Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22074 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22074 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME MarcoCOGNOME nato a Catania 1’01/03/1969; COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 25/09/1982; NOME FilippoCOGNOME nato a Catania il 28/03/1971; COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 17/04/1980; avverso la sentenza dell’01/02/2024 della Corte di appello di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1° febbraio 2024, la Corte di appello di Catania giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto, nei confronti di
COGNOME NOME e, per l’effetto estensivo, nei confronti di COGNOME Salvatore, NOME Filippo e COGNOME NOME, dalla Corte di cassazione con sentenza del 22 aprile 2021, limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto – in riforma della sentenza della Corte di appello di Catania del 24 luglio 2020, ha riqualificato il reato contestato al capo B) dell’imputazione – artt. 81, 110, cod. pen., 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – in quello previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 ed ha condannato gli imputati, su concorde richiesta delle parti ex art. 599-bis cod. pen., alla pena di anni due di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, confermando nel resto il provvedimento della Corte di appello di Catania in precedenza indicato.
Avverso la sentenza, COGNOME COGNOME mediante difensore, ha proposto ricorso per cassazione, censurando, con un unico motivo di doglianza, la carenza assoluta di motivazione in relazione alle pene accessorie.
In sede di rinvio, la Corte territoriale, limitandosi ad indicare la pena oggetto dell’accordo e a confermare nel resto la sentenza, avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi in merito alla pendenza delle pene accessorie, irrogate in primo grado e confermate in appello, della dichiarazione di interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale con sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale durante l’esecuzione della pena; pene che, secondo la prospettazione difensiva, invece, avrebbero dovuto essere escluse sia in relazione alla pena principale in concreto irrogata, sia in ragione dell’accordo intervenuto tra le parti.
Analogamente, avverso la sentenza anche COGNOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione, lamentando entrambi, con distinte impugnazioni dall’identico contenuto, la violazione degli artt. 29 e 32 cod. pen.
Nello specifico, rappresentano i ricorrenti che la Corte di appello, pur rideterminando, in sede di rinvio, la pena principale al di sotto del limite dei 5 anni – e, segnatamente, nella misura di anni 2 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa – avrebbe nondimeno confermato le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale con sospensione dell’esercizio della responsabilità GLYPH genitoriale GLYPH durante GLYPH l’esecuzione GLYPH della GLYPH pena, GLYPH disposte originariamente dalla sentenza di primo grado – unitamente alla condanna alla pena di anni 14 di reclusione per i reati di cui agli artt. 74, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A) e 81, 110, cod. pen., e 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – e poi confermate dalla sentenza di appello del 22 aprile 2021 – in uno alla riformata condanna degli imputati alla pena di anni 7 di reclusione ed euro
27.000,00 di multa, conseguente all’assoluzione dal delitto associativo omettendo così di escludere sia la pena ex art. 29 cod. pen., sia quella di cui all’art. 32 cod. pen., applicate dunque al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge e perciò illegali.
La sentenza è stata infine impugnata, mediante difensore, da COGNOME COGNOME il quale, con un unico motivo di gravame, deduce il difetto di motivazione relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., non essendosi debitamente considerati né il dato meramente ponderale, né la positiva condotta processuale tenuta dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME Salvatore e NOME Filippo sono fondati, mentre deve dichiararsi inammissibile il ricorso di COGNOME NOME.
I motivi di impugnazione proposti, con analoghe argomentazioni ma con distinti ricorsi, da NOME Marco, COGNOME Salvatore e NOME COGNOME – che possono dunque trattarsi congiuntamente, giacché sostanzialmente sovrapponibili in punto di illegalità delle pene accessorie – sono fondati.
La Corte territoriale, nel riformare la pena originariamente inflitta dalla prima sentenza di appello nella misura di anni 7 di reclusione in relazione al reato contestato al capo B) – artt. 81, 110, cod. pen., 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – dell’imputazione, ha rideterminato la pena principale nella misura, evidentemente inferiore al limite dei 5 anni, di anni 2 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa – così individuata partendo da una pena base pari ad anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, poi aumentata ad anni 2 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa per la continuazione interna – accogliendo sul punto la concorde richiesta delle parti, avanzata ai sensi dell’art. 99-bis cod. proc. pen. Nondimeno, ha confermato le pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale, con sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale durante l’esecuzione della pena, irrogabili, ai sensi degli artt. 29 e 32 cod. pen., soltanto allorché intervenga condanna ad una pena detentiva non inferiore a cinque anni.
Ebbene, va ricordato che, per pena accessoria illegale, deve intendersi quella non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quella eccedente, per specie o quantità, il limite legale (Sez. 1, n. 20466 del 27/01/2015, Rv. 263506), in linea con la nozione generale di pena illegale, che è la sanzione diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o
superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (ex multis, Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, Rv. 260325; Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Rv. 255197), e che costituisce ius receptum che la pena principale, alla quale si deve fare riferimento per determinare la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – che, ai sensi dell’art. 29 cod. pen., è perpetua quando la condanna è per un tempo non inferiore a cinque anni ed è di cinque anni quando la condanna è per un tempo non inferiore a tre anni – non è quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione, ma quella inflitta in concreto per la violazione più grave (ex multis, Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Rv. 270240; Sez. 1, n. 7346 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 254551; Sez. 6, n. 17616 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 240067; Sez. 1, n. 27700 del 26/06/2007, Rv. 237118), tenendo conto della incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per la scelta del rito speciale, e, quindi, prescindendo dai modi in base ai quali si è pervenuti al risultato finale (ex plurimis, Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998, Rv. 210980; Sez. 1, n. 18149 del 04/04/2014, Rv. 259749)
Rileva il Collegio che, nel caso di specie, le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale, con sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale durante l’esecuzione della pena, sono state applicate al di fuori dei casi previsti dalla legge, perché irrogate in difetto del presupposto della condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, e devono essere eliminate.
