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Pena sostitutiva: no se c’è rischio di recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato per usura contro il diniego della pena sostitutiva della detenzione domiciliare. La decisione si fonda sulla valutazione della pericolosità sociale del soggetto, desunta dai numerosi e gravi precedenti specifici, che rendono la misura alternativa inadeguata a prevenire il rischio di recidiva.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Sostitutiva e Pericolosità Sociale: Quando il Carcere Resta l’Unica Via

L’introduzione di pene alternative alla detenzione rappresenta un pilastro della moderna giustizia penale, mirando alla rieducazione del condannato. Tuttavia, la concessione di una pena sostitutiva non è un diritto automatico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la valutazione dell’affidabilità del soggetto e del rischio di recidiva rimane un criterio fondamentale e insindacabile. Il caso riguarda un uomo condannato per usura, la cui richiesta di detenzione domiciliare è stata respinta a causa dei suoi numerosi e gravi precedenti penali, che delineavano un profilo di elevata pericolosità sociale.

I Fatti del Caso: Una Condanna per Usura e la Richiesta di Misure Alternative

Un individuo, condannato in via definitiva a tre anni di reclusione per il reato di usura, presentava istanza per ottenere la pena sostitutiva della detenzione domiciliare, ai sensi della recente normativa introdotta dal d.lgs. n. 150/2022. Il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la domanda. La motivazione del diniego era chiara: il condannato era gravato da numerosi e gravi precedenti penali, anche specifici, che non permettevano di formulare un giudizio prognostico favorevole circa la sua capacità di astenersi dal commettere nuovi reati. Inoltre, il giudice evidenziava l’assenza di adeguata documentazione sulle sue fonti di reddito.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro la decisione del Tribunale, il condannato proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Erronea applicazione della legge e vizio di motivazione: Secondo la difesa, il diniego era basato su una presunta ‘insufficienza’ della documentazione. Si lamentava il mancato esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice, che avrebbe dovuto disporre accertamenti tramite l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE).
2. Violazione delle norme sulla pena sostitutiva: La difesa sosteneva che la motivazione del Tribunale fosse una mera ‘formula di stile’ e che violasse lo spirito della riforma del 2022, il cui intento è quello di favorire la risocializzazione evitando il carcere, soprattutto per fatti risalenti nel tempo.

Le Motivazioni della Cassazione: la valutazione della pena sostitutiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale con motivazioni nette e precise. I giudici supremi hanno chiarito che la ratio decidendi, ovvero il nucleo centrale della decisione impugnata, non era la carenza documentale, bensì la valutazione negativa sull’idoneità del condannato a beneficiare della misura. La Corte ha sottolineato che la valutazione sulla cosiddetta ‘inadeguatezza’ della misura proposta rende irrilevante la mancata attivazione dei poteri istruttori. In altre parole, quando il profilo di pericolosità sociale del soggetto emerge chiaramente dagli atti, in particolare dai precedenti penali, il giudice non è tenuto a svolgere ulteriori indagini.

Il potere discrezionale del giudice, disciplinato dall’art. 58 della legge n. 689/1981, impone di valutare l’«idoneità» della pena sostitutiva a favorire la rieducazione e, soprattutto, a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati. Questo si traduce in un giudizio di «affidabilità» del destinatario. Nel caso di specie, i plurimi precedenti per fatti analoghi costituivano un fondamento solido e concreto per ritenere il soggetto socialmente pericoloso e inaffidabile, giustificando pienamente la decisione di mantenere la detenzione in carcere. Il richiamo a questi precedenti non è, quindi, una ‘formula di stile’, ma un’analisi fattuale che rientra pienamente nei limiti della legittimità.

Conclusioni: Il Principio Affermato dalla Corte

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’accesso alle pene sostitutive non è un automatismo derivante dalla sola entità della pena inflitta. È subordinato a una valutazione discrezionale del giudice, che deve formulare una prognosi favorevole sulla capacità del condannato di autocontrollarsi e di non commettere nuovi reati. Un profilo criminale consolidato, caratterizzato da recidiva specifica, costituisce una condizione ostativa che legittima il diniego della misura alternativa. La necessità di prevenzione speciale e di contenimento della pericolosità sociale prevale, in tali circostanze, sull’opportunità di risocializzazione al di fuori del carcere.

La richiesta di una pena sostitutiva, come la detenzione domiciliare, può essere respinta a causa dei precedenti penali?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la presenza di numerosi e gravi precedenti penali, specialmente se specifici per reati analoghi, è un elemento decisivo. Indica una pericolosità sociale e un alto rischio di recidiva che rendono la pena sostitutiva inadeguata a garantire le esigenze di prevenzione.

Il giudice è obbligato a disporre un’indagine tramite l’UEPE prima di decidere su una pena sostitutiva?
No, non è obbligato. Se il giudice ritiene che, sulla base degli atti disponibili (come i precedenti penali), il soggetto sia palesemente inidoneo alla misura, può respingere la richiesta senza ulteriori indagini. L’attivazione dei poteri istruttori è superflua quando la decisione si fonda sulla valutazione negativa dell’affidabilità del condannato.

Qual è il criterio principale che il giudice deve seguire per concedere una pena sostitutiva?
Il criterio principale, secondo l’art. 58 della legge n. 689/1981 richiamato dalla Corte, è l’«idoneità» della pena sostitutiva a realizzare le condizioni per la rieducazione del condannato e a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati. Ciò implica una valutazione sull’«affidabilità» della persona, che deve essere positiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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