Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25751 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25751 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pistoia il 4/10/1983
avverso la sentenza del 30/1/2024 della Corte di appello di Firenze
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata con riguardo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 339 cod. pen. e di rigettare nel resto il ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 gennaio 2024 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia emessa nei confronti di NOME COGNOME e NOME
COGNOME il 10 febbraio 2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo a) dell’imputazione, riqualificato ai sensi degli artt. 56, 624 e 625 n. 7 cod. pen., per essere estinto per intervenuta condotta riparatoria, e ha rideterminato la pena in relazione al reato di cui al capo b) in quella di anni due di reclusione, previa riduzione per la scelta del rito abbreviato.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 e 339 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale applicato l’aggravante di cui all’art. 339 cod. pen. unicamente sulla base della mera compresenza fisica dei due soggetti sul luogo dei fatti, in difetto di una puntuale e approfondita indagine in ordine al contributo eventualmente apportato dalla condotta degli stessi e senza vagliare l’effettiva sussistenza di una maggiore forza intimidatoria e/o una minorata possibilità di difesa della persona offesa dal reato.
2.2. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 61 n. 2 cod. pen. nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per non avere la Corte di appello motivato sulla sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico, essendosi limitata ad affermare la non condivisibilità della tesi prospettata nel motivo di gravame, senza spiegare per quale ragione.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. nonché vizi della motivazione per essere stata applicata una pena avulsa dalle censure del gravame e dagli atti di indagine. La pena applicata, pari ad anni tre di reclusione, a fronte del minimo edittale di sei mesi di reclusione, sarebbe eccessiva e non proporzionata rispetto ai fatti contestati, essendosi trattato di un breve inseguimento, durato poche centinaia di metri, che non aveva messo in pericolo la vita di alcuno. Come dedotto anche con i motivi di appello, sarebbero stati trascurati la condotta processuale dell’imputato, la piena confessione, la sostanziale tenuità dei fatti, l’assenza di lesioni fisiche e di danneggiamenti alle vetture delle Forze dell’ordine e di altri mezzi.
2.4. Inosservanza o erronea applicazione di legge nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per la mancata concessione delle pene sostitutive. La Corte territoriale ha ritenuto che i precedenti penali a carico dell’imputato fossero ostativi e che alcun effetto deterrente avesse sortito in passato la concessione dei benefici di legge. In tal modo avrebbe dimenticato che proprio la non concedibilità dei predetti benefici è condizione e presupposto per l’applicazione delle pene sostitutive e che
l’imputato non ha precedenti specifici, svolge attività lavorativa e difettano elementi ostativi previsti dalla normativa vigente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini e limiti che seguono.
2. Il primo motivo è infondato.
Secondo la ricostruzione dei fatti, operata in modo conforme nelle sentenze di merito, entrambi gli imputati erano presenti nel luogo e al momento della resistenza.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, la circostanza aggravante delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando, invece, che la partecipazione di più persone sia percepita dal pubblico ufficiale al momento della consumazione del reato (Sez. 5, n. 7337 del 12/12/2018, dep. 2019, S., Rv. 275551 – 01).
Né, ai fini dell’applicazione dell’aggravante in parola, rileva il contributo dato da ciascun concorrente nell’esplicazione dell’azione materiale. In tema di resistenza a pubblico ufficiale, perché ricorra la circostanza aggravante della minaccia o violenza commessa da più persone riunite, è sufficiente che il reato sia commesso da due persone (Sez. 3, n. 23927 del 16/02/2021, COGNOME, Rv. 281599 – 02; Sez. 6, n. 1872 del 29/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242639 – 01).
Nel caso in esame, è, dunque, corretta l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 339 cod. pen., non rilevando né il contributo dato da ciascuno dei due concorrenti né che la persona offesa avesse o meno percepito la presenza di più soggetti, poiché la ratio dell’aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, quanto piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone sul luogo del delitto e nell’esecuzione dello stesso.
Anche il secondo motivo, relativo all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., è infondato.
Con l’atto di appello si era dedotto che «gli imputati non avevano portato a compimento l’azione furtiva per il mero sopraggiungere di altre persone, senza avere la minima percezione di eventuali rischi nei loro confronti, di talché era da
escludere che la condotta di resistenza fosse stata posta in essere al fine di assicurarsi di impunità per il tentativo di furto».
La Corte di appello ha motivatamente disatteso tale versione, così adempiendo all’obbligo di dare risposta ai motivi di gravame.
