Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31670 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31670 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nata a AUGSBURG (GERMANIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a TARANTO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a MANDURIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE – SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
COGNOME, che ha concluso:
quanto ai ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità;
quanto al ricorso proposto da COGNOME NOME, chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento gravato, limitatamente al trattamento sanzioNOMErio sul punto della sostituzione della pena detentiva, e l’inammissibilità nel resto;
Dato atto che è intervenuta rinuncia alla trattazione orale e i difensori degli imputati non sono presenti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 settembre 2023, la Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – ha parzialmente riformato la sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Taranto nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e di altri imputati la cui posizione non rileva In questa sede.
NOME COGNOME e suo figlio, NOME COGNOME, sono stati ritenuti responsabili di continuate violazioni degli artt. 110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. La Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen. in relazione ai fatti del 10 luglio 2020 per i quali COGNOME e COGNOME erano stati già condannati con sentenza definitiva . La pena per i residui reati è stata determinata: per la COGNOME, in anni cinque, mesi sei, giorni venti di reclusione ed C 20.400,00 di multa (ritenuta la continuazione tra i reati oggetto dell’affermazione di penale responsabilità e quelli di cui all sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Taranto il 30 ottobre 2020, confermata dalla Corte di appello con sentenza del 10 marzo 2021, divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2022); per COGNOME, in anni cinque, mesi otto di reclusione ed C 21.000,00 di multa (ritenuta la continuazione tra i reati oggetto della affermazione della penale responsabilità e quelli di cui alla sentenza citata, irrevocabile il 13 gennaio 2022).
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di continuate violazioni degli artt. 110 cod. pen. e 73 commi 1 e 4 d.P.R. n. 309/90 commesse sino al 10 luglio 2020 . La Corte di appello ha preso atto che l’imputato aveva rinunciato ai motivi di appello riguardanti l’affermazione della penale responsabilità e la qualificazione giuridica del fatto e ha ritenuto che il motivo di ricorso riguardante il trattamento sanzioNOMErio meritasse parziale accoglimento. Ha pertanto ridetermiNOME la pena base in anni sei di reclusione ed C 26.000,00 di multa (a fronte della pena di anni otto di reclusione ed C 27.000 di multa i , inflitta in primo grado). Questa pena è stata ridotta ad anni quattro di reclusione ed C 18.000,00 di multa per effetto delle attenuanti generiche (già riconosciute dal G.u.p.); è stata aumentata ad anni quattro, mesi tre di reclusione ed C 18.600,00 di multa per la continuazione ed è stata ridotta, per la scelta del rito abbreviato, alla pena finale di anni due, mesi dieci di reclusione ed C 12.400,00 di multa.
Contro la sentenza della Corte di appello, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto tempestivo ricorso per mezzo dei
rispettivi difensori cui hanno conferito mandato ai sensi dell’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in due motivi.
3.1. Col primo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti che – in tesi difensiva avrebbero dovuto essere ricondotti entro l’ambito operativo della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90. La difesa rileva che, nel caso di specie, la penale responsabilità è stata affermata sulla base di conversazioni telefoniche, sicché la quantità della sostanza ceduta non è nota e, sulla base del principio del favor rei, ciò avrebbe dovuto comportare l’applicazione della fattispecie incriminatrice prevista dal citato art. 73, comma 5. Rileva, inoltre, che gli unic sequestri eseguiti, sono quelli che portarono all’arresto del 10 luglio 2020 (fatti a quali si riferisce la precedente condanna definitiva) e si tratta, di quantità non elevate di sostanza.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione riguardo alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio. Si duole, in particolare, che non siano state ritenute applicabili le attenuanti generiche ancorché l’unica precedente condanna che l’imputata ha riportato (sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Taranto il 30 ottobre 2020, confermata dalla Corte di appello di Taranto con sentenza del 10 marzo 2021, divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2022) si riferisca ad un reato che è stato ritenuto unito dal vincolo della continuazione a quelli per i quali, nel presente giudizio, è stata pronunciata condanna. Secondo la difesa, il riconoscimento del vincolo della continuazione rispetto ai fatti oggetto della precedente condanna avrebbe imposto di tenere conto, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, della incensuratezza della COGNOME e del corretto comportamento processuale da lei tenuto, ma la Corte territoriale si è limitata a rilevare che la richiesta di applicazione del benefic formulata nei motivi di appello, non era stata motivata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola anch’esso in due motivi.
4.1. Col primo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stati qualificati i fatti ascritti all’imputato qu violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90. Sviluppa a tal fine argomentazioni identiche a quelle illustrate con riferimento al primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
4.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere state applicate le attenuanti generiche. Anche in questo caso, fatto salvo il riferimento alla giovane età dell’imputato, le
argomentazioni sviluppate sono sovrapponibili a quelle contenute nel secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi.
5.1. Col primo motivo la difesa deduce vizi di motivazione per non essere stata data risposta alla richiesta, formulata nell’atto di appello, di applicare la pen sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Il difensore del ricorrente osserva che, c terzo motivo di appello (l’unico al quale COGNOME non ha rinunciato) non era stata chiesta soltanto una riduzione della pena; si era anche chiesto che la pena detentiva, se contenuta entro il limite dei tre anni di reclusione, fosse sostituit col lavoro di pubblica utilità. Una richiesta che la Corte territoriale non ha accolto pur avendo determiNOME la pena in anni due, mesi dieci di reclusione ed C 12.400,00 di multa, senza spiegare le ragioni del diniego.
5.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione quanto alla determinazione della pena. Si duole che la Corte territoriale non abbia spiegato le ragioni per le quali ha valutato congrua la pena inflitta e gli aumenti operati a titol di continuazione.
Su istanza del difensore di NOME COGNOME (che in seguito ha rinunciato alla richiesta) 1 è stata disposta la trattazione orale ai sensi degli artt. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137 e successive modificazioni. All’odierna udienza, il Procuratore generale ha concluso richiamandosi alla memoria scritta depositata il 16 giugno 2024 e ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alla sostituzione della pena detentiva e il rigetto del ricorso nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso formulati nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME non superano il vaglio di ammissibilità. È fondato, invece, il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME. Questo ricorso, tuttavia, deve essere rigettato nel resto.
Col primo motivo dei rispettivi ricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME si dolgono che i fatti loro ascritti non siano stati qualificati come violazio dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
Il motivo non era stato proposto negli atti di appello. In quella sede, infatti COGNOME e COGNOME si erano limitati a chiedere: l’applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen.; il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente giudizio e quelli giudicati con altra sentenza definitiva; la concessione delle attenuanti generiche e il contenimento della pena. Si deve ricordare allora che, come emerge dal combiNOME disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in sede di gravame. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, tale regola trova la propria ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (fra le tante: Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316).
Per quanto esposto, la richiesta di procedere ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, proposta per la prima volta in sede di ricorso per Cassazione, è inammissibile.
Col secondo motivo dei rispettivi ricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME si dolgono della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Secondo i difensori dei ricorrenti, i giudici di appello avrebbero dovuto tenere conto che entrambi gli imputati erano incensurati ) atteso che l’unica condanna riportata si riferiva a fatti ritenuti uniti a quelli per cui si procede dal vincolo continuazione.
Come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 41), la scelta di non applicare le attenuanti generiche né alla COGNOME né a COGNOME fu motivata osservando: che questi imputati avevano assunto «nell’illecita attività loro contestata un ruolo di primo piano, dotandosi di una ancorché rudimentale organizzazione»; che avevano adibito il proprio domicilio «a luogo di preparazione e confezionamento delle sostanze stupefacenti»; che «fornivano le direttive ai collaboratori». La Corte di appello ha condiviso tali argomentazioni sottolineando, per entrambi gli imputati, che l’attività di spaccio era «ben organizzata», coinvolse più persone, e consentì «la commercializzazione di quantitativi non modesti di sostanze». Ha rilevato, poi: quanto alla COGNOME, che la difesa non ha spiegato per quali ragioni le invocate attenuanti dovrebbero essere concesse; quanto a COGNOME, che egli ha riportato una condanna per violazione della legge in materia
di stupefacenti commessa il 26 marzo 2021 e la giovane età non è significativa, atteso che, al momento dei fatti per cui si procede, aveva ventiquattro anni.
La motivazione è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e dunque resiste ai rilievi dei ricorrenti. A questo proposito basta ricorda che, per giurisprudenza costante, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; Lule, Rv. 259899).
4. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere esamiNOME per primo perché riguarda l’entità della pena inflitta. Il motivo non merita accoglimento. Basta in proposito osservare che la pena base è stata determinata nella misura di anni sei di reclusione ed C 26.000 di multa, pari al minimo edittale previsto dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90 e questa pena è stata ulteriormente ridotta ad anni quattro di reclusione ed C 18.000 di multa per effetto delle attenuanti generiche (già applicate dal giudice di primo grado). L’aumento per continuazione è stato operato poi nella misura di mesi tre di reclusione ed C 600,00 di multa e si tratta all’evidenza di un aumento minimo. Come risulta dalla sentenza di primo grado, infatti (pag. 9 e ss.), COGNOME è stato coinvolto, come venditore al dettaglio, nelle attività di spaccio gestite da COGNOME e COGNOME, ha collaborato stabilmente con loro e ha contribuito alla vendita di più dosi di stupefacente al giorno fino al luglio del 2020 ma a partire almeno dal mese di dicembre del 2019.
5. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, è fondato. La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, sulla base della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla richiesta di applicazione delle pene sostitutive previste dall’art. 20 bis cod. pen., se l’imputato ha formulato richiesta in tal senso. Si è ritenuto, inoltre, che tale richiesta, ancorché no contenuta nell’atto di gravame o nei motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., possa intervenire fino all’udienza di discussione dell’appello (in tal senso, da ultimo, Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751; Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017). Nel caso di specie, come emerge anche dalla lettura della sentenza impugnata, COGNOME aveva chiesto col terzo
motivo di ricorso (l’unico al quale non ha rinunciato), che la pena inflitta in primo grado fosse ridotta e che la pena detentiva, se contenuta nel limite dei tre anni di reclusione, fosse sostituita col lavoro di pubblica utilità. Ne consegue che, avendo determiNOME la pena finale in anni due, mesi dieci di reclusione ed C 12.400 di multa, la Corte di appello avrebbe dovuto pronunciarsi su tale richiesta che è stata invece disattesa senza motivazione alcuna.
6. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto alla posizione di NOME COGNOME, limitatamente alla questione relativa alla possibilità di applicare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di all’art. 20 bis cod. pen. Nel resto, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere respinto e ciò comporta l’irrevocabilità dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
All’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME, consegue la loro condanna al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che questi ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico di ciascuno di loro, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente alla questione relativa alla concedibilità della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ex art. 20 bis cod. pen., e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Dichiara l’irrevocabilità della declaratoria di responsabilità del COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 luglio 2024
re estensore