E ciò a prescindere dalla circostanza che l’accordo tra le parti, intervenuto ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. abbia avuto, o meno, ad oggetto le statuizioni concernenti le censurate pene accessorie. Al riguardo, infatti, questa Suprema Corte ha già chiarito, con riferimento alla precedente disciplina, poi abrogata, e nuovamente reintrodotta all’art. 599-bis cod. proc. pen. dalla legge n. 103 del 2017, che l’accordo tra le parti previsto dall’art. 599 cod. proc. pen. può intendersi esteso implicitamente ai punti della sentenza impugnata in stretta correlazione con esso. Per costante giurisprudenza di legittimità, dunque, è deducibile con il ricorso per cassazione l’applicazione illegale della pena accessoria contenuta nella sentenza di patteggiamento in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., trattandosi di statuizione sottratta all’accordo delle parti e, perciò, esclusa dalla previsione limitativa di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 11940 del 13/02/2020, Rv. 278806; Sez. 6, n. 29898 del 10/01/2019, Rv. 276228); con la conseguenza che, qualora in dipendenza delle modificazioni apportate alla pena principale, quest’ultima non comporti più la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il giudice ha la potestà di operare
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modifiche anche alla pena accessoria (ex multis, Sez. 3, n. 39261 del 09/07/2004, Rv. 229931).
Del resto, se è vero che, in tema di applicazione della pena concordata, il consenso prestato dalle parti sottrae la sentenza alle censure riguardanti l’entità della pena e le modalità della sua determinazione, è pur vero che l’eccezione a tale principio è rappresentata proprio dalla illegalità della pena, principale o accessoria, applicata (ex plurimis, Sez. 6, n. 44909 del 30/10/2013, Rv. 257152; Sez. 5, n. 5018 del 19/10/1999, dep. 2000, Rv. 215673).
3. Il ricorso di COGNOME COGNOME con il quale si censurano i vizi della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, deve, invece, essere dichiarato inammissibile per genericità.
Più precisamente, ritiene il Collegio che, nel caso in esame – tenuto conto che il ricorrente ha concordato la pena in appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. – dalla stessa prospettazione difensiva non emerga alcun profilo rilevante ai fini dell’applicazione delle invocate attenuanti generiche, atteso che né si deduce espressamente che le predette circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen. facevano effettivamente parte dell’accordo intervenuto tra le parti, né, soprattutto, ci si duole dell’applicazione, nel caso concreto, di una pena superiore a quella pacificamente concordata tra le parti.
In primo luogo, infatti, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ribadire che, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del Pubblico Ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limit edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (ex multis, Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102).
In secondo luogo, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, in tema di patteggiannento, è inammissibile l’impugnazione della sentenza che applica la pena nella misura finale esattamente concordata dalle parti, anche qualora non sia stata concessa un’attenuante pure prevista nell’accordo, ma non esplicitamente calcolata ai fini della concreta quantificazione della sanzione (Sez. 6, n. 6157 del 14/01/2013, Rv. 254898). Ciò che, in altri termini, equivale a dire che, nella specie, quand’anche fosse fondata la denunciata omissione
motivazionale, nessun pregiudizio né diretto né indiretto è dato cogliere verso il ricorrente, essendogli stata applicata la pena nell’esatta misura da lui concordata.
Ed invero, la valutazione di congruità della pena oggetto dell’accordo tra le parti deve avere riguardo alla pena indicata nel risultato finale indipendentemente dai singoli passaggi interni, in quanto è unicamente il risultato finale che assume valenza quale espressione ultima e definitiva dell’incontro delle volontà delle parti (Sez. 3, n. 28641 del 28/05/2009, Rv. 244582), con la conseguenza che, laddove il giudice accolga la richiesta, congrua e legale, della pena concordata tra le parti, non potranno venire in rilievo, in sede di legittimità, eventuali errori compiuti nell’iter di determinazione della pena base.
D’altra parte, una volta che l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di applicazione della pena, non è consentito censurare il provvedimento nei profili di determinazione quantitativa della sanzione, a meno che non risulti applicata una pena illegale (Sez. 6, n. 38943 del 18/09/2003, Rv. 227718); mentre nessuna illegalità della pena può ritenersi avverata in presenza di un esplicito accordo sulla pena finale cui il giudice, come nel caso di specie, abbia dato specificamente attuazione.
Per questi motivi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME Marco, COGNOME NOME e NOME COGNOME nella parte in cui applica agli imputati le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, che devono essere eliminate.
Inoltre, ferma restando l’inammissibilità del ricorso di COGNOME COGNOME, tale medesima sentenza deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alle statuizioni concernenti le pene accessorie, anche nei confronti di costui, che, stante la natura oggettiva delle doglianze proposte dai coimputati COGNOME e COGNOME beneficia evidentemente dell’effetto estensivo dell’impugnazione di cui all’art. 587 cod. proc. pen., pur avendo proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti. Ai fini dell’operatività dell’estension dell’impugnazione, del resto, deve considerarsi non ricorrente anche il coimputato che sia stato presente nel giudizio di cassazione, il quale non abbia impugnato il punto della decisione annullata dalla Suprema Corte in accoglimento di motivi non esclusivamente personali proposti da altro imputato (ex multis, Sez. 2, n. 4159 del 12/11/2019, dep. 2020, Rv. 278226; Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013, Rv. 258155).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alle pene accessorie applicate nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e,
per l’effetto estensivo, nei confronti di NOME Piero; pene accessorie che elimina. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME Piero.
Così deciso il 18/02/2025.