Pene accessorie fallimentari: la Cassazione conferma la discrezionalità del Giudice
La durata delle pene accessorie fallimentari può superare quella della pena principale? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, chiarendo i limiti della discrezionalità del giudice e i criteri da adottare. La pronuncia in esame si sofferma sul delicato equilibrio tra la sanzione detentiva e le sanzioni interdittive che seguono a una condanna per reati fallimentari, confermando un orientamento ormai consolidato.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dalla condanna di un’imprenditrice per reati fallimentari. La Corte di Appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio a seguito di un precedente annullamento da parte della Cassazione, aveva rideterminato la durata delle pene accessorie a cinque anni. La pena principale, invece, era stata fissata in quattro anni di reclusione. L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto equiparare la durata delle sanzioni accessorie a quella della pena principale, come peraltro richiesto dallo stesso Procuratore Generale in udienza.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure sollevate infondate. Secondo gli Ermellini, le lamentele dell’imputata si configuravano come doglianze in punto di fatto, volte a ottenere un nuovo giudizio sul merito della questione sanzionatoria. Questo tipo di valutazione, tuttavia, è precluso in sede di legittimità, dove la Corte può sindacare solo la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione, non la sua condivisibilità nel merito.
Le motivazioni: perché le pene accessorie fallimentari possono essere più lunghe
La Corte di Cassazione ha evidenziato come la decisione del giudice di merito fosse sorretta da una motivazione congrua, logica e priva di vizi manifesti. Il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello si fondava su una serie di elementi concreti che giustificavano una sanzione accessoria più severa rispetto alla pena detentiva.
Il Ruolo della Sentenza della Corte Costituzionale
Un punto centrale della motivazione è il richiamo alla sentenza n. 222 del 2018 della Corte Costituzionale. Tale pronuncia ha sancito che non esiste un automatismo per cui le pene accessorie debbano avere la stessa durata della pena principale. Al contrario, il giudice ha il dovere di motivare specificamente la durata delle sanzioni accessorie, potendo discostarsi, anche in aumento, da quella della pena detentiva.
La Valutazione della Gravità del Fatto
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente valorizzato diversi fattori per giustificare la durata di cinque anni. Tra questi, spiccavano:
* La gravità del fatto: l’entità del danno causato dal fallimento.
* L’intensità del dolo: desunta dal ruolo apicale che l’imputata rivestiva all’interno della società fallita, indice di una piena consapevolezza delle sue azioni.
* La capacità a delinquere: dimostrata dalla recidiva qualificata applicata a suo carico.
Questi elementi, secondo la Cassazione, sono idonei a giustificare un trattamento sanzionatorio accessorio più severo, purché, come in questo caso, la durata non superi la media edittale (il massimo previsto è di dieci anni) e non si discosti in modo irragionevole dalla pena principale.
Le conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Tale discrezionalità non è arbitraria, ma deve essere esercitata attraverso una motivazione solida, che tenga conto di tutti gli indici previsti dall’art. 133 del codice penale. La decisione conferma che non vi è alcun obbligo di equiparare la durata delle pene accessorie a quella della pena principale, legittimando una sanzione più lunga quando la gravità del reato e la personalità del reo lo giustifichino. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la difesa deve concentrarsi non solo sulla pena detentiva, ma anche sull’argomentare specificamente in merito ai criteri che dovrebbero guidare il giudice nella commisurazione delle importanti sanzioni interdittive.
La durata delle pene accessorie fallimentari deve essere uguale a quella della pena principale?
No, la Corte ha chiarito che le pene accessorie possono avere una durata diversa e anche superiore a quella della pena principale. La decisione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, che deve però fornire una motivazione logica e adeguata.
Quali elementi può considerare il giudice per determinare la durata delle pene accessorie?
Il giudice può basare la sua decisione su vari elementi, tra cui la gravità del fatto, l’intensità del dolo (l’intenzione criminale), il ruolo apicale ricoperto dall’imputato nella società fallita e la sua capacità a delinquere, desunta ad esempio dalla presenza di una recidiva qualificata.
È possibile contestare in Cassazione la durata delle pene accessorie decisa dal giudice di merito?
No, non è possibile se la contestazione riguarda una valutazione di merito (definita ‘in punto di fatto’) e la motivazione del giudice è sufficiente e logica. La Corte di Cassazione si occupa solo di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza del ragionamento, senza poter riesaminare i fatti del caso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4100 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4100 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIAREGGIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/07/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e IN DIRITTO
Rilevato che, con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze, decidendo in sede di rinvio disposto dalla sezione Quinta penale di questa Corte, con sentenza n. 27740-19, del 30 aprile 2019, ha ridotto la durata delle pene accessorie fallimentari irrogate a NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 216, u.c., r.d n. 267 del 16 marzo 1942, in quella di anni cinque, ferma restando l’irrevocabilità delle altre statuizioni della pronuncia di primo grado del Tribunale di Firenze del 23 aprile 2013.
Considerato che il motivo unico dedotto (erronea applicazione di legge pena e vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen. avendo peraltro il giudice di secondo grado ignorato la richiesta del Sostituto Procuratore generale di udienza, di irrogare pene accessorie per una durata pari alla pena principale) non è consentito in sede di legittimità perché costituito da doglianze in punto di fatto e, comunque, inerenti al trattamento sanzionatorio, benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Rilevato, infatti, che la Corte territoriale, con ragionamento immune da illogicità manifesta e da censure di ogni tipo, ha riscontrato (cfr. p. 4 della sentenza di appello) la gravità del fatto, l’intensità del dolo, espressa dal ruolo apicale rivestito dalla ricorrente nella società fallita, nonc:hé la capacità delinquere desunta dalla recidiva qualificata applicata a suo carico, secondo un ragionamento in linea con il dettato del Giudice delle leggi di c:ui alla sentenza n. 222 del 2018 che non esclude che le pene accessorie possano essere irrogate per una durata anche diversa (e superiore) rispetto alla pena principale.
Considerato che si tratta di elementi idonei a giustificare l’entità delle pene accessorie, peraltro irrogate in misura non superiore alla media edittale e che, comunque, non si discostano in modo consistente dall’entità della pena principale irrogata (tenuto conto della durata massima prevista dalla norma pari ad anni dieci e della condanna alla pena di anni quattro di reclusione irrogata quale pena principale, alla quale il Procuratore generale di udienza, nel giudizio di rinvio, aveva chiesto di equiparare la durata delle pene accessorie fallimentari).
Ritenuto che deriva, da quanto sin qui esposto, l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso, in data 11 gennaio 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente