Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33983 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33983 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari nel procedimento a carico di: COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Bari del 16.1.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 16.1.2024, la Corte d’Appello di Bari dichiarava inammissibile la richiesta della Procura Generale della Repubblica di Bari di dichiarare l’ineseguibilità della detenzione domiciliare sostitutiva, disposta nei confronti di NOME COGNOME dalla Corte d’Appello di Bari con sentenza dell’8.6.2023 (irrevocabile 1’8.11.2023).
La declaratoria di inammissibilità della richiesta veniva pronunciata ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., in quanto – si sosteneva – il procuratore AVV_NOTAIO avrebbe dovuto proporre tempestivo ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva applicato la sanzione sostitutiva ritenuta ineseguibile; in difetto del ricorso, dunque, non era possibile intervenire sulla decisione di merito divenuta irrevocabile e modificare il giudicato.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari, articolando un unico motivo ai sensi dell’art. 606 lett. b), con il quale ha dedotto la violazione degli artt. 4 Ord. Pen. e 59 legge n. 689 del 1981.
Il ricorrente premette che la Corte d’Appello di Bari con sentenza in data 8.6.2023 di condanna dell’imputato alla pena di quattro anni di reclusione per i delitti di cui agli artt. 609 bis commi 1 e 2 e duodecies, 600 ter, 56/609 bis comma 2 n. 2, 609 ter n. 5, 494 cod. pen., ha sostituito la pena della reclusione con la detenzione domiciliare da porsi in esecuzione al passaggio in giudicato dal magistrato di sorveglianza.
Lamenta, tuttavia, che la pena sia ineseguibile, in quanto l’imputato si trova in regime di arresti domiciliari dal 4.11.2021 e, dunque, non ha espiato il quantum di pena irrogata (tre anni e sei mesi) per i reati ostativi alla emissione del provvedimento ex art. 661 cod. proc. pen. in virtù del combinato disposto degli artt. 4 bis Ord. Pen. e 59 legge 689 del 1981. Per questo motivo, era stato chiesto alla Corte d’Appello di Bari, in funzione di giudice dell’esecuzione, di dichiarare ineseguibile la pena sostitutiva.
Pertanto, propone ricorso avverso il rigetto della predetta richiesta, in quanto si tratta di una pena illegale, derivante da palese errore giuridico e disposta fuori dal sistema sanzionatorio, in quanto non prevista dall’ordinamento e, pertanto, inapplicabile in concreto: come tale, dunque, era deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, che erroneamente l’ha dichiarata inammissibile.
Con requisitoria scritta in data 12/3/2024, il AVV_NOTAIO Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso fosse respinto.
Con memoria trasmessa in data 2/5/2024, il difensore di COGNOME ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o, in via subordinata, il rigetto d ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari ha lamentato che sia stata applicata una pena illegale e ha chiesto l’intervento del giudice dell’esecuzione.
Sotto questo profilo, deve escludersi, in primo luogo, che quella disposta nei confronti di NOME COGNOME fosse una pena illegale, tale dovendosi considerare solo quella che non sia prevista dall’ordinamento, ovvero sia superiore o inferiore ai limiti edittali previsti dalla legge o sia più grave genere e specie di quella individuata dal legislatore (Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689-01).
Non si tratta del caso di specie, giacché – secondo quanto prospettato dallo stesso ricorrente – non si è in presenza di una pena inflitta extra o contra legem, ma di un trattamento sanzionatorio erroneo che risulterebbe il frutto di un vizio del percorso argomentativo attraverso il quale il giudice giunge alla conclusiva determinazione della pena.
Se è così, trova attuazione il principio secondo cui ogni altra violazione delle regole da applicare per la definizione della pena da infliggere, che non trasmodi nell’irrogazione di una pena non prevista dall’ordinamento giuridico o eccedente per specie e quantità il limite legale, dà luogo ad una pena che è illegittima (Sez. U., n. 47182 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283818-01) anziché illegale.
In ogni caso, pena illegale è categoria che la giurisprudenza utilizza con esclusivo riferimento ai casi in cui la sanzione applicata dal giudice sia di specie più grave di quella prevista dalla norma incriminatrice o superiore ai limiti edittal indicati dalla stessa (Sez. U., n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280539-01; Sez. U., n. 33040 del 26/2/2015, COGNOME, Rv. 264207-01).
Il caso opposto trova soluzione nel divieto di reformatio in peius, sicché la pena sostitutiva applicata per eccesso in bonam partem illegale o illegittima che sia – può essere eventualmente emendata solo per il tramite dell’impugnazione del pubblico ministero in sede di cognizione.
La Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che, in tema di sanzioni sostitutive della pena detentiva, la misura applicata fuori dai casi consentiti dalla legge può essere revocata esclusivamente per effetto dell’impugnazione della sentenza, configurando un errore di giudizio la cui emenda in sede esecutiva comporterebbe un’inammissibile modifica del contenuto sostanziale della decisione, a danno del condannato e in violazione dell’intangibilità del giudicato (Sez. 1, n. 20593 del 9/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284538 – 01).
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In coerenza con tale impostazione, peraltro, s’è ritenuto che, in tema di determinazione della pena, ove il giudice abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di legge ma in senso favorevole all’imputato, si realizza un errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non può porre riparo in quanto la possibilità di correggere in sede di legittimità l’illegalità della pena, nella specie o nella quantità, è limi all’ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a danno dell’imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della reformatio in peius (Sez. 3, n. 30286 del 9/3/2022, COGNOME, Rv. 283650 – 02).
Pertanto, il vizio lamentato con il ricorso in trattazione avrebbe dovuto essere fatto valere in sede di cognizione, restando preclusa in sede di esecuzione – per i motivi sopra indicati con riferimento al caso di specie – la possibilità intervenire sul giudicato favorevole al condannato.
Ne consegue che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile ex artt. 606, comma 3, e 615, comma 2, cod. proc. pen., in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.
Trattandosi di ricorso proposto dalla parte pubblica, la declaratoria di inammissibilità non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 10.5.2024