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Pena sproporzionata: annullata per difetto di motivazione

La Corte di Cassazione ha analizzato il ricorso di un imputato condannato per minaccia aggravata e tentato furto. Pur respingendo il motivo sulla presunta illegittimità della querela sporta da un dipendente del negozio, la Corte ha accolto la censura relativa al trattamento sanzionatorio. È stata ritenuta inadeguata e carente la motivazione con cui i giudici di merito avevano inflitto una pena significativamente superiore al minimo edittale. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata con rinvio limitatamente alla determinazione della pena, stabilendo che il giudice deve fornire una giustificazione specifica e dettagliata quando si discosta sensibilmente dai minimi di legge, configurando altrimenti una pena sproporzionata.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena sproporzionata: la Cassazione annulla la condanna e ribadisce l’obbligo di motivazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sui criteri di determinazione della pena, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento: il giudice che si discosta sensibilmente dal minimo edittale ha l’obbligo di fornire una motivazione rafforzata. In mancanza, la sanzione inflitta può essere considerata una pena sproporzionata e, come tale, illegittima. La pronuncia offre anche un’importante chiarificazione sulla legittimità della querela presentata dal dipendente di un’attività commerciale.

Il caso in esame: da rapina impropria a minaccia e tentato furto

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un uomo da parte del Tribunale per i reati di minaccia aggravata e tentato furto, riqualificando l’originaria imputazione di rapina impropria. All’imputato veniva applicata una pena di 9 mesi e 10 giorni di reclusione, tenuto conto delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e della diminuente per il rito abbreviato.

La Corte d’Appello, in un secondo momento, riformava parzialmente la sentenza. Pur riconoscendo un’ulteriore attenuante (il danno patrimoniale di speciale tenuità), rideterminava la pena in 5 mesi e 10 giorni di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Il ricorso in Cassazione: querela e pena sproporzionata

L’imputato proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a due principali motivi di doglianza.

La legittimazione del dipendente a sporgere querela

In primo luogo, la difesa sosteneva la nullità della sentenza per un vizio di procedibilità: la querela per il tentato furto era stata sporta dal figlio e collaboratore del titolare dell’esercizio commerciale, ritenuto privo della necessaria legittimazione. Secondo il ricorrente, tale diritto spetterebbe solo al proprietario dei beni o a chi ne abbia il “possesso penalistico”, inteso come un autonomo potere di gestione e custodia, non ravvisabile in un mero collaboratore familiare.

La critica al trattamento sanzionatorio

Il secondo motivo di ricorso censurava la determinazione della pena. La difesa lamentava che il Tribunale avesse fissato una pena base vicina al massimo edittale per il reato di minaccia aggravata, giustificandola con formule generiche come “l’estrema gravità delle minacce” e il “significativo valore dei beni sottratti”. Tale motivazione, oltre a essere carente, appariva contraddittoria rispetto al successivo riconoscimento, in appello, dell’attenuante del danno di speciale tenuità. La Corte d’Appello, nel confermare l’impianto sanzionatorio, non avrebbe sanato questo vizio motivazionale.

La decisione della Corte: una pena sproporzionata necessita di una motivazione rafforzata

La Suprema Corte ha giudicato inammissibile il primo motivo e fondato il secondo.

Sul punto della querela, i giudici hanno ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la nozione di “possesso” tutelata in sede penale è più ampia di quella civilistica. Essa include qualsiasi relazione di fatto con il bene che comporti un potere autonomo di custodia e gestione. Pertanto, anche un dipendente, un responsabile di reparto o, come nel caso di specie, un collaboratore che opera all’interno dell’esercizio commerciale, è titolare di una “detenzione qualificata” ed è legittimato a sporgere querela per difendere il patrimonio del datore di lavoro.

Al contrario, la Corte ha accolto pienamente le censure relative al trattamento sanzionatorio, riconoscendo l’esistenza di una pena sproporzionata a causa di un grave difetto di motivazione.

Le motivazioni

La Cassazione ha evidenziato che, in tema di determinazione della pena, il potere discrezionale del giudice non è assoluto ma deve essere esercitato nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 133 del codice penale e, soprattutto, deve essere sorretto da una motivazione adeguata. Questo onere motivazionale diventa tanto più stringente quanto più la pena si allontana dal minimo edittale. Nel caso di specie, la Corte territoriale si era limitata a un mero richiamo alla gravità delle frasi minacciose, senza analizzare il contesto, le modalità della condotta e la personalità dei soggetti coinvolti. Questo riferimento generico è stato ritenuto palesemente inadeguato a giustificare una pena così aspra, vicina al massimo previsto per il reato di minaccia aggravata. Un conto è collocare il fatto nella fattispecie aggravata, un altro è giustificare un allontanamento così marcato dal minimo e medio edittale. La mancanza di una motivazione specifica e puntuale ha reso la sanzione arbitraria e, di fatto, una pena sproporzionata.

Le conclusioni

Per effetto di questa decisione, la sentenza impugnata è stata annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio. Gli atti sono stati rinviati ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà procedere a una nuova determinazione della pena. Il nuovo giudice dovrà attenersi ai principi espressi dalla Cassazione, partendo dalla cornice edittale del reato più grave (la minaccia aggravata) e fornendo una motivazione congrua e dettagliata qualora intenda discostarsi sensibilmente dalla media edittale. Questa sentenza riafferma il principio di legalità e proporzionalità della pena, a garanzia dei diritti dell’imputato.

Un dipendente di un’attività commerciale può sporgere validamente querela per un furto avvenuto nel negozio?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che la legittimazione a proporre querela per il reato di furto non spetta solo al proprietario dei beni, ma anche a chiunque ne abbia una detenzione qualificata, come un dipendente che ha un potere autonomo di custodia e gestione della merce.

Cosa deve fare il giudice se intende applicare una pena molto superiore al minimo previsto dalla legge?
Il giudice ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica, dettagliata e rafforzata. Non sono sufficienti formule generiche o il mero richiamo alla gravità del reato, ma è necessario indicare gli elementi concreti (oggettivi e soggettivi) che giustificano un significativo scostamento dal minimo edittale.

Una pena è considerata ‘illegale’ se il giudice commette errori nei calcoli intermedi ma il risultato finale rientra nei limiti di legge?
No. Secondo la giurisprudenza citata, la pena non è ‘illegale’ se l’importo finale rientra nei limiti edittali generali previsti dalla legge per quel reato, anche se i passaggi intermedi del calcolo sono caratterizzati da errori. Tuttavia, la mancanza di motivazione sulla quantificazione può comunque portare all’annullamento della sentenza sul punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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