Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34006 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34006 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENK( BELGIO) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/02/2024 del GIP TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIOCOGNOME, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della senten impugnata limitatamente alle pene accessorie fallimentari.
Ritenuto in fatto
La sentenza impugnata è del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce del febbraio 2024 che, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a NOME ritenuta la continuazione tra i reati e la recidiva contestata, la pena di anni 2 e mesi reclusione, concordata con il pubblico ministero, in relazione ai delitti di cui agli ar
comma 1 e 216 co. 1, n. 1,220, 16 n. 3 e 219 co. 2 n. 1 L.F. a lui contestati, in qua amministratore della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza depositata il 9 luglio 2020.
La sentenza gli ha irrogato la pena accessoria dell’inabilità ad esercitare un’impr commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso un’impresa per la dura anni 5.
1.L’ imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione e ha dedotto un un motivo, con il quale ha denunciato inosservanza della legge penale con riferimento al calibrazione della durata della pena accessoria, che non ha formato oggetto di accordo tra parti, di cui all’art. 216 ultimo comma R.D. n. 267 del 1942, stabilita nel dispositivo in anni, in misura dunque significativamente superiore alla pena principale, in carenza total motivazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1.Preliminarmente, deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza d applicazione della pena nella parte relativa alle pene accessorie in presenza di patteggiamen cd. allargato, in esito al quale è stata concordata tra le parti la pena superiore a due a reclusione. A parte la clausola di equiparazione a una pronuncia di condanna ex art. 445 comma 1-bis, ultima parte, cod. proc. pen., la sentenza di applicazione pena «comporta l’obbligo del pagamento delle spese processuali, l’applicazione delle pene accessorie e del misure di sicurezza» (Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, dep. 2006, Diop, Rv. 233518).
Questa Corte ha già affermato che la limitazione dei motivi di impugnazione proponibili contr le sentenze di patteggiamento, ai sensi dell’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., inse dalla legge n.103 del 23 giugno 2017, riguarda soltanto le parti della decisione che riflett contenuto dell’accordo processuale tra il pubblico ministero e l’imputato e non le statuiz estranee a tale accordo (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348, in tema di misure di sicurezza).
Con riferimento alle pene accessorie previste dagli artt. 29 cod. pen. e 216, ult. comma, r.d 267 del 16 marzo 1942, la giurisprudenza di legittimità ha precisato: a) che è ammissibile ricorso per cassazione proposto per violazione di legge con riferimento alle pene accessorie ch non hanno formato oggetto dell’accordo tra le parti, non operando in questo caso l disposizione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 49477 del 13/11/201 Letizia, Rv. 277552); b) che costituisce onere del giudice quello di motivare specificamente punto; c) che la statuizione è impugnabile, anche dopo l’introduzione dell’art.448, comma bis, cod. proc. pen., con ricorso per cassazione per vizio di motivazione, riguardando
aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (Sez. 6, n. 16508 de 27/05/2020, COGNOME NOME, Rv. 278962).
L’obbligo di motivazione, per quanto di interesse nella materia dei reati fallimentari, è diretta conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 216 ult. co . L. Fall. nella parte in cui prevedeva che la condanna per uno dei fatti dalla norma contemplati comportasse l’applicazione della pena accessoria, nella misura fissa di 10 anni, dell’inabilitazione all’esercizio di un’im commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impr introducendo nella previsione, al fine di conciliarla con i principi costituzionali che d attendere all’irrogazione delle sanzioni penali e alla loro individualizzazione e proporzi l’avverbio “sino” ad un massimo di 10 anni.
Le Sezioni Unite, con la decisione n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286, richiamando proprio la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, hanno stabilito che la dura delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di du minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non obbligatoriamente rappor invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen.. Tale soluzione si è im perché le medesime istanze di individualizzazione della misura sanzionatoria del disvalore penale del fatto-reato, provenienti dai parametri costituzionali previsti dagli artt. 3, 2 Cost. e sintetizzabili nei principi di proporzionalità e colpevolezza, sovrintendono determinazione sia della pena principale che di quelle accessorie, eventualmente da disporre in abbinamento secondo specifiche ed obbligatorie indicazioni normative.
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno dapprima premesso che le pene principali svolgono funzioni retributive, preventive di carattere generale e speciale, nonché rieducative mediant la sottoposizione al trattamento orientato al graduale reinserimento sociale del condannato; mentre le pene accessorie, specie quelle interdittive ed inabilitative, collegate al compimento condotte postulanti lo svolgimento di determinati incarichi o attività, sono più marcatamen orientate a fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale, che realizza mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi e dallo stimolo alla violazione precetti penali per impedirgli di reiterare reati in futuro e per sortirne l’emenda. Quindi, evidenziato come la piena realizzazione di tale precipuo finalismo preventivo cui sono preordinate le pene accessorie, richieda una loro modulazione personalizzata in correlazione con il disvalore del fatto di reato e con la personalità del responsabile, che necessariamente deve riprodurre la durata della pena principale. Ne consegue la necessità di determinazione della loro misura caso per caso, ad opera del giudice, che deve muoversi nell’ambito della cornice edittale disegnata dalla singola disposizione di legge, sulla scort una valutazione discrezionale che deve utilizzare gli elementi concreti della fattispecie
collegamento con i parametri dell’art. 133 cod. pen. e “di cui è obbligo dare conto con congru motivazione” (cfr. Cass. sez. 5, n. 24874 del 21/04/2023, COGNOME, Rv.284818).
2.Le pronunce di questa Corte che sono state chiamate a dare applicazione ai principi cristallizzati dalla giurisprudenza costituzionale e del massimo organo nomofilattico hann stabilito che ai fini della durata delle pene accessorie fallimentari, proprio in considera della precipua natura special-preventiva che le caratterizza, assumono significativa rilevanz oltre alla gravità della condotta, anche tutti gli elementi fattuali indicativi della ca delinquere dell’agente alla luce di una valutazione complessiva dei parametri di ordin oggettivo e soggettivo di cui all’art. 133 cod. pen. (sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, Arnorel Rv. 280898; sez. 5 n. 1947 del 03/11/2020, Maddem, Rv. 280668).
2.1. Ebbene, nel caso di specie la sentenza impugnata ha ragionevolmente ed esaurientemente enunciato le ragioni che hanno condotto a comminare all’imputato, con il dispositivo, la pena principale – delibata la correttezza e la congruità della sanzione ogget dell’accordo – e l’entità della sanzione accessoria di cui all’art. 216 ult. co . R.D. n. 267/42 (inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e incapacità ad esercitare uffici dir presso qualsiasi impresa) nella misura di 5 anni e, in particolare, ha in proposito rimarca attraverso l’evocazione dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., la gravità dell’ill personalità del suo autore, da ritenersi argomentazione sufficiente e in linea con il connota ontologicamente succinto che caratterizza la motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta.
3.Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al rigetto del ricorso consegue la condanna d ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23/05/2024
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