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Pene accessorie fallimentari: la motivazione del giudice

La Corte di Cassazione ha confermato una pena accessoria di 5 anni per un amministratore condannato per reati fallimentari tramite patteggiamento. La sentenza stabilisce che le pene accessorie fallimentari non rientrano nell’accordo di patteggiamento e il giudice ha l’obbligo di determinarne la durata e di motivare la sua scelta, basandosi sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato, come previsto dall’art. 133 c.p. Nel caso di specie, la motivazione, seppur sintetica, è stata ritenuta sufficiente.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Accessorie Fallimentari: Obbligo di Motivazione anche nel Patteggiamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34006 del 2024, è tornata su un tema cruciale nel diritto penale dell’economia: la determinazione delle pene accessorie fallimentari nel contesto di una sentenza di patteggiamento. La pronuncia chiarisce che la durata di tali pene non è oggetto dell’accordo tra le parti e spetta al giudice, il quale ha il preciso dovere di motivare la propria decisione, anche se in forma sintetica.

I fatti del caso e il ricorso in Cassazione

Il caso riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita, che aveva concordato con il pubblico ministero una pena, tramite patteggiamento, di 2 anni e 4 mesi di reclusione per diversi reati fallimentari. Oltre alla pena principale, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva applicato le pene accessorie dell’inabilità all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi per la durata di 5 anni.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando esclusivamente la durata delle pene accessorie. La difesa sosteneva che tale statuizione non era stata oggetto dell’accordo di patteggiamento, risultava sproporzionata rispetto alla pena principale e, soprattutto, era priva di una motivazione adeguata che ne giustificasse l’entità.

La questione giuridica: le pene accessorie fallimentari e il patteggiamento

Il cuore della questione giuridica risiede nel rapporto tra l’accordo di patteggiamento e l’applicazione delle pene accessorie. Il patteggiamento è un accordo che riguarda la pena principale, ma non si estende automaticamente alle pene accessorie che la legge prevede come conseguenza obbligatoria della condanna.

La Corte di Cassazione ha preliminarmente ribadito l’ammissibilità del ricorso. Anche dopo la riforma che ha limitato i motivi di impugnazione delle sentenze di patteggiamento, è sempre possibile ricorrere per questioni estranee all’accordo, come appunto la determinazione delle pene accessorie. Questo principio garantisce che ogni aspetto della sanzione penale sia conforme alla legge e ai principi costituzionali.

La decisione della Corte di Cassazione e la centralità dell’art. 133 c.p.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del GIP. La sentenza si fonda su principi consolidati, rafforzati da importanti interventi della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite.

In primo luogo, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018, che ha reso flessibile la durata delle pene accessorie fallimentari, trasformando la precedente misura fissa di 10 anni in una forbice edittale “sino a” 10 anni. Questo ha introdotto la necessità per il giudice di individualizzare la sanzione.

In secondo luogo, la Cassazione fa leva sulla pronuncia delle Sezioni Unite (sent. Suraci, n. 28910/2019), la quale ha stabilito che la durata delle pene accessorie non deve essere rapportata a quella della pena principale. La determinazione deve invece avvenire in modo autonomo, sulla base dei criteri generali di commisurazione della pena indicati dall’art. 133 del codice penale: la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo.

Questi criteri permettono di personalizzare la sanzione, tenendo conto delle specifiche finalità preventive e rieducative delle pene accessorie, che mirano a impedire al condannato di commettere nuovi reati nel medesimo contesto professionale o economico.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che, nel caso specifico, il giudice di merito avesse adempiuto al suo obbligo di motivazione. Pur in modo succinto, come è tipico delle sentenze di patteggiamento, la sentenza impugnata aveva fatto riferimento proprio ai criteri dell’art. 133 c.p., evocando la “gravità dell’illecito e la personalità del suo autore”. Questa motivazione, seppur sintetica, è stata giudicata sufficiente e congrua per giustificare la scelta di una pena accessoria di 5 anni, collocata a metà della forbice edittale (da un minimo implicito a un massimo di 10 anni).

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale: nel procedimento di patteggiamento, le pene accessorie obbligatorie sono un’isola di potere-dovere decisionale del giudice. L’accordo tra le parti non le include, e spetta al magistrato determinarne la durata in modo discrezionale ma non arbitrario. Tale discrezionalità deve essere esercitata attraverso una valutazione basata sui parametri dell’art. 133 c.p. e deve trovare espressione in una motivazione, anche se concisa, che dia conto del percorso logico seguito. Questa pronuncia ribadisce l’importanza dei principi di proporzionalità e individualizzazione della pena, garantendo che ogni sanzione, principale o accessoria, sia adeguata al caso concreto.

Nel patteggiamento, le pene accessorie sono incluse nell’accordo tra imputato e PM?
No, l’accordo riguarda solo la pena principale. Il giudice ha l’obbligo di applicare le pene accessorie previste dalla legge, determinandone la durata in modo autonomo e motivato.

Come deve essere determinata la durata delle pene accessorie fallimentari?
La loro durata non è automaticamente legata a quella della pena principale. Il giudice deve stabilirla discrezionalmente, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), entro il limite massimo previsto dalla legge, che per i reati fallimentari è di 10 anni.

Il giudice deve motivare la durata delle pene accessorie in una sentenza di patteggiamento?
Sì. Sebbene la motivazione possa essere più sintetica rispetto a una sentenza emessa a seguito di un dibattimento, il giudice ha l’obbligo di esplicitare le ragioni della sua decisione, facendo riferimento ai parametri dell’art. 133 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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