Pena Sostitutiva: Quando un Ricorso Generico Diventa Inammissibile
L’applicazione della pena sostitutiva rappresenta un importante strumento del nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato, evitando il carcere per reati di minore gravità. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione discrezionale del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6151/2024) offre un chiaro esempio di come un ricorso mal formulato possa precludere ogni possibilità di discussione, portando a una declaratoria di inammissibilità.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma. La difesa contestava la decisione dei giudici di secondo grado di non applicare una pena sostitutiva, come il lavoro di pubblica utilità o la detenzione domiciliare, richiesta ai sensi dell’art. 20-bis del codice penale. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non aveva motivato adeguatamente il suo diniego.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla Pena Sostitutiva
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Il fulcro della decisione non risiede tanto nel merito della concessione o meno della sanzione alternativa, quanto in un vizio procedurale fondamentale: la genericità assoluta del motivo di ricorso. I giudici di legittimità hanno osservato che l’atto di impugnazione non si confrontava in modo critico e specifico con le argomentazioni esposte nella sentenza impugnata.
Le Motivazioni: la Genericità del Ricorso e l’Insindacabilità del Merito
La Corte di Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse, in realtà, fornito una motivazione congrua e logicamente coerente. I giudici di merito avevano espresso un giudizio negativo sulla possibilità di rieducazione del condannato, basando la loro valutazione su due elementi chiave:
1. Un precedente penale specifico: L’esistenza di una precedente condanna per un reato della stessa natura indicava una tendenza a delinquere.
2. Le modalità dei fatti: Le circostanze concrete del reato commesso rafforzavano la percezione di un elevato pericolo di recidiva.
Di fronte a questa motivazione, il ricorso si era limitato a una contestazione generica, senza individuare vizi logici evidenti nel ragionamento del giudice d’appello. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: le valutazioni di merito, come quella sul pericolo di recidiva e sull’adeguatezza di una pena sostitutiva, sono di competenza esclusiva dei giudici dei primi due gradi di giudizio. La Corte di legittimità non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, a meno che quest’ultima non sia palesemente illogica o contraddittoria, cosa che non è stata riscontrata nel caso di specie.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che un ricorso per cassazione deve essere redatto con estrema precisione, attaccando punto per punto le argomentazioni della sentenza impugnata e dimostrando l’esistenza di specifici vizi di legittimità. Una critica vaga e generica è destinata all’insuccesso. La seconda è che la valutazione sulla personalità dell’imputato e sul rischio di recidiva, ai fini della concessione di benefici come le pene sostitutive, gode di un’ampia discrezionalità da parte del giudice di merito. Se tale valutazione è supportata da una motivazione logica e basata su elementi concreti, è molto difficile scalfirla in sede di legittimità. A seguito dell’inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il suo unico motivo è stato ritenuto affetto da “genericità assoluta”, in quanto non contestava in modo specifico la motivazione congrua e logica fornita dalla Corte d’Appello.
Quali erano le ragioni della Corte d’Appello per non applicare la pena sostitutiva?
La Corte d’Appello ha negato la pena sostitutiva esprimendo un giudizio negativo sulle prospettive di rieducazione del condannato, a causa del ravvisato pericolo di recidiva desunto da un precedente specifico e dalle modalità dei fatti.
Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della decisione?
In conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6151 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6151 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico dedotto dal ricorrente è affetto da genericità assoluta rispetto alla motivazione della Corte di appello di Roma che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, ha congruamente motivato in merito al trattamento sanzionatorio ed alle ragioni della mancata applicazione della pena sostitutiva richiesta ex art. 20-bis c.p., esprimendo un giudizio negativo sulle prospettive di emendabilità del condannato attraverso le pene sostitutive del lavoro di pubblica utilità o della detenzione domiciliare per il ravvisato pericolo di recidiva desunto dal precedente specifico e dalle modalità dei fatti, di conseguenza si tratta di valutazioni che non possono dirsi affette da evidenti vizi logici e quindi non sono suscettibili di una diversa ed autonoma rivalutazione in sede di legittimità;
rilevato che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/01/2024