D’altra parte, deve rilevarsi che dalla stessa ricostruzione dei fatti effettuata nelle sentenze di merito, in cui si dà atto che la resistenza era stata effettuata dopo il tentativo di furto, risulta di tutta evidenza che il secondo reato commesso era finalizzato a guadagnarsi l’impunità per il tentato furto in precedenza realizzato.
Il terzo motivo, relativo alla determinazione della pena per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., è fondato.
La Corte di appello, infatti, ha confermato la pena di anni tre di reclusione, inflitta dal Giudice di primo grado, avendo rimarcato che «i due imputati si erano dati alla fuga per sottrarsi all’alt intimato dalle forze dell’ordine, alla guida un’autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l’incolumità personale degli altri utenti della strada: circostanze, queste, rispetto alle quali del tutto proporzionata è da ritenersi la pena base».
Così argomentando, però, il Collegio territoriale, per un verso, non ha illustrato le circostanze in base alle quali la condotta dovesse ritenersi pericolosa, benché sollecitata in tal senso con l’atto di gravame, ove, per l’appunto, si era affermato che «l’imputato non aveva posto in essere una fuga da film con sorpassi a folle velocità, tali da mettere in pericolo l’altrui incolumità, e si er fermato a poche centinaia di metri dal luogo ove inizialmente era posizionata la volante dei carabinieri»; per altro verso, non ha spiegato le ragioni per cui gli altri elementi evidenziati dall’appellante, tra cui la confessione, fossero recessivi rispetto alla ritenuta pericolosità della condotta.
Eppure, a fronte di un motivo di appello specifico e di una pena superiore di gran lunga al minimo edittale incombeva in capo al menzionato Collegio un onere motivazionale pregnante.
Questa Corte regolatrice ha più volte affermato che nell’esercizio del potere discrezionale il giudice, nella determinazione della pena, deve pur sempre far riferimento ai criteri soggettivi e oggettivi di cui all’art. 133 cod. pen., della cu applicazione è necessario dare congrua e specifica giustificazione nei casi come il presente – nei quali si proceda ad una irrogazione della pena in misura pari o superiore al medio edittale (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01; Sez. 3 n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153 – 01).
Ciò in ossequio al principio di proporzione della pena rispetto alla gravità del fatto accertato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi: principio affermato dalla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 49, comma 3, e richiamato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 341 del 1994).
5. Anche l’ultimo motivo è fondato.
La Corte di appello ha affermato che «la pena irrogata non è sostituibile, considerati i precedenti penali a carico del prevenuto, sul quale neppure la concessione dei benefici di legge ha avuto un effetto deterrente».
Va premesso che l’art. 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689, anche dopo le modifiche apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, è rimasto invariato nella parte in cui «dispone che il giudice può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non siano adempiute dal condannato».
La sentenza impugnata, però, nel limitarsi a richiamare i precedenti penali dell’imputato, in primo luogo, non ha chiarito se essi deponessero negativamente ai fini della prognosi relativa alla rieducazione dell’imputato o al rispetto delle prescrizioni; in secondo luogo, nel menzionare genericamente i precedenti penali, senza alcuna indicazione della loro natura e del tempo di commissione, non ha reso comprensibili le ragioni della conclusione assunta.
Il Collegio di appello, quindi, non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui, in tema di sostituzione di pene detentive brevi, ai fini della prognosi negativa di cui all’art. 58 L. n. 689/1981, è necessario che il giudice di merito non si limiti a indicare il fattore a cui abbia attribui valenza ostativa alla sostituzione, ma correli tale elemento al contenuto della specifica sanzione sostitutiva invocata o, comunque, presa in considerazione in sentenza, fornendo adeguata motivazione in ordine alla sua negativa incidenza sull’adempimento delle prescrizioni che a essa ineriscono (Sez. 6, n. 40433 del 19/09/2023, Diagne, Rv. 285295 – 01).
L’obbligo di una adeguata motivazione nei sensi suddetti si pone con tutta evidenza anche con riguardo alla negativa incidenza del fattore evidenziato rispetto alla finalità rieducatrice della pena sostitutiva, che costituisce, al pari dell’osservanza delle prescrizioni, elemento richiamato dall’art. 58 cit. quale oggetto della valutazione prognostica del giudice di merito.
Ne discende che la motivazione con cui la Corte territoriale ha negato la concessione delle pene sostitutive è viziata.
6. Alla luce di quanto precede va disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e alla mancata
sostituzione della pena detentiva, con rinvio per nuovo giudizio su tali punt altra Sezione della Corte di appello di Firenze. Il ricorso va rigettato nel rest
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello
Firenze. Rigetta nel resto.
Così deciso il 22 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente