basarsi sulla pena per il reato più grave, al netto delle riduzioni di rito, e non sulla pena complessiva finale. Questa decisione chiarisce un importante principio sulla legalità della sanzione anche in caso di accordo tra le parti.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Accessorie Illegali: La Cassazione Interviene d’Ufficio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 37111/2024) offre spunti cruciali sul tema delle pene accessorie illegali e sui limiti del ricorso dopo un ‘concordato in appello’. Anche quando le parti si accordano sulla pena, la legalità della sanzione rimane un presidio invalicabile che la Suprema Corte può tutelare d’ufficio. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in parziale riforma di una pronuncia di primo grado, aveva confermato la responsabilità di un imputato per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio e aveva accolto le richieste di ‘concordato in appello’ (ex art. 599-bis c.p.p.) per altri tre coimputati. Nonostante l’accordo sulla pena, tutti e quattro gli imputati avevano proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni, dall’errata valutazione delle prove all’illegalità delle pene accessorie applicate.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi. Per l’imputato che non aveva aderito al concordato, il ricorso è stato respinto perché basato su contestazioni di merito, non ammissibili in sede di legittimità. Per gli altri tre, i ricorsi sono stati ritenuti inammissibili perché, con l’accordo sulla pena, avevano rinunciato ai relativi motivi di appello.

Il punto nevralgico della sentenza, tuttavia, risiede altrove. Pur nell’inammissibilità generale, la Corte ha rilevato d’ufficio l’illegalità delle pene accessorie inflitte a due degli imputati, procedendo al loro annullamento senza rinvio.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su principi consolidati, offrendo chiarimenti fondamentali.

Limiti del Ricorso dopo Concordato in Appello

I giudici hanno ribadito che la rinuncia ai motivi d’appello, funzionale all’accordo sulla pena, limita drasticamente la possibilità di un successivo ricorso. La cognizione del giudice è preclusa sui punti oggetto di rinuncia. Tuttavia, questo effetto preclusivo non si estende all’applicazione di una pena illegale, un vizio che la Cassazione può e deve sempre rilevare, anche d’ufficio.

Il Principio sul Calcolo delle Pene Accessorie Illegali

Qui si trova il cuore della pronuncia. La Corte ha chiarito come si calcolano le pene accessorie illegali, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici (art. 29 c.p.), in caso di reato continuato. Il principio cardine è il seguente: per determinare la durata della pena accessoria, non si deve guardare alla pena complessiva finale (risultante dal cumulo per la continuazione), ma alla pena base stabilita per il reato più grave, così come ridotta per la scelta di un rito alternativo (come il giudizio abbreviato).

Nel caso specifico:
1. Per un imputato, la pena base per il reato più grave, una volta ridotta per il rito, era pari a due anni e quattro mesi. Essendo inferiore alla soglia di tre anni prevista dall’art. 29 c.p., l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni era illegale e doveva essere eliminata del tutto.
2. Per un altro imputato, la pena base ridotta era di quattro anni. Questa pena, essendo superiore a tre anni ma inferiore a cinque, giustificava l’interdizione per cinque anni, ma non quella perpetua che era stata erroneamente applicata. Inoltre, essendo la pena inferiore a cinque anni, era illegale anche l’ulteriore pena accessoria dell’interdizione legale durante la pena (art. 32 c.p.), che è stata quindi eliminata.

Conclusioni

Questa sentenza è di notevole importanza pratica per due ragioni principali.
In primo luogo, rafforza il principio di legalità della pena, stabilendo che esso prevale anche sugli accordi processuali tra le parti. La giustizia non può ratificare una sanzione non conforme alla legge, nemmeno se concordata.
In secondo luogo, fornisce un criterio chiaro e inderogabile per il calcolo delle pene accessorie nel reato continuato, ancorando la valutazione alla pena del reato più grave e non al risultato finale del cumulo giuridico. Ciò evita l’applicazione di sanzioni accessorie sproporzionate e garantisce una maggiore coerenza e prevedibilità del trattamento sanzionatorio.

È possibile ricorrere in Cassazione dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in appello (concordato)?
Generalmente no. L’accordo sulla pena implica la rinuncia ai motivi di appello e limita fortemente la possibilità di ricorrere. Il ricorso è ammissibile solo per vizi specifici, come quelli relativi alla formazione dell’accordo o, come in questo caso, all’applicazione di una pena illegale.

Come si determina l’applicazione di una pena accessoria, come l’interdizione dai pubblici uffici, in caso di più reati uniti dalla continuazione?
La valutazione non va fatta sulla pena totale finale, ma sulla pena base stabilita per il reato più grave, dopo aver applicato le eventuali riduzioni previste per il rito processuale scelto (ad esempio, il giudizio abbreviato). È questo importo a determinare se e quale pena accessoria applicare.

Cosa fa la Corte di Cassazione se rileva una pena accessoria illegale in un ricorso altrimenti inammissibile?
La Corte può e deve intervenire ‘d’ufficio’, cioè di propria iniziativa. Annulla la sentenza limitatamente alla statuizione illegale e la corregge direttamente, applicando la pena corretta o eliminandola se non dovuta, senza bisogno di un nuovo processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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