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Pena sostitutiva: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati in materia di armi. L’imputato lamentava una pena eccessiva e la mancata applicazione di una pena sostitutiva. La Corte ha ritenuto i motivi generici, sottolineando che la determinazione della pena era ben motivata e che la richiesta di pena sostitutiva non era mai stata avanzata dall’imputato, il cui consenso è un requisito indispensabile.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena sostitutiva: il consenso è requisito essenziale

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui requisiti per l’accesso alla pena sostitutiva e sulla corretta formulazione dei motivi di ricorso. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, ribadendo principi fondamentali in materia di determinazione della pena e di procedura penale.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello di Torino, che aveva rideterminato la pena per un individuo in due anni, due mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 5.400,00 euro. Le accuse riguardavano reati gravi in materia di armi, tra cui la detenzione e il porto di una cosiddetta “bomba-carta”.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a un unico motivo articolato in due punti principali:
1. L’eccessività del trattamento sanzionatorio, a suo dire sproporzionato rispetto al suo comportamento collaborativo durante le misure cautelari.
2. La mancata applicazione di una pena sostitutiva alla detenzione, in violazione dell’art. 545-bis del codice di procedura penale.

L’analisi della Corte: la congruità della sanzione

La Cassazione ha respinto il primo punto del ricorso, relativo all’eccessività della pena, giudicandolo manifestamente infondato. La Corte territoriale, infatti, aveva adeguatamente motivato la sua decisione, valorizzando la “notevole capacità lesiva dell’ordigno” sia verso cose che persone. Questo ragionamento rientra pienamente nell’ambito della discrezionalità che la legge conferisce al giudice di merito nella determinazione della pena, come previsto dall’art. 133 del codice penale.
La Suprema Corte ha ricordato un principio consolidato: la valutazione del giudice sulla misura della pena è insindacabile in sede di legittimità, a condizione che sia supportata da una motivazione logica e non arbitraria, come avvenuto nel caso di specie.

Il diniego della pena sostitutiva: genericità e assenza di consenso

Ancora più netto è stato il giudizio sul secondo punto del ricorso, riguardante la pena sostitutiva. La Corte lo ha dichiarato inammissibile per genericità, evidenziando due lacune fondamentali da parte del ricorrente.
In primo luogo, la Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione adeguata per escludere le condizioni di applicabilità di tale misura. In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, mancava un presupposto imprescindibile: la richiesta e il consenso dell’imputato. La Cassazione ha sottolineato come non vi fosse stata “qualsivoglia sollecitazione da parte di Torelli, presente in aula”, per l’applicazione di una pena sostitutiva. Tale applicazione è, per legge, subordinata all'”imprescindibile consenso alla sostituzione della sanzione detentiva irrogata”.

Le motivazioni della decisione della Cassazione

Le motivazioni alla base della dichiarazione di inammissibilità sono chiare e lineari. La Corte ha ritenuto i motivi del ricorso come meramente “riproduttivi di doglianze già adeguatamente valutate dalla Corte territoriale” e, in ogni caso, aspecifici. Non basta lamentare una pena troppo alta o una mancata concessione di un beneficio; è necessario contestare specificamente le ragioni giuridiche e fattuali esposte nella sentenza impugnata, dimostrando l’illogicità o l’erroneità del ragionamento del giudice.
Nel caso specifico della pena sostitutiva, l’inerzia processuale del ricorrente si è rivelata fatale. Non avendo mai manifestato la volontà di accedere a una misura alternativa alla detenzione, non poteva lamentarne la mancata applicazione in sede di legittimità.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa ordinanza ribadisce l’importanza della diligenza processuale e della specificità dei motivi di ricorso. Chi intende impugnare una sentenza deve formulare censure precise e pertinenti, non limitandosi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito. Inoltre, il provvedimento sottolinea la natura consensuale delle pene sostitutive: senza una chiara e tempestiva manifestazione di volontà da parte dell’imputato, il giudice non solo non è tenuto a concederle, ma non può neppure farlo. Per gli operatori del diritto, è un monito a consigliare sempre ai propri assistiti di avanzare esplicitamente ogni richiesta utile già durante il giudizio di merito, per non precludersi future possibilità in sede di impugnazione.

Quando un ricorso in Cassazione rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici, si limitano a riproporre questioni già valutate dal giudice precedente senza criticare specificamente la motivazione della sentenza impugnata, oppure quando mancano i presupposti procedurali previsti dalla legge.

È possibile ottenere una pena sostitutiva senza averla richiesta?
No. L’ordinanza chiarisce che l’applicazione di una pena sostitutiva è subordinata a un presupposto imprescindibile: il consenso dell’imputato. In assenza di una sollecitazione o di un consenso esplicito, il giudice non può disporla.

Fino a che punto il giudice può decidere l’entità della pena?
Il giudice del merito esercita un potere discrezionale nella determinazione della pena, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.). Questa valutazione è insindacabile in Cassazione, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, contraddittoria o arbitraria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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