Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36948 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36948 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAMPI BISENZIO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/02/2024 del TRIBUNALE di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che chiede l’annullamento dell’impugnata ordinanza e la sospensione del provvedimento di esecuzione delle pene
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Firenze, in qualità di Giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 28 febbraio 2024 rigettava la richiesta di sospensione del provvedimento di esecuzione pene emesso dal pubblico ministero nei confronti di COGNOME NOME.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso il condannato tramite il proprio difensore, AVV_NOTAIO, lamentando la violazione degli artt. 650, 656 cod proc pen., nonché dell’art. 95 d.lgs. 150/2022.
Rilevava il ricorrente che nell’impugnato provvedimento era inserita una condanna a pena detentiva per cui pendeva una richiesta di applicazione di pena sostitutiva, ex art. 95 D.Lgs 150/2002, sottoposta al giudice dell’esecuzione.
Secondo il ricorrente, il fatto che fosse pendente l’incidente di esecuzione afferente la richiesta di sostituzione della pena, e che il giudice dell’esecuzione non avesse ancora deciso, impediva che la pena oggetto della richiesta di sostituzione potesse essere posta in esecuzione, proprio perché non ancora definitiva nella sua specie e tipologia.
Conseguentemente, l’ordine di esecuzione non avrebbe potuto ricomprendere anche la pena oggetto dell’istanza.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in difetto di richieste di trattazione orale, la Sostituta Procuratrice generale NOME concludeva chiedendo l’annullamento senza rinvio della ordinanza e la declaratoria di sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 620 co.1 lett. I) cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
1.1 Nelle more fra la proposizione del ricorso e l’udienza, infatti, in data 26 aprile 2024, il Tribunale di Firenze ha disposto la sostituzione della pena di anni tre di reclusione con la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità conseguentemente il pubblico ministero, con provvedimento in data 2 maggio 2024, ha emesso un nuovo provvedimento di cumulo, determinando la pena da eseguirsi nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione, con esclusione della pena sostituita, posto che il precedente provvedimento di cumulo, che il ricorrente contestava, in data 21 febbraio 2024, aveva determinato la pena complessiva da eseguire in anni quattro e mesi otto.
Tale provvedimento ricomprendeva la pena di anni uno e mesi otto di cui alla sentenza n. 14867/2018 della Corte di Appello di Firenze e la pena di anni tre di
reclusione di cui alla sentenza della Corte di Appello di Firenze del 3 maggio 2022, in relazione alla quale era stata presentata istanza ex art. 95 D.Lgs 150/2022.
Incidentalmente, questa Corte ritiene fondate le argomentazioni di cui al ricorso, pur dando atto di un evidente difetto di coordinamento normativo, laddove non è espressamente inibito al pubblico ministero di mettere in esecuzione la sentenza di condanna in pendenza del termine di trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza per richiedere la pena sostitutiva e neppure nelle more della decisione su tale istanza, nei limitati casi in cui l’art. 95 D.Lgs. 150/2022 l consente.
Tale lacuna può e deve essere colmata interpretando la norma e ritenendo applicabili, come indicato dal medesimo art. 95 citato, le disposizioni del codice di rito che disciplinano la procedura di applicazione delle pene sostitutive, in quanto compatibili, anche alla fase apertasi con la proposizione dell’istanza ex art. 666 cod proc pen.
L’art. 95 d.lgs 150/2022 ha come presupposto per la richiesta di sostituzione della pena detentiva al giudice della esecuzione – nel caso di pena non superiore a quattro anni e di pendenza del procedimento in cassazione all’entrata in vigore del D.Lgs 150/2022 – la irrevocabilità della sentenza di condanna, che è anche una condizione per la sua esecutività, ex art. 650 cod. proc. pen.
La ratio sottesa a tale diposizione che estende alla fase esecutiva unicamente ai procedimenti penali pendenti avanti alla Corte di Cassazione al momento dell’entrato in vigore della norma – la possibilità di applicazione dell’istituto, come indicato nella Sez. 5, n. 37022 del 2023 è «quella di voler garantire a tutti gli imputati con giudizio in corso la possibilità di un ‘recupero’ del valutazione richiesta dall’art. 545-bis cod. proc. pen. per l’applicazione dell’art. 20 bis cod. pen. e delle norme del Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, sia per i gradi di merito, operando con le regole processuali di nuovo conio, sia anche in sede di esecuzione per il grado di legittimità, evitando in ambedue i casi che debba attendersi che il pubblico ministero provveda ai sensi degli artt. 655 e ss. cod. proc. pen. prima di poter effettuare le valutazioni in tema di sostituzione della pena».
Se, per contro, pur in pendenza di una istanza di sostituzione, fosse possibile includere nell’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero anche la condanna rispetto alla quale astrattamente sarebbe possibile applicare l’art. 20 bis cod.pen., ciò significherebbe disattendere completamente la ratio iuris, oltre che compiere un’operazione in contrasto con ogni logica e ogni ragione di economia processuale, ben potendo la condanna essere ancora modificata e/o sostituita, poiché la determinazione della pena non è ancora irrevocabile, quanto meno sub specie pena.
Come reso evidente dal tenore letterale del citato art. 95 D.Lgs 150/2022, al giudizio di esecuzione ivi previsto si applicano, in quanto compatibili, le norme del capo 3 della L. 689/81 e le norme del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive.
