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Pena sostitutiva: i criteri di valutazione del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un provvedimento che negava la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Il diniego era basato su una motivazione generica, secondo cui il reato commesso dimostrava l’incapacità del condannato di rispettare le regole. La Suprema Corte ha stabilito che tale motivazione è inesistente, poiché il giudice deve condurre una valutazione complessa e specifica sull’idoneità della pena sostitutiva a favorire la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, come previsto dalla legge.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena sostitutiva: non basta un ‘no’ generico del giudice

Con la sentenza n. 21159 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione penale: la decisione di negare una pena sostitutiva deve essere supportata da una motivazione concreta e approfondita. Un rigetto basato su formule generiche e astratte è illegittimo. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti sui criteri che il giudice deve seguire per valutare l’idoneità di misure alternative al carcere, come il lavoro di pubblica utilità.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato a una pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, presentava istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere l’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Questa richiesta si fondava sulle recenti disposizioni normative introdotte per favorire percorsi di recupero alternativi alla detenzione.

Tuttavia, il Tribunale rigettava la richiesta. La motivazione del diniego era estremamente sintetica: secondo il giudice, il reato per cui era intervenuta la condanna era “all’evidenza indicativo della incapacità del prevenuto a osservare le prescrizioni imposte dall’autorità”. Nessun altro elemento di valutazione veniva esplicitato nel provvedimento.

Il Ricorso in Cassazione: i motivi della difesa

Il difensore del condannato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali del provvedimento impugnato:

1. Vizio di motivazione: La difesa sosteneva che la decisione del Tribunale fosse priva di una reale motivazione, in quanto non faceva alcun riferimento ai criteri legali specifici (come quelli previsti dall’art. 58 della L. 689/1981 e dall’art. 133 del codice penale) che il giudice è tenuto a considerare. Il rigetto si basava su una mera affermazione apodittica.
2. Violazione di legge: Si evidenziava che l’interpretazione della norma da parte del Tribunale era errata. La legge richiede al giudice di valutare il rischio di reiterazione del reato e l’adesione del condannato a prescrizioni finalizzate a prevenire tale rischio, non una generica e astratta incapacità di rispettare le regole.

Le Motivazioni della Cassazione: il principio di diritto sulla pena sostitutiva

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le doglianze della difesa e annullando con rinvio il provvedimento. La Suprema Corte ha chiarito che la valutazione sull’opportunità di concedere una pena sostitutiva deve essere complessa e orientata alla finalità rieducativa della pena.

Il giudice non può limitarsi a indicare un singolo fattore ostativo, ma deve correlarlo specificamente al contenuto della sanzione richiesta e fornire un’adeguata motivazione. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale è stata definita “nella sostanza inesistente”.

Il primo comma dell’art. 58 della L. 689/1981, anche nella sua versione aggiornata, prevede espressamente che la valutazione del giudice debba partire dall’idoneità della pena sostitutiva alla rieducazione del condannato. Questo obiettivo può essere garantito anche attraverso l’imposizione di “opportune prescrizioni” per prevenire il pericolo di commissione di nuovi reati.

Il giudice dell’esecuzione, pertanto, deve:
– Condurre una valutazione complessiva e specifica.
– Verificare la capacità della pena sostitutiva di contribuire concretamente alla rieducazione e al recupero sociale del condannato.
– Non fermarsi a considerazioni generiche, ma indicare con precisione perché, nel caso specifico, la misura alternativa non sarebbe idonea.
– Non indicare nemmeno il reato commesso, limitandosi ad affermare che il condannato non sarebbe capace di rispettare non meglio specificate prescrizioni, equivale a una motivazione assente.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza la tutela del condannato e il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. I giudici non possono ricorrere a clausole di stile o a motivazioni generiche per negare l’accesso a pene alternative al carcere. La decisione deve essere il risultato di un’analisi ponderata e personalizzata, che spieghi in modo chiaro e logico perché la detenzione sia l’unica opzione percorribile, escludendo l’efficacia di una pena sostitutiva, anche se accompagnata da specifiche prescrizioni. L’annullamento con rinvio impone al Tribunale di riesaminare il caso, questa volta applicando correttamente i principi di diritto stabiliti dalla Cassazione.

Può un giudice negare una pena sostitutiva basandosi solo sulla natura del reato commesso?
No. Secondo la Corte, il giudice non può limitarsi a una considerazione generica e astratta, ma deve condurre una verifica specifica sull’idoneità della pena sostitutiva alla rieducazione del condannato, fornendo una motivazione adeguata e concreta.

Quali criteri deve seguire il giudice per decidere sulla concessione di una pena sostitutiva?
Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che parta dall’idoneità della pena sostitutiva alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. Questa valutazione deve considerare anche la possibilità di imporre ‘opportune prescrizioni’ per prevenire il rischio che vengano commessi altri reati, come previsto dall’art. 58 della Legge 689/1981.

Cosa accade se la motivazione di un provvedimento che nega una pena sostitutiva è insufficiente o generica?
Se la motivazione è talmente generica da essere considerata ‘nella sostanza inesistente’, come nel caso esaminato, il provvedimento è illegittimo e deve essere annullato. Il caso viene quindi rinviato al giudice precedente per un nuovo giudizio che dovrà essere correttamente motivato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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