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Pene accessorie fisse: la Cassazione e l’art. 317-bis

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di corruzione, affrontando la questione delle pene accessorie fisse. Un ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la sollevata questione di incostituzionalità della pena accessoria perpetua è stata ritenuta irrilevante nel caso specifico. Per un altro imputato, la Corte ha annullato la condanna per intervenuta prescrizione. La sentenza chiarisce i requisiti di ammissibilità per contestare la costituzionalità delle sanzioni.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Accessorie Fisse: La Cassazione nega la Rilevanza della Questione di Costituzionalità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30019/2024, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle pene accessorie fisse e perpetue, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici prevista dall’art. 317-bis del codice penale per i reati contro la pubblica amministrazione. La decisione offre importanti chiarimenti sui limiti e le condizioni per sollevare una questione di legittimità costituzionale, sottolineando il requisito della “rilevanza” ai fini della decisione del caso concreto.

I Fatti del Processo

La vicenda giudiziaria riguarda due dipendenti, un agente di polizia e un impiegato civile, in servizio presso l’Ufficio immigrazione di una grande città del nord Italia. Entrambi erano accusati di vari delitti di corruzione e abuso d’ufficio legati alla gestione illecita di pratiche per il rilascio di permessi di soggiorno a cittadini stranieri.

In secondo grado, la Corte di appello aveva rideterminato la pena per l’agente di polizia a quattro anni e tre mesi di reclusione, confermando però le pene accessorie perpetue dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Per l’impiegato civile, invece, la Corte aveva dichiarato prescritti alcuni reati e lo aveva assolto da altri, confermando però una condanna per un singolo episodio di abuso d’ufficio.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
L’agente di polizia ha basato il suo ricorso su due motivi principali:
1. La richiesta di dichiarare la prescrizione per due dei reati per cui era stato condannato.
2. Una censura di violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla conferma delle pene accessorie perpetue. In particolare, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 317-bis c.p., sostenendo che una sanzione fissa e perpetua violi i principi di uguaglianza, proporzionalità e la funzione rieducativa della pena (artt. 3 e 27 della Costituzione).

L’impiegato civile, invece, ha contestato la sua qualifica di incaricato di pubblico servizio, l’esistenza del dolo (l’intento criminale) e la sussistenza stessa degli elementi oggettivi del reato di abuso d’ufficio.

La Decisione della Corte sulle Pene Accessorie

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’agente di polizia. La Corte ha ritenuto manifestamente infondato il motivo relativo alle pene accessorie, e questa infondatezza ha reso inammissibile l’intero ricorso, impedendo così anche di poter dichiarare l’eventuale prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.

La Rilevanza della Questione di Costituzionalità

Il punto centrale della decisione riguarda la questione di costituzionalità. La Corte ha stabilito che, nel caso di specie, la questione era priva del requisito indispensabile della “rilevanza”. Un incidente di costituzionalità può essere sollevato solo se la sua risoluzione è necessaria per definire il giudizio in corso.
Secondo i giudici, il dubbio di costituzionalità era irrilevante per due ragioni principali:
1. L’imputato non aveva mai richiesto l’applicazione delle circostanze attenuanti speciali previste dall’art. 323-bis c.p. (per fatti di particolare tenuità o per collaborazione), che avrebbero potuto consentire l’applicazione di una pena accessoria temporanea anziché perpetua.
2. La difesa non aveva contestato la pena principale come sproporzionata rispetto alla gravità del fatto, ma si era limitata a criticare l’automatismo della pena accessoria. In assenza di una critica alla congruità della pena principale, anche la pena accessoria che ne deriva non può essere ritenuta manifestamente sproporzionata.

L’Annullamento per Prescrizione

Diversa è stata la sorte del ricorso dell’impiegato civile. La Cassazione ha ritenuto che le sue doglianze non fossero manifestamente infondate. Di conseguenza, si è validamente instaurato il rapporto processuale, permettendo alla Corte di rilevare che il reato a lui ascritto si era estinto per prescrizione il 3 ottobre 2023, ovvero dopo la sentenza di appello. La Corte ha quindi annullato senza rinvio la sentenza di condanna nei suoi confronti.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la propria decisione sull’inammissibilità del ricorso dell’agente di polizia argomentando che l’ordinamento offre già degli strumenti per evitare l’applicazione automatica della pena accessoria perpetua. Il legislatore, con la legge n. 3 del 2019, ha introdotto l’art. 323-bis c.p., che prevede attenuanti speciali in grado di trasformare la pena accessoria da perpetua a temporanea. Poiché il ricorrente non aveva nemmeno tentato di avvalersi di questi strumenti, né in appello aveva concordato una pena inferiore alla soglia che fa scattare la sanzione perpetua, la sua contestazione è apparsa ai giudici come un tentativo tardivo e strumentale di aggirare le conseguenze di scelte processuali precedenti.

In sostanza, per poter validamente sollevare un dubbio di costituzionalità sulla rigidità di una sanzione, l’imputato deve dimostrare di non avere altre vie legali per ottenere un trattamento sanzionatorio più mite. In mancanza di questo presupposto, la questione è irrilevante perché il giudice non si troverebbe comunque a dover applicare la norma sospettata di incostituzionalità se l’imputato avesse seguito altri percorsi difensivi.
Per quanto riguarda il secondo imputato, la Corte ha specificato che le sue argomentazioni, pur non garantendo un esito favorevole nel merito, non erano pretestuose. Di conseguenza, il ricorso è stato ritenuto ammissibile, il che ha imposto alla Corte di prendere atto della causa di estinzione del reato (la prescrizione) maturata nel frattempo, con conseguente annullamento della condanna.

Le conclusioni

La sentenza n. 30019/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di impugnazioni e questioni di costituzionalità: non si può criticare la rigidità di una norma sanzionatoria se non si sono prima percorse tutte le strade che la legge stessa offre per mitigarne gli effetti. La decisione consolida l’orientamento secondo cui la questione di costituzionalità è uno strumento eccezionale, da utilizzare solo quando è l’unica via per risolvere il caso concreto. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le strategie difensive devono essere attentamente ponderate fin dai primi gradi di giudizio, poiché le scelte compiute, come la rinuncia a determinate attenuanti o l’accordo su una pena, possono precludere la possibilità di sollevare questioni di principio nelle fasi successive del processo.

Quando un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile, il giudice può dichiarare la prescrizione del reato maturata nel frattempo?
No, la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso rende l’impugnazione inammissibile. Ciò impedisce la formazione di un valido rapporto processuale e, di conseguenza, precludere la possibilità per il giudice di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata.

È possibile sollevare una questione di legittimità costituzionale su una pena accessoria fissa e perpetua?
Sì, ma la questione deve essere ‘rilevante’ ai fini della decisione del processo. La Cassazione ha stabilito che la questione è irrilevante se l’imputato non ha prima percorso tutte le vie legali disponibili per ottenere una mitigazione della sanzione (come la richiesta di attenuanti speciali) e se non contesta la proporzionalità della pena principale da cui la sanzione accessoria deriva.

Cosa succede se la prescrizione di un reato matura dopo la sentenza di appello ma prima della decisione della Cassazione?
Se il ricorso presentato in Cassazione non è manifestamente infondato e quindi viene ritenuto ammissibile, la Corte ha il dovere di rilevare l’intervenuta prescrizione. In tal caso, la sentenza di condanna viene annullata senza rinvio perché il reato è estinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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