Ciò significa che l’istituto in esame e il meccanismo previsto dall’art. 545 bis cod. proc. pen. non perdono la loro identità e caratteristiche solo perché vengono applicati in una scansione processuale successiva rispetto a quella che è la loro naturale, perché dovranno applicarsi le medesime norme previste per la fase di cognizione, tenendo conto della peculiarità del momento in cui tale sostituzione è richiesta.
Come è noto, l’art. 545 bis cod. proc. pen. prevede, per l’applicazione delle pene sostitutive, un meccanismo articolato, definito a struttura bifasica, in cui il giudice instaura una fase di contraddittorio con le parti e, ove necessario, si avvale anche dell’apporto dell’ufficio esecuzione penale esterna al fine di individuare la pena sostitutiva più adeguata, dettagliando obblighi e prescrizioni. (Sez. 6, n. 21929/2024 rv 286486).
Tale meccanismo deve intendersi operante anche nel caso in esame, allorquando, cioè, la richiesta di sostituzione della pena precedentemente inflitta venga richiesta al giudice dell’esecuzione, in pendenza del procedimento in fase di legittimità al momento di entrata in vigore del D.Lgs 150/2022, posto che, come visto, per espressa previsione dell’art. 95 del medesimo decreto, “nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive”.
L’eccezionalità costituita dalla possibilità di applicazione della pena sostituiva da parte del giudice della esecuzione, anziché dal giudice della cognizione, secondo il sistema del sentencing anglosassone, è limitata ai casi individuati nella disciplina transitoria e di fatto consente di anticipare alcune forme di esecuzione extracarceraria che erano di esclusivo appannaggio della magistratura di sorveglianza.
E’ evidente che il giudice della cognizione, ma anche dell’esecuzione, nei limitati casi previsti dall’art. 95 D.Lgs 150/2022, per potere valutare la sostituibili della pena detentiva può necessitare di un bagaglio di informazioni che in quel momento non possiede e che, dunque, può e deve ottenere, al fine di dare adeguata risposta alla istanza ex art. 545 bis cod. proc. pen., con le modalità previste dall’art. 545 bis comma 3 cod proc pen.
Ciò significa che a fronte di un’istanza di sostituzione può essere necessario, come nella fase della cognizione, ove è espressamente previsto, rinviare la decisione, al fine di acquisire le informazioni necessarie, ed è evidente che sarebbe
in contrasto con la lettera e con lo spirito della norma consentire che in pendenza di tale termine, che è espressamente previsto per la fase di cognizione, in cui il processo è sospeso, la sentenza pur irrevocabile, ma non ancora eseguibile, venga messa, appunto, in esecuzione.
Anche nel giudizio di esecuzione è prevista la possibilità per il giudice di chiedere documenti ovvero informazioni ed anche di assumere prove, dunque è evidente che una fase svolta in contraddittorio al fine di acquisire dati ed elementi sulla base dei quali decidere sulla istanza di sostituzione è perfettamente connaturale al giudizio di esecuzione.
Se, poi, in pendenza di una fase lato sensu istruttoria sull’istanza, nella fase di cognizione è addirittura previsto, espressamente che il processo sia sospeso, nella fase esecutiva deve ritenersi operante, per analogia, almeno a livello di ratio un meccanismo simile che inibisca nelle more della decisione sulla istanza di sostituzione che la decisione venga posta in esecuzione, come era originariamente avvenuto nel caso in esame.
La circostanza cui si è fatto cenno più sopra, della sopravvenienza di un successivo provvedimento di esecuzione, che non ricomprendeva più la pena nelle more oggetto di sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, ha fatto venire meno l’interesse del ricorrente all’impugnazione del provvedimento, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione per sopravvenuta carenza di interesse non consegue né la condanna al pagamento delle spese processuali né della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, come ritenuto da Sez. 1 n. 15908 del 22/02/2024, Rv. 286244.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per sopravvenuta carenza di interesse derivante da causa non imputabile al ricorrente, infatti, comporta che quest’ultimo non possa essere condannato né al pagamento delle spese processuali, né al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende, in quanto il sopraggiunto venir meno del suo interesse alla decisione non configura un’ipotesi di soccombenza (Sez. 3, n. 29593 del 26/5/2021, Lombardi, Rv. 281785; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272308; Sez. 6, n. 19209 del 31/1/2013, Scaricaciottoli, Rv. 256225; Sez. 6, n. 22747 del 6/3/2003, COGNOME, Rv. 226009; Sez. 1, n. 1695 del 19/3/1998, COGNOME, Rv. 210561).
Ciò in quanto, come statuito da Sez. U., n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251694, la “carenza d’interesse sopraggiunta” va individuata nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità è venuta meno a causa della mutata situazione dì fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita
dall’impugnante, o perché la stessa abbia già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso. Per tale ragione, si è affermato che «alla declaratoria d’inammissibilità non segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, considerato che il venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso è sopraggiunto alla sua proposizione, è ricollegabile unicamente a fattori connessi all’evoluzione dinamica della procedura di estradizione e non configura, per così dire, un’ipotesi di soccombenza del ricorrente (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, COGNOME)».
Nel caso in esame si è verificato un caso di carenza di interesse sopraggiunta, collegata alla emissione di un provvedimento sostitutivo di quello impugnato, con cui l’interesse del ricorrente ha trovato concreta attuazione, che ha determinato una modificazione della situazione di diritto.
Rispetto a tale modifica è evidente che non possa in alcun modo individuarsi una sorta di soccombenza del ricorrente, tanto più che il provvedimento emanato ha accolto proprio le critiche che il ricorrente aveva esternato nel ricorso, emendando il provvedimento di cumulo, come richiesto.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 27 giugno 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente