Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33118 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33118 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Calabrese NOME, nato a Gazzaniga il 22/06/1973
avverso la sentenza del 08/11/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 8 novembre 2023, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Bergamo all’esito di giudizio abbreviato, e in accoglimento del concordato sui motivi d’appello, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per i delitti di cui agli artt. 10 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, dichiarato non doversi procedere per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. cit. perché estinto p prescrizione, e, ritenuto più grave il delitto di cui all’art. 10 d.lgs. cit., conces
ti
circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla recidiva specifica e infraquinquennale, nonché applicata la diminuente per il rito, ha rideterminato la pena, riducendola, in un anno e un mese di reclusione.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, in particolare, NOME COGNOME avrebbe: a) in qualità di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, e in concorso con NOME COGNOME, distrutto o occultato, al fine di evader VIVA, le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione, con riguardo alle fatture emesse nell’anno 2011, con condotta accertata nel 2016 (capo 3); b) in qualità di amministratore di sostegno di NOME COGNOME, e in concorso con quest’ultimo, al fine di evadere le imposte sui redditi, omesso di presentare la dichiarazione annuale di Santo Calabrese relativa a detta imposta, per l’anno 2011, con condotta accertata nel 2016 (capo 4).
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo.
Con il motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata concessione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
Si deduce che la Corte d’appello ha illegittimamente considerato ostative alla concessione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità le precedenti condanne dell’imputato, reputandole inconciliabili rispetto alla finalità rieducativa dell’istituto. Si osserva che l’imputato è gravato da un’unica condanna, definitiva nel 2012, e dunque molto risaliente nel tempo, e che tale elemento non è idoneo ad escludere una prognosi favorevole in ordine sia alla sua astensione dal commettere futuri reati sia al rispetto delle prescrizioni derivanti dall’esecuzione della pena sostitutiva, vista anche la possibilità per il giudice di fornire precisazio a tal riguardo in sede di applicazione della pena. Si segnala, inoltre, che l’argomento posto dalla Corte a fondamento della propria decisione risulta incongruo in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza, il legislatore ha previsto l’istituto delle pene sostitutive anche al fine di arginare il pericolo di recidiva cita Sez. 5, n. 43622 del 11/07/2023, Lullo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
La questione posta nel ricorso attiene alla legittimità della motivazione della sentenza impugnata laddove, pur accogliendo una richiesta di concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., ha poi rigettato la concessione della pena
sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, in ragione del precedente penale e dei rischi di recidiva e di violazione delle prescrizioni connesse alla misura richiesta.
Occorre premettere che la richiesta di concordato sull’accoglimento dei motivi di gravame faceva espressa istanza di «rideterminare la pena irrogata dal primo Giudice in anni 1 e mesi 1 di reclusione».
La richiesta, poi, non conteneva alcuna espressa indicazione in ordine alla pena sostitutiva da applicare in luogo di quella della reclusione indicata, ma si limitava a «segnala, sin d’ora, che l’imputato presta consenso, per il tramite dei difensori e procuratori speciali, alla sostituzione dell’irroganda pena detentiva con la misura del lavoro di pubblico utilità sostitutivo ex art 56-bis L. 689/1981».
In ragione della formulazione “aperta” della richiesta, deve innanzitutto rilevarsi, e in effetti non è neanche contestato nel ricorso, che non era vietato alla sentenza impugnata di accogliere l’istanza di pena concordata, senza però applicare la pena sostitutiva.
Ciò posto, poi, deve ritenersi correttamente motivata la sentenza impugnata laddove ha escluso l’applicazione della pena sostitutiva evidenziando che questa, in ragione dei precedenti penali dell’imputato, non appare idonea ad assicurare la «rieducazione del condannato».
Sotto il profilo del dato normativo, infatti, l’art. 58 legge n. 689 del 198 come sostituito dall’art. 71 d.lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, e successivamente modificato dall’art. 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, rubricato «Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive», prevede, al comma 1, che il giudice «può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati».
E la sentenza impugnata ha spiegato perché la pena sostitutiva prospettata non era idonea alla «rieducazione del condannato», requisito specificamente richiesto dalla legge, adducendo elemento precisi e congrui.
La Corte d’appello, infatti, ha richiamato i precedenti penali dell’imputato tra l’altro posti a base, nella specie, anche secondo la richiesta di concordato sull’accoglimento dei motivi di gravame presentata dalla difesa, dell’applicazione della recidiva specifica ed infraquinquennale – evidenziando inoltre, di valutare gli stessi congiuntamente all’ulteriore dato della pluralità dei reati per i quali è stat affermata la penale responsabilità del medesimo.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si pronuncia, però, condanna dell’imputato al versamento di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende, sulla base del disposto dell’art. 616
cod. proc. pen. come risultante per effetto della dichiarazione di illegittimit costituzionale pronunciata da Corte cost., sent.
n.
186 del 2000, dovendo escludersi che, per la novità della questione, lo stesso abbia proposto il ricorso
versando in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 07/06/